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pena la decadenza dal Diritto e Libertà di Testimoniare. Poi si deve esprimere separatamente e distintamente il proprio personale giudizio.

Per conoscer le mie idee Vedi il "Libro dei Miei Pensieri"html PDF

Il mio commento sull'argomento di Oggi è :

Il mio pensiero è palese, sono contro il Federalismo, perché Federalismo significa tornare indietro Secoli, all'Italia dei Comuni, che ci ha resi succubi di invasiori.

Per. Ind. Giacomo Dalessandro

Il MESSAGGIO del PRESIDENTE NAPOLITANO

"Festeggiamo in tanti, insieme. Uniti sapremo vincere tutte le difficoltà"

"L'importante è che anche se ognuno ha i suoi problemi, i suoi interessi e le sue idee, e discutiamo e battagliamo, ognuno deve ricordare sempre che è parte di qualcosa di più grande che è la nostra nazione, la nostra patria, la nostra Italia. E se saremo uniti sapremo vincere tutte le difficoltà che ci attendono". E' quanto ha affermato il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel saluto agli italiani nella Notte Tricolore dalla Piazza del Quirinale. "La prima cosa importante - ha detto il Presidente - è che l'Unità la festeggiamo in tanti, e nemmeno solo nelle piazze d'Italia: la festeggiamo nei tanti paesi pieni di italiani che ci sono nel mondo, e la festeggiano gli italiani in divisa in Afghanistan, nel Kosovo e nel Libano". "Voglio veramente inviare - ha aggiunto - l'augurio più affettuoso a tutte le italiane e gli italiani di ogni età, di ogni condizione sociale e di ogni idea politica che festeggiano insieme questo nostro grande compleanno". Per il Capo dello Stato "festeggiamo il meglio della nostra storia. Abbiamo avuto momenti brutti, abbiamo commesso errori, abbiamo vissuto pagine drammatiche, ma abbiamo fatto tante cose grandi e importanti. Grazie all'unità siamo diventati un paese moderno". "Se fossimo rimasti - ha sottolineato il Presidente Napolitano - come nel 1860, divisi in otto Stati, senza libertà e sotto il dominio straniero, saremmo stati spazzati via dalla storia, non saremmo mai diventati un grande paese europeo. Eravamo già in ritardo allora di fronte alla Spagna, alla Francia, all'Inghilterra, che erano già dei grandi Stati nazionali, e stava per diventarlo la Germania". "Eravamo in ritardo - ha aggiunto il Capo dello Stato - ma non abbiamo atteso ulteriormente perché ci sono state schiere di nostri patrioti che hanno combattuto, hanno dato la vita e hanno scritto pagine eroiche che noi dobbiamo avere l'orgoglio di ricordare e rivendicare, perché solo così possiamo anche guardare con fiducia al futuro, alle prove che ci attendono. Ne abbiamo passate tante, passeremo anche quelle che abbiamo di fronte in un mondo forse più difficile".

 

 

WIKIPEDIA 21 aprile dell'anno 753 a.C. (Natale di Roma) http://it.wikipedia.org/wiki/Fondazione_di_Roma

PORTALE ROMA ANTICA http://it.wikipedia.org/wiki/Portale:Antica_Roma

PORTALE STORIA http://it.wikipedia.org/wiki/Portale:Storia

ETA' REGIA http://it.wikipedia.org/wiki/Et%C3%A0_regia_di_Roma

Fondazione di Roma · Romolo (753-716 a.C.)

Prima monarchia di Roma: Numa Pompilio (716-673 a.C.) · Tullo Ostilio (673-641 a.C.) · Anco Marzio (641-616 a.C.)

Re etruschi di Roma: Tarquinio Prisco (616-579 a.C.) · Servio Tullio (579-535 a.C.) · Tarquinio il Superbo (535-509 a.C.)

ETA' REPUBBLICANA http://it.wikipedia.org/wiki/Repubblica_romana

Roma e l'Italia (509-264 a.C.) · La Repubblica mediterranea (264-146 a.C.) · Tramonto della Repubblica romana (146-44 a.C.) · Guerra

civile romana (44-31 a.C.)

ETA' IMPERIALE http://it.wikipedia.org/wiki/Impero_romano

Alto Impero romano: http://it.wikipedia.org/wiki/Alto_Impero_romano#Alto_Impero_.2827.2F23_a.C._-_284_d.C..29

Dinastia giulio-claudia (27 a.C.-68) · Anno dei quattro imperatori (68-69) · Dinastia dei Flavi (69-96)

Imperatori adottivi (96-138) · Dinastia degli Antonini (138-192) · Pertinace (193)

Guerra civile romana (193-197) · Dinastia dei Severi (193-235) · Anarchia militare (235-284)

Basso Impero romano: http://it.wikipedia.org/wiki/Basso_Impero_romano

Tetrarchia (284-305) · Guerra civile romana (306-324) · Costantinidi (306-363) · Gioviano (364) · Casata di Valentiniano (364-472)

Dal Sito Internet:

LEONARDO

http://cronologia.leonardo.it/mondo15.htm

Dal sito Internet di CRONOLOGIA:

 

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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 753 a.c. al 1861 UNITA' d'ITALIA, ad oggi 150° 2011-03-19

AVVENIRE

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2011-03-19

 

 

 

 

2011-03-18

18 marzo 2011

150 ANNI UNITA' ITALIA

Napolitano: "Necessità

di coesione nazionale"

C'è la "necessità stringente e imperativa di coesione nazionale, il che significa avere rinnovato senso della Patria e della Costituzione, riconoscerci e identificarci col senso appartenenza alla Patria e con la lealtà alla Costituzione repubblicana come grande quadro di principi e di regole per il nostro vivere comune". Lo ha detto oggi il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel suo intervento al Teatro Regio di Torino.

IL DISCORSO A MONTECITORIO

All’Italia serve oggi "un nuovo cemento unitario". Ma nella nostra storia "la parola unità si sposa con altre: pluralità, diversità, solidarietà e sussidiarietà". Sono due passaggi chiave, questi, nel corposo e pregnante discorso che il presidente, Giorgio Napolitano, ha tenuto a Montecitorio, davanti alle Camere riunite e alle massime autorità dello Stato. Che vanno letti insieme. Perché Napolitano ha voluto rifuggire da un discorso solamente celebrativo e retorico dell’epopea risorgimentale,di cui ha rivendicato i grandi meriti storici, senza dimenticare di sottolinearne limiti e lacune. E soprattutto perché ha voluto riannodare i fili di quell’irripetibile avventura unitaria, che segnò l’inizio della storia nazionale, con la situazione odierna.

Non sono mancati nel suo discorso, dunque, riferimenti stringenti alla attualità politica: la rivendicazione dell’unità e della indivisibilità nazionale, diretta in particolar modo verso chi ha mostrato problemi a festeggiare il centocinquantenario ("Non li ho contati", ha detto ai giornalisti che gli chiedevano della ridottissima presenza leghista). O la sottolineatura dell’importanza della cultura, che qualcuno potrebbe facilmente legare alle recenti polemiche sui tagli di bilancio.

Ancora, la appassionata difesa dell’attualità della Costituzione repubblicana, con l’invito a riformarla a larghissima maggioranza. Per finire con la richiesta di "un forte cemento nazionale unitario, non eroso e dissolto da cieche partigianerie, da perdite diffuse del senso del limite e della responsabilità", che sembra scritta appositamente per stigmatizzare il clima politico del momento.

Ma sarebbe un errore leggere il messaggio di Napolitano solo in senso politico stretto. Perché si è trattato di un discorso soprattutto culturale, che ha voluto fare i conti con le divisioni e le difficoltà della storia italiana, non per negarle, ma per farne una sintesi più alta, capace di rappresentare davvero lo spirito comune di una nazione. Ecco qui di seguito i punti salienti toccati dal presidente della Repubblica.

RISORGIMENTO. Fu "un’impresa storica straordinaria, per le condizioni in cui si svolse, per i caratteri e la portata che assunse". Poteva sicuramente essere fatta in maniera migliore, è sembrato dire il presidente; ma realisticamente "non poté compiersi che sotto l’egida dello Stato più avanzato, già caratterizzato in senso liberale, più aperto e accogliente verso la causa italiana", ovvero il Piemonte dei Savoia e di Cavour. Mentre le esigenze di unificare un territorio formato da ben otto Stati finirono inevitabilmente per mortificare le giuste aspirazioni a un modello meno centralista. Ma nel complesso l’unità italiana fu "un’opera ciclopica", che "gettò le basi di un moderno sviluppo economico e civile".

FEDERALISMO. Il presidente vede con favore oggi "un’evoluzione in senso federalistico - e non solo nel campo finanziario", che a suo parere "potrà garantire maggiore autonomia e responsabilità alle istituzioni regionali e locali rinnovando e rafforzando le basi dell’unità nazionale". E ha ammonito: "È tale rafforzamento, e non il suo contrario, l’autentico fine da perseguire".

MEZZOGIORNO. È "al centro delle nostre preoccupazioni e responsabilità nazionali. Ed è rispetto a questa questione che più tardano a venire risposte adeguate". Serve "un esame di coscienza collettivo" cui "in nessuna parte del Paese ci si può sottrarre".

QUESTIONE SOCIALE. "La si deve vedere – ha detto Napolitano – innanzitutto come drammatica carenza di prospettive di occupazione".

CHIESA E CATTOLICI. Dopo lo strappo di Porta Pia, i rapporti Stato e Chiesa si sono gradualmente risolti. Oggi c’è "un rapporto altamente costruttivo e in una collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese, anche attraverso il riconoscimento del ruolo sociale e pubblico della Chiesa cattolica e, insieme, nella garanzia del pluralismo religioso". Uno dei punti di forza "su cui possiamo far leva per il consolidamento della coesione e unità nazionale". Napolitano ha lodato il messaggio augurale di Benedetto XVI, che "sapientemente richiama il contributo fondamentale del Cristianesimo alla formazione, nei secoli, dell’identità italiana, così come il coinvolgimento di esponenti del mondo cattolico nella costruzione dello Stato unitario, fino all’incancellabile apporto dei cattolici e della loro scuola di pensiero alla elaborazione della Costituzione repubblicana".

COSTITUZIONE. "Rappresenta tuttora la valida base del nostro vivere comune, offrendo – insieme con un ordinamento riformabile attraverso sforzi condivisi – un corpo di principii e di valori in cui tutti possono riconoscersi". Giovanni Grasso

 

 

 

 

2011-03-17

17 marzo 2011

150 ANNI DELL'UNITA'

Bagnasco: "Il volto

d'Italia è cattolico"

"Essere un popolo vuol dire "avere una storia e un destino comune, avere un volto: non essere civilmente orfani", ma sentirsi nati "da ideali alti e comuni, valori nobili di giustizia e solidarietà", che sviluppano "uno stile di relazioni virtuose". E il volto dell'Italia è cattolico, nel senso, ha spiegato il card. Angelo Bagnasco nell'omelia tenuta davanti alle massime cariche dello Stato e i presidenti delle conferenze episcopali italiane nella Basilica di Santa Maria degli Angeli, che "respira un anima spirituale capace di toccare le menti e i cuori".

Per la Chiesa non bisogna perdere questa identità. "Senza volto infatti - ha osservato il presidente della Cei - non ci si incontra, non si riesce a conoscersi, a stimarsi, a correggersi, a camminare insieme, a lavorare per gli stessi obiettivi, ad essere popolo". "Tale volto - ha ricordato - rivela l'identità plurale e variegata della nostra Patria, in cui convivono peculiarità e tradizioni che si sviluppano in modo armonico e solidale, secondo quello che don Luigi Sturzo chiamava il 'sano agonismo della liberta". E potremmo aggiungere della operosità".

"La religione, in genere, e in Italia, le comunità cristiane in particolare, sono state e sono - ha scandito Bagnasco - lievito accanto alla gente: sono prossimità di condivisione e di speranza evangelica, sorgente generatrice del senso della vita, memoria permanente di valori morali. Icentomila campanili della nostra Italia, ispirano un sentire comune diffuso che identifica senza escludere, che fa riconoscere, avvicina, sollecita il senso di cordiale appartenenza e di generosa partecipazione alla comunità cristiana, alla vita del borgo e del paese, delle città e delle regioni, dello Stato".

I FESTEGGIAMENTI

Questa mattina il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è stato accolto da forti applausi da parte delle circa 300 persone assiepate intorno al Vittoriano per assistere all'alzabandiera, primo appuntamento ufficiale dei festeggiamenti in occasione dei 150 anni dell'Unità d'Italia. Dopo le celebrazioni all'Altare della patria, Napolitano insieme al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, e i presidenti delle Camere, Schifani e Fini, ha reso omaggio al Pantheon al primo re d'Italia Vittorio Emanuele II ponendo sulla tomba una corona d'alloro. Presenti alla cerimonia anche gli eredi dei Savoia, Vittorio Emanuele con la moglie Marina Doria e il figlio Emanuele Filiberto sempre accompagnato dalla moglie, Clotilde Coureau.

Poi la delegazione si è spostata al Gianicolo, dove ha reso omaggio, tra le salve di cannone, al monumento restaurato di Anita Garibaldi e la statua di Giuseppe Garibaldi.

"Festeggiamo il meglio della nostra storia, sapendo che se noi italiani fossimo rimasti divisi in otto staterelli saremmo stati spazzati via dalla storia, non saremmo mai diventati un grande stato europeo". Con queste parole ieri sera Napolitano ha voluto sottolineare - in un appassionato intervento a braccio di tre minuti - la festa "di tutti noi che siamo parte di qualcosa di grande: l'Italia". Dal palco allestito in Piazza del Quirinale per partecipare alla "Notte Tricolore" in collegamento con altre piazze italiane, Napolitano ha sottolineato che oggi stiamo festeggiando "il meglio della nostra storia: abbiamo avuto momenti brutti, abbiamo commesso errori, abbiamo vissuto pagine drammatiche, ma abbiamo fatto tante cose grandi e importanti". E la cosa più importante - ha voluto ribadire - è stata unirsi, come altri paesi europei avevano già fatto.

"Ne abbiamo passato tante e - ha assicurato - passeremo anche le prove che abbiamo di fronte in un mondo forse più difficile. Ognuno ha i suoi problemi, i suoi interessi e le sue idee. Discutiamo e battagliamo. Ma ciascuno di noi deve sempre ricordare che è parte di qualcosa di più grande, che è appunto la nostra nazione, la nostra patria, la nostra Italia. E se saremo uniti sapremo vincere tutte le difficoltà che ci attendono".

Il pensiero del Capo dello Stato è quindi volato al di fuori dei nostri confini e, sempre con al suo fianco la signora Clio, il ministro Ignazio La Russa, il sottosegretario Gianni Letta, il sindaco di Roma Gianni Alemanno e il presidente della Provincia Nicola Zingaretti, ha rivolto un augurio particolare agli "italiani in divisa: la prima cosa importante - ha detto il capo dello Stato - è che festeggiamo in tanti e non solo nelle piazze d'Italia, ma in tanti paesi pieni di italiani. Festeggiano anche gli italiani in Afghanistan, nel Kossovo, nel Libano". Quasi dei 'nuovi patriotì come quelli che "hanno combattuto per l'unità, che hanno dato la vita e hanno scritto pagine eroiche. Noi dobbiamo ricordare e rivendicare queste cose. Solo così - ha detto tornando a guardare all'oggi - possiamo guardare con fiducia al futuro, alle prove che ci attendono".

E ieri sera Napolitano ha ricevuto dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, comunicazione dell'ufficiale proclamazione del 17 marzo 2011 Giorno della celebrazione del 150esimo Anniversario dell'Unificazione d'Italia. Con questa sua proclamazione, spiega il Quirinale in una nota, il presidente Obama ha voluto anche "incoraggiare tutti gli americani a imparare di più sulla storia dell'unità d'Italia e ad onorare la continua amicizia tra i due popoli". Nella proclamazione il presidente Obama rende "omaggio al coraggio, sacrificio e visione dei patrioti che diedero luce alla nazione italiana" e ricorda che "mentre gli Stati Uniti combattevano per mantenere la loro Unione, la campagna di Giuseppe Garibaldi per l'unità d'Italia fu di ispirazione a molti in tutto il mondo, compresa la 39ma Compagnia di fanteria di New York conosciuta come 'la Guardia di Garibaldi'".

IL MESSAGGIO DEL PAPA

"Il Cristianesimo ha contribuito in maniera fondamentale alla costruzione dell'identità italiana attraverso l'opera della Chiesa, delle sue istituzioni educative ed assistenziali, fissando modelli di comportamento, configurazioni istituzionali, rapporti sociali, ma anche mediante una ricchissima attività artistica: la letteratura, la pittura, la scultura, l'architettura, la musica". Lo scrive il Papa nel messaggio consegnato ieri mattina al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, dal segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone. Nel testo Benedetto XVI cita Dante, Giotto, Petrarca, Michelangelo, Raffaello, Pierluigi da Palestrina, Caravaggio, Scarlatti, Bernini e Borromini. "Sono solo alcuni nomi", spiega, "di una filiera di grandi artisti che, nei secoli, hanno dato un apporto fondamentale alla formazione dell'identità italiana".

LE POLEMICHE CON LA LEGA

"A volte c'è un po' di folklore in alcune esternazioni degli esponenti del Carroccio", ma sullecelebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia "non sono accettabili atti di scorrettezza e di ostilità". Lo ha detto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, che invoca "un passo in avanti" della Lega: "dobbiamo avere la pazienza di aspettare che termini un percorso: dalla richiesta di secessione a un federalismo solidale". "Campate in aria", secondo La Russa, alcune dichiarazioni di esponenti leghisti, come quelle di Borghezio e Speroni: per il coordinatore del Pdl "sarebbe un errore" se la Lega inseguisse "posizioni estremiste solo per non perdere i voti di una parte minoritaria del partito".

Il ministro definisce poi "strumentali" le polemiche della sinistra e si chiede "dov'erano Bersani e D'Alema" quando sono state ricordate le foibe. "I suoi esponenti - aggiunge La Russa - per mettere in difficoltà Berlusconi hanno detto 'noi siamo quelli dell'inno nazionalè anche se dovrebbero impararne le parole". "La scelta da parte della Lega del Nabucco - conclude - è la prova che il Carroccio è una tessera del mosaico più bello del mondo, l'Italia".

 

 

16 marzo 2011

LE PAROLE DEL PAPA

Messaggio al Presidente Napolitano per 150 anni dell'Unità d'Italia

Illustrissimo Signore On. GIORGIO NAPOLITANO

Presidente della Repubblica Italiana

Il 150° anniversario dell’unificazione politica dell’Italia mi offre la felice occasione per riflettere sulla storia di questo amato Paese, la cui Capitale è Roma, città in cui la divina Provvidenza ha posto la Sede del Successore dell’Apostolo Pietro. Pertanto, nel formulare a Lei e all’intera Nazione i miei più fervidi voti augurali, sono lieto di parteciparLe, in segno dei profondi vincoli di amicizia e di collaborazione che legano l’Italia e la Santa Sede, queste mie considerazioni.

Il processo di unificazione avvenuto in Italia nel corso del XIX secolo e passato alla storia con il nome di Risorgimento, costituì il naturale sbocco di uno sviluppo identitario nazionale iniziato molto tempo prima. In effetti, la nazione italiana, come comunità di persone unite dalla lingua, dalla cultura, dai sentimenti di una medesima appartenenza, seppure nella pluralità di comunità politiche articolate sulla penisola, comincia a formarsi nell’età medievale.

Il Cristianesimo ha contribuito in maniera fondamentale alla costruzione dell’identità italiana attraverso l’opera della Chiesa, delle sue istituzioni educative ed assistenziali, fissando modelli di comportamento, configurazioni istituzionali, rapporti sociali; ma anche mediante una ricchissima attività artistica: la letteratura, la pittura, la scultura, l’architettura, la musica. Dante, Giotto, Petrarca, Michelangelo, Raffaello, Pierluigi da Palestrina, Caravaggio, Scarlatti, Bernini e Borromini sono solo alcuni nomi di una filiera di grandi artisti che, nei secoli, hanno dato un apporto fondamentale alla formazione dell’identità italiana. Anche le esperienze di santità, che numerose hanno costellato la storia dell’Italia, contribuirono fortemente a costruire tale identità, non solo sotto lo specifico profilo di una peculiare realizzazione del messaggio evangelico, che ha marcato nel tempo l’esperienza religiosa e la spiritualità degli italiani (si pensi alle grandi e molteplici espressioni della pietà popolare), ma pure sotto il profilo culturale e persino politico.

San Francesco di Assisi, ad esempio, si segnala anche per il contributo a forgiare la lingua nazionale; santa Caterina da Siena offre, seppure semplice popolana, uno stimolo formidabile alla elaborazione di un pensiero politico e giuridico italiano. L’apporto della Chiesa e dei credenti al processo di formazione e di consolidamento dell’identità nazionale continua nell’età moderna e contemporanea. Anche quando parti della penisola furono assoggettate alla sovranità di potenze straniere, fu proprio grazie a tale identità ormai netta e forte che, nonostante il perdurare nel tempo della frammentazione geopolitica, la nazione italiana poté continuare a sussistere e ad essere consapevole di sé. Perciò, l’unità d’Italia, realizzatasi nella seconda metà dell’Ottocento, ha potuto aver luogo non come artificiosa costruzione politica di identità diverse, ma come naturale sbocco politico di una identità nazionale forte e radicata, sussistente da tempo. La comunità politica unitaria nascente a conclusione del ciclo risorgimentale ha avuto, in definitiva, come collante che teneva unite le pur sussistenti diversità locali, proprio la preesistente identità nazionale, al cui modellamento il Cristianesimo e la Chiesa hanno dato un contributo fondamentale.

Per ragioni storiche, culturali e politiche complesse, il Risorgimento è passato come un moto contrario alla Chiesa, al Cattolicesimo, talora anche alla religione in generale. Senza negare il ruolo di tradizioni di pensiero diverse, alcune marcate da venature giurisdizionaliste o laiciste, non si può sottacere l’apporto di pensiero - e talora di azione - dei cattolici alla formazione dello Stato unitario. Dal punto di vista del pensiero politico basterebbe ricordare tutta la vicenda del neoguelfismo che conobbe in Vincenzo Gioberti un illustre rappresentante; ovvero pensare agli orientamenti cattolico-liberali di Cesare Balbo, Massimo d’Azeglio, Raffaele Lambruschini. Per il pensiero filosofico, politico ed anche giuridico risalta la grande figura di Antonio Rosmini, la cui influenza si è dispiegata nel tempo, fino ad informare punti significativi della vigente Costituzione italiana. E per quella letteratura che tanto ha contribuito a "fare gli italiani", cioè a dare loro il senso dell’appartenenza alla nuova comunità politica che il processo risorgimentale veniva plasmando, come non ricordare Alessandro Manzoni, fedele interprete della fede e della morale cattolica; o Silvio Pellico, che con la sua opera autobiografica sulle dolorose vicissitudini di un patriota seppe testimoniare la conciliabilità dell’amor di Patria con una fede adamantina. E di nuovo figure di santi, come san Giovanni Bosco, spinto dalla preoccupazione pedagogica a comporre manuali di storia Patria, che modellò l’appartenenza all’istituto da lui fondato su un paradigma coerente con una sana concezione liberale: "cittadini di fronte allo Stato e religiosi di fronte alla Chiesa".

La costruzione politico-istituzionale dello Stato unitario coinvolse diverse personalità del mondo politico, diplomatico e militare, tra cui anche esponenti del mondo cattolico. Questo processo, in quanto dovette inevitabilmente misurarsi col problema della sovranità temporale dei Papi (ma anche perché portava ad estendere ai territori via via acquisiti una legislazione in materia ecclesiastica di orientamento fortemente laicista), ebbe effetti dilaceranti nella coscienza individuale e collettiva dei cattolici italiani, divisi tra gli opposti sentimenti di fedeltà nascenti dalla cittadinanza da un lato e dall’appartenenza ecclesiale dall’altro.

Ma si deve riconoscere che, se fu il processo di unificazione politico-istituzionale a produrre quel conflitto tra Stato e Chiesa che è passato alla storia col nome di "Questione Romana", suscitando di conseguenza l’aspettativa di una formale "Conciliazione", nessun conflitto si verificò nel corpo sociale, segnato da una profonda amicizia tra comunità civile e comunità ecclesiale. L’identità nazionale degli italiani, così fortemente radicata nelle tradizioni cattoliche, costituì in verità la base più solida della conquistata unità politica. In definitiva, la Conciliazione doveva avvenire fra le Istituzioni, non nel corpo sociale, dove fede e cittadinanza non erano in conflitto.

Anche negli anni della dilacerazione i cattolici hanno lavorato all’unità del Paese. L’astensione dalla vita politica, seguente il "non expedit", rivolse le realtà del mondo cattolico verso una grande assunzione di responsabilità nel sociale: educazione, istruzione, assistenza, sanità, cooperazione, economia sociale, furono ambiti di impegno che fecero crescere una società solidale e fortemente coesa. La vertenza apertasi tra Stato e Chiesa con la proclamazione di Roma capitale d’Italia e con la fine dello Stato Pontificio, era particolarmente complessa.

Si trattava indubbiamente di un caso tutto italiano, nella misura in cui solo l’Italia ha la singolarità di ospitare la sede del Papato. D’altra parte, la questione aveva una indubbia rilevanza anche internazionale. Si deve notare che, finito il potere temporale, la Santa Sede, pur reclamando la più piena libertà e la sovranità che le spetta nell’ordine suo, ha sempre rifiutato la possibilità di una soluzione della "Questione Romana" attraverso imposizioni dall’esterno, confidando nei sentimenti del popolo italiano e nel senso di responsabilità e giustizia dello Stato italiano. La firma dei Patti lateranensi, l’11 febbraio 1929, segnò la definitiva soluzione del problema. A proposito della fine degli Stati pontifici, nel ricordo del beato Papa Pio IX e dei Successori, riprendo le parole del Cardinale Giovanni Battista Montini, nel suo discorso tenuto in Campidoglio il 10 ottobre 1962: "Il papato riprese con inusitato vigore le sue funzioni di maestro di vita e di testimonio del Vangelo, così da salire a tanta altezza nel governo spirituale della Chiesa e nell’irradiazione sul mondo, come prima non mai".

L’apporto fondamentale dei cattolici italiani alla elaborazione della Costituzione repubblicana del 1947 è ben noto. Se il testo costituzionale fu il positivo frutto di un incontro e di una collaborazione tra diverse tradizioni di pensiero, non c’è alcun dubbio che solo i costituenti cattolici si presentarono allo storico appuntamento con un preciso progetto sulla legge fondamentale del nuovo Stato italiano; un progetto maturato all’interno dell’Azione Cattolica, in particolare della FUCI e del Movimento Laureati, e dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ed oggetto di riflessione e di elaborazione nel Codice di Camaldoli del 1945 e nella XIX Settimana Sociale dei Cattolici Italiani dello stesso anno, dedicata al tema "Costituzione e Costituente".

Da lì prese l'avvio un impegno molto significativo dei cattolici italiani nella politica, nell’attività sindacale, nelle istituzioni pubbliche, nelle realtà economiche, nelle espressioni della società civile, offrendo così un contributo assai rilevante alla crescita del Paese, con dimostrazione di assoluta fedeltà allo Stato e di dedizione al bene comune e collocando l’Italia in proiezione europea. Negli anni dolorosi ed oscuri del terrorismo, poi, i cattolici hanno dato la loro testimonianza di sangue: come non ricordare, tra le varie figure, quelle dell’On. Aldo Moro e del Prof. Vittorio Bachelet? Dal canto suo la Chiesa, grazie anche alla larga libertà assicuratale dal Concordato lateranense del 1929, ha continuato, con le proprie istituzioni ed attività, a fornire un fattivo contributo al bene comune, intervenendo in particolare a sostegno delle persone più emarginate e sofferenti, e soprattutto proseguendo ad alimentare il corpo sociale di quei valori morali che sono essenziali per la vita di una società democratica, giusta, ordinata. Il bene del Paese, integralmente inteso, è stato sempre perseguito e particolarmente espresso in momenti di alto significato, come nella "grande preghiera per l’Italia" indetta dal Venerabile Giovanni Paolo II il 10 gennaio 1994.

La conclusione dell’Accordo di revisione del Concordato lateranense, firmato il 18 febbraio 1984, ha segnato il passaggio ad una nuova fase dei rapporti tra Chiesa e Stato in Italia. Tale passaggio fu chiaramente avvertito dal mio Predecessore, il quale, nel discorso pronunciato il 3 giugno 1985, all’atto dello scambio degli strumenti di ratifica dell’Accordo, notava che, come "strumento di concordia e collaborazione, il Concordato si situa ora in una società caratterizzata dalla libera competizione delle idee e dalla pluralistica articolazione delle diverse componenti sociali: esso può e deve costituire un fattore di promozione e di crescita, favorendo la profonda unità di ideali e di sentimenti, per la quale tutti gli italiani si sentono fratelli in una stessa Patria".

Ed aggiungeva che nell’esercizio della sua diaconia per l’uomo "la Chiesa intende operare nel pieno rispetto dell’autonomia dell’ordine politico e della sovranità dello Stato. Parimenti, essa è attenta alla salvaguardia della libertà di tutti, condizione indispensabile alla costruzione di un mondo degno dell’uomo, che solo nella libertà può ricercare con pienezza la verità e aderirvi sinceramente, trovandovi motivo ed ispirazione per l’impegno solidale ed unitario al bene comune".

L’Accordo, che ha contribuito largamente alla delineazione di quella sana laicità che denota lo Stato italiano ed il suo ordinamento giuridico, ha evidenziato i due principi supremi che sono chiamati a presiedere alle relazioni fra Chiesa e comunità politica: quello della distinzione di ambiti e quello della collaborazione. Una collaborazione motivata dal fatto che, come ha insegnato il Concilio Vaticano Il, entrambe, cioè la Chiesa e la comunità politica, "anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale delle stesse persone umane" (Cost. Gaudium et spes, 76).

L’esperienza maturata negli anni di vigenza delle nuove disposizioni pattizie ha visto, ancora una volta, la Chiesa ed i cattolici impegnati in vario modo a favore di quella "promozione dell’uomo e del bene del Paese" che, nel rispetto della reciproca indipendenza e sovranità, costituisce principio ispiratore ed orientante del Concordato in vigore (art. 1). La Chiesa è consapevole non solo del contributo che essa offre alla società civile per il bene comune, ma anche di ciò che riceve dalla società civile, come affrerma il Concilio Vaticano II: "chiunque promuove la comunità umana nel campo della famiglia, della cultura, della vita economica e sociale, come pure della politica, sia nazionale che internazionale, porta anche un non piccolo aiuto, secondo la volontà di Dio, alla comunità ecclesiale, nelle cose in cui essa dipende da fattori esterni" (Cost. Gaudium et spes, 44).

Nel guardare al lungo divenire della storia, bisogna riconoscere che la nazione italiana ha sempre avvertito l’onere ma al tempo stesso il singolare privilegio dato dalla situazione peculiare per la quale è in Italia, a Roma, la sede del successore di Pietro e quindi il centro della cattolicità. E la comunità nazionale ha sempre risposto a questa consapevolezza esprimendo vicinanza affettiva, solidarietà, aiuto alla Sede Apostolica per la sua libertà e per assecondare la realizzazione delle condizioni favorevoli all’esercizio del ministero spirituale nel mondo da parte del successore di Pietro, che è Vescovo di Roma e Primate d’Italia. Passate le turbolenze causate dalla "questione romana", giunti all’auspicata Conciliazione, anche lo Stato Italiano ha offerto e continua ad offrire una collaborazione preziosa, di cui la Santa Sede fruisce e di cui è consapevolmente grata.

Nel presentare a Lei, Signor Presidente, queste riflessioni, invoco di cuore sul popolo italiano l’abbondanza dei doni celesti, affinché sia sempre guidato dalla luce della fede, sorgente di speranza e di perseverante impegno per la libertà, la giustizia e la pace.

Dal Vaticano, 17 marzo 2011

 

 

17 marzo 2011

OMELIA 150 ANNI UNITA'

La grazia di appartenere a un popolo

Signor Presidente della Repubblica,

Signori Presidenti del Senato e della Camera,

Signor Presidente del Consiglio,

Confratelli nell’Episcopato,

Fratelli e Sorelle nel Signore,

siamo qui oggi – insieme ai Presidenti delle conferenze episcopali regionali - per elevare a Dio l’inno di ringraziamento per l’Italia. Non è retorica, né tantomeno nostalgia quella che ci muove, ma la consapevolezza che la Patria che ci ha generato è una preziosa eredità e insieme una esigente responsabilità. L’Eucaristia che stiamo celebrando in questa Basilica di S. Maria degli Angeli - uno degli innumerevoli scrigni di bellezza custoditi dal nostro Paese - ci invita ad oltrepassare le contingenze del momento presente e ad allargare lo sguardo a quella singolare ‘Provvidenza’ che ha condotto gli italiani a diventare sempre più consapevoli dell’Italia. Ben prima dell’Italia in senso stretto, infatti, è esistita una sotterranea tensione morale e spirituale in cui si sono forgiate la lingua e progressivamente la sensibilità e la cultura e che ha condotto, per vie non sempre rettilinee, a dar vita all’Italia. Di essa tutti ci sentiamo oggi orgogliosamente figli perché a lei tutti dobbiamo gran parte della nostra identità umana e religiosa.

"Signore, la tua bontà dura per sempre"

La Liturgia ci ha posto sulle labbra queste parole e ancor più nel nostro cuore: sentimento di lode e di gratitudine per i doni di Dio, e, tra questi, la grazia di appartenere ad un popolo, di avere una storia e un destino comune, di avere un volto: di non essere civilmente orfani. La Patria, nello stesso linguaggio comune, esprime una paternità, così come la Madrepatria esprime una maternità: il popolo che nasce da ideali alti e comuni, che vive secondo valori nobili di giustizia e solidarietà, che sviluppa uno stile di relazioni virtuose, respira un anima spirituale capace di toccare le menti e i cuori, è un popolo vivo, prende volto, assapora e si riconosce uno, diventa Nazione e Patria, offre sostanza allo Stato. L’unificazione, come ha scritto il santo Padre, Benedetto XVI, al Presidente della Repubblica, "è il naturale sbocco di una identità nazionale forte e radicata, sussistente da tempo". E’ questa la vera forza della società e dello Stato, il tesoro più grande da custodire con amore e da trasmettere alle giovani generazioni. Si è parlato di volto: senza volto infatti non ci si incontra, non si riesce a conoscersi, a stimarsi, a correggersi, a camminare insieme, a lavorare per gli stessi obiettivi, ad essere "popolo".

Tale volto rivela l’identità plurale e variegata della nostra Patria, in cui convivono peculiarità e tradizioni che si sviluppano in modo armonico e solidale, secondo quello che don Luigi Sturzo chiamava il "sano agonismo della libertà". E potremmo aggiungere della operosità.

La religione, in genere, e in Italia, le comunità cristiane in particolare, sono state e sono lievito accanto alla gente: sono prossimità di condivisione e di speranza evangelica, sorgente generatrice del senso della vita, memoria permanente di valori morali. I 100.000 campanili della nostra Italia, ispirano un sentire comune diffuso che identifica senza escludere, che fa riconoscere, avvicina, sollecita il senso di cordiale appartenenza e di generosa partecipazione alla comunità cristiana, alla vita del borgo e del paese, delle città e delle regioni, dello Stato.

Come non esprimere, poi, affetto ed ammirazione per Roma, capitale d’Italia, memoria vivente della nostra storia plurimillenaria e provvidenziale sede del Successore di Pietro, centro della Cattolicità! Significative al riguardo le parole del card. Giovanni Battista Montini all’indomani del I centenario dell’Unità:"Il nome di Roma appare nelle intenzioni divine" (Campidoglio, 10 ottobre 1962).

"Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro"

Il Vangelo di oggi evidenzia una delle grandi regole di ogni comunità, la legge della relazione. La nostra vera identità infatti sta nel legame. La beatitudine della vita si pesa nel dare e nel ricevere amore. A partire da dove? A partire dalla regola evangelica che gli esegeti chiamano la regola d’oro: "Tutto quello che volete che gli uomini facciano a voi, questo anche voi fate a loro". Prodigiosa semplificazione della legge etica. Tutta la legge la imparerò a partire da ciò che desidero per me: fate agli altri quello che desiderate per voi.

"Come agire allora? A partire da me, ma non per me" (Martin Buber, Il cammino dell’uomo). Nessuno è l’obiettivo di se stesso!

Solo uscendo dalla trappola mortale di un individualismo che ha mostrato chiaramente le sue falle e i suoi inganni, sarà possibile ritrovare un bene più ampio e a misura umana, che tutti desideriamo. L’uomo non è una monade gettata per caso nel caos, un caos abitato da innumerevoli altre che vagano come scintille nella notte, ma è relazione, come Dio-Creatore è relazione di persone nell’ intimità del suo essere. Da questa origine deriva nell’uomo un indirizzo di marcia che, prima che essere un imperativo morale, è un’esigenza ontologica, scritta cioè nelle fibre del suo essere uomo. Seguire questa direzione profonda significa per la persona raggiungere se stessa, compiersi, creare una società ricca di relazioni positive. Viceversa, allontanarsi vuol dire negarsi a se stessa, e perdersi in una libertà innamorata di sé: l’individuo è destinato a trovarsi solo con se stesso, e la società che ne consegue sarà tendenzialmente frammentata e insicura, diventerà progressivamente paurosa e aggressiva, ripiegata e autoreferenziale. Il prendersi in carico gli uni gli altri, nella quotidianità dei giorni e degli anni, sarà visto come un insopportabile attentato alla libertà individuale e alla felicità, o come un peso insostenibile per la collettività.

Da questo altare, da dove eleviamo un’intesa preghiera per il nostro Pese, la Chiesa rinnova il suo amore per l’Italia e la gioia di servire il popolo italiano secondo il Vangelo. Come Pastori, al nostro Paese auguriamo di far proprie le parole del salmo: "Rendo grazie al tuo nome, Signore, per la tua fedeltà e la tua misericordia. Nel giorno in cui t’ho invocato, mi hai risposto, hai accresciuto in me la forza.

Amen.

Card. Angelo Bagnasco

Arcivescovo di Genova

Presidente della CEI

 

 

17 marzo 2011

IL TESTIMONE

Tonini: la mia Italia, orgogliosamente umile

Quando è nato lui, di anni l’Italia unita ne aveva poco più di cinquanta. I vecchi ricordavano il Risorgimen­to. I padri, di lì a poco sarebbero partiti per il fronte. E c’era anche il padre di Ersilio Tonini, fra i fan­ti al passaggio dei quali, il 24 mag­gio 1915, il Piave "mormorava". È tutta un’altra Italia quella che e­merge lentamente conversando con il cardinale, che quest’anno nella sua Ravenna compirà 97 an­ni.

Tonini è nato a Centovera di San Giorgio Piacentino, vicino a quel­lo che Guareschi chiamava "il grande fiume", il 20 luglio 1914. Già la data di nascita ti mette sogge­zione. Quante cose quest’uomo anziano, fragile ha visto, ha vissu­to, che tu non sai. I suoi anni coin­cidono quasi con un secolo di sto­ria di questo Paese. L’Italia, pensi, nella sua memoria deve essere più concreta e carnale: non parole su un libro, ma facce, e destini.

Emi­nenza, chiediamo, che cosa rappresenta per lei questo 17 marzo, nuova festa in un’Italia che sembra ancora incerta nel capirne il valore? "Rappresenta - rispon­de Tonini, parlando a­dagio - il diventare vero di un sogno: di ciò che è stato un sogno per ge­nerazioni di italiani. Og­gi noi non riusciamo nemmeno a immagina­re quanto sembrasse impossibile l’unità, do­po secoli di frammenta­zione e dominio stra­niero".

Il sogno avvera­to di 150 anni fa e la fa­ticosa costruzione, poi, di una nazione. Il fante Cesare Tonini, capo­bifolco della più grande cascina di Centovera, e­ra un uomo pacato e mite. Tornò dal fronte con una promozione di cui quasi non fece parola. "Quel che capimmo noi figli era che ave­va fatto semplicemente il suo do­vere fino in fondo. "Patria", era u­na parola che in casa nostra si pro­nunciava con intensità e rispetto. Non con l’accento che avrebbe poi sviluppato il fascismo, in cui si av­vertiva un sapore di volontà di do­minio, di aggressività; patria, era da noi una parola fiera, ma in pa­ce. E - prosegue Tonini - vorrei di­re che se ancora oggi in Italia ab­biamo una opinione pubblica li­bera, libera, libera (ripete tre volte l’aggettivo), non lo dobbiamo ai dotti o agli studiosi, ma a una sa­pienza della gente semplice, del popolo, delle famiglie. Io proven­go da quel mondo, io l’ho cono­sciuto".

Un mondo attraversato dalle lotte politiche degli anni Ven­ti, e in Emilia dal vento di sperate rivoluzioni. "Ma i contadini delle mie parti avevano fatto la guerra, quella vera, nelle trincee, e ne era­no tornati ancora più concreti e più semplici. Mio padre mi diceva che era costata tanto, la vittoria; e che le smanie di rivoluzione erano solo fantasie. Aveva fatto solo la terza elementare, ma aveva una grande stima dell’istruzione.

Mi di­ceva: "Verrà un giorno che anche i figli dei contadini studieranno e faranno la loro parte". Era orgo­glioso della mia voglia di impara­re. La domenica pomeriggio mi prendeva in disparte, voleva esse­re lui a insegnarmi a leggere e a scrivere". Il 17 di marzo dunque per il cardinale è festa. Festa di "quella" Italia umile, concreta, be­nevola in cui è cresciuto. L’Italia di una limpida saggezza popolare, che le veniva dalla tradizione cri­stiana; che aveva come colonna la famiglia e gli affetti, custoditi e ve­nerati. "C’era forte - dice Tonini ­l’idea di dovere dare l’esempio ai figli, di mostrare loro un bene. A casa nostra una delle parole più ri­correnti era "sentimenti": e stava a intendere l’affezione alla casa, ai figli, al lavoro, a ciò che è giusto. Però la si pronunciava in dialetto, "sent...umeent" e detta così aveva più significato, era proprio ciò che sentivamo nel cuore, l’amore al pa­dre, alla madre, alla nostra terra".

Ascolti e cerchi di immaginare, di vedere "quella" Italia di cui Tonini è testimone. Ma, Eminenza, non puoi non domandare, l’Italia di cui lei parla, è certo che esista ancora? "Esiste ancora, anche se sembra quasi non avere voce. Esiste anco­ra il bene, e il nostro antico buon senso. I figli, nella grande maggio­ranza, amano ancora il padre e la madre, e questa è la prima cosa, sono le fondamenta. Lo so, si sen­te dai giornali un gran parlar ma­le dell’Italia; ma se ci fa caso a par­lare male sono quasi sempre i sa­pienti, i dotti, che si sentono in do­vere di esprimere solo critiche. È sempre stato così, mi creda. Ma, sotto a queste parole, c’è ancora un’altra Italia, più semplice, di cui si può essere orgogliosi. Un Paese, anche, da tenere unito, nonostan­te tutte le sue differenze; da salva­guardare dalle spinte dei locali­smi".

La fede, quanto peso ha avuto nel costruire l’Italia che lei ama? "La fede cristiana nell’Italia da cui io vengo era il respiro del popolo, e u­na grande ricchezza". (Lontane fe­ste di paese attorno alle prime Co­munioni dei bambini rivivono nei ricordi di Tonini; il parroco, la pro­cessione, la gente con i vestiti del­la domenica; anche questa, profonda Italia, da cui provenia­mo). Poi, il cardinale racconta di quando, bambino, serviva da chie­richetto, e un contadino fiera­mente ateo lo avvicinò: "Ragazzo, vorrai mica farti prete? Guarda che "quelli" lavorano solo per mante­nere la loro bottega...".

Sorride al ricordo delle grandi passioni del­la sua terra, per cui un vecchio a­teo e un chierichetto di sei anni di­scutevano su Dio. Racconta ancora che in quarta e­lementare, per andare a scuola, fa­ceva ogni mattina a piedi cinque chilometri; e in quinta di più, otto chilometri al giorno, così che suo padre gli regalò una bicicletta. Ti domandi di nuovo: è ancora, que­sto, lo stesso Paese? I nostri figli, che vanno a scuola con la cuffia dell’Ipod sulle orecchie, non fa­rebbero mai otto chilometri a pie­di, al mattino, per una scuola che a loro sembra più un onere che un onore. Certo, dice Tonini, "molti ragazzi non sanno. Non sanno quasi niente della nostra storia, di cosa hanno alle spalle".

I figli non sanno; e, aggiunge il cardinale, "in­vece è fondamentale mantenere la memoria. Sapere da dove si viene, e quanto è costato, arrivarci. È im­portante custodire i ricordi, per vo­lere bene al Paese in cui si vive. È un compito, anzi, la memoria, di­rei anche istituzionale e politico. È un dovere, tramandare la storia, e non solo nei libri: trovare il modo di renderla viva, perché i figli ca­piscano ". E viva è la storia nei ricordi di To­nini. Anche se non rispettano l’or­dine cronologico; e emergono li­beri, vicini o molto lontani. L’in­contro, a Roma, con il nuovo Papa da poco arrivato dalla Polonia. "E­ra commosso da Roma, dalla sua bellezza; si vedeva che scopriva di essere arrivato al centro del mon­do, alla origine dell’Occidente. Co­sì come io da giovane, studente al­la Lateranense, mi emozionavo sui testi di diritto romano; la nostra ci­viltà, pensavo, quanto deve all’Ita­lia, e che straordinaria fucina è sta­to questo Paese nei secoli per l’ar­te e la cultura. E, com’è bello: pen­so alla maestà delle Alpi, alla straordinaria diversità dei paesag­gi. Che ricchezza: un Paese bene­detto. Un Paese segnato dal catto­licesimo, e in cui, dopo tanti viag­gi in luoghi lontani, ho sempre ri­conosciuto come l’impronta di u­na Chiesa più "madre" che altrove.

Di modo che, tornando a casa, mi accorgevo di una serenità di giu­dizio, di una benevolenza verso il prossimo, che non si trova ovun­que; e per cui io sono contento e anche orgoglioso, di essere nato in Italia". Ma ancora premono, si affollano indisciplinati i ricordi: "Io non di­menticherò mai la speranza e l’attesa di quei giorni del ’45, in cui sapevamo che gli Al­leati stavano risalendo l’Italia, che venivano a liberarci. L’anniver­sario di oggi mi fa venire in mente quella nostra grande speran­za. Vorrei solo che anche oggi si avesse più speranza, e fi­ducia, e meno paura. La no­stra storia va a­vanti ". E da co­me lo dice, sembra che parli di un’onda larga, generosa; del fluire ampio e inesauribile del suo Po.

Marina Corradi

 

 

16 marzo 2011

UNITA' D'ITALIA

La Lega svicola sui festeggiamenti, le opposizioni si infuriano

Marco Reguzzoni, incalzato dai cronisti dopo lo show della Lega ieri a Milano, quando i consiglieri del Carroccio hanno abbandonato l'aula al suono dell'inno di Mameli, dice a Montecitorio: "Cosa faremo domani? Non lo so, io non sarò in aula, starò con i bambini, visto che l'asilo è chiuso". Roberto Calderoli, avvicinato alla Buvette, per non schierarsi accampa la scusa che sta mangiando e non può rispondere sulla posizione della Lega a proposito dei festeggiamenti dell'unità d'Italia. Ma la pura verità la dice il ministro leghista Roberto Maroni che, accerchiato dai giornalisti sbotta in Transatlantico: lasciatemi in pace!".

Insomma la Lega lancia il sasso e ritira la mano, anche perchè sul suo atteggiamento sono piovute un diluvio di critiche. Da Massimo D'Alema innanzitutto, che dice a Montecitorio: "È uno scandalo", perchè "È del tutto evidente che un partito di governo ha il dovere di onorare l'anniversario dell'unità d'Italia", insistendo "è un atto intollerabile, una cosa grave". Ma D'Alema ha tenuto ad aggiungere, chiamando in causa direttamente Berlusconi, che "la Lega è notoriamente non responsabile, dunque questo è un problema che riguarda il capo del Governo, che chiama in causa la responsabilità personale del presidente del Consiglio".

A chiedere le dimissioni della Lega è anche l'Idv con Antonio di Pietro e Massimo Donadi, che non usa mezzi termini: "È ora di finirla con questa pantomima ridicola diventata ora intollerabile: se la Lega non ritiene di festeggiare la festa nazionale dei 150 anni dell'Unità d'Italia si assuma le proprie responsabilità politiche ed esca dal governo. Il silenzio di Maroni - aggiunge Donadi -, quel 'lasciatemi in pacè ai cronisti che gli chiedevano della partecipazione sua e della Lega alle celebrazioni, è un'offesa profonda allo Stato, ai cittadini, all'istituzione che rappresenta".

Durissimo anche l'Udc, che con Casini e Cesa parla di "atto vergognoso". Il leader dell'Udc non vuole nemmeno più parlare della Lega, avverte i cronisti, "perchè è una perdita di tempo" ma le critiche non vengono solo dalle opposizioni. Anche all'interno della maggioranza si avverte qualche segnale di fastidio, soprattutto nell'area ex An. la Lega lascerà 'libertà di coscienzà ai propri parlamentari sul partecipare o meno ai festeggiamenti di domani a Montecitorio per i 150 anni dell'unità d'Italia? La scelta non piace affatto per esempio a Ignazio La Russa che, interpellato dall'Agi a Montecitorio, sbotta: "La Lega cresca, e impari che i paesi più federalisti del mondo sono quelli più affezionati all'identità nazionale.

La Lega cresca, ripeto, e smetta di seguire le minoranze estremistiche che ci sono dentro al Carroccio, e che si attardano sul secessionismo che Bossi per primo ha abbandonato".

Pier Luigi Bersani intanto ha sollecitato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a prendere atto di non avere più una maggioranza se la Lega, come ha preannunciato, diserterà domani la seduta del Parlamento per l'Unità d'Italia. "Se domani un partito della sua maggioranza non viene in Parlamento, lui deve dire che la sua maggioranza non c'è più", ha spiegato il leader del Pd ai cronisti alla Camera.

"Berlusconi ha giurato sulla Costituzione e sulla bandiera", ha ricordato, e "su questo non si può scherzare".

 

 

 

17 marzo 2011

I MESSAGGI

Gli auguri alla nazione del mondo cattolico italiano

"Preziosa verità" delle cerimo­nie comme­morative dei 150 anni del­l’Unità italiana in vista del nostro futuro, la sottolinea l’arcivescovo di Milano, car- dinale Dionigi Tettamanzi. In una conversazione con Maria Latella per il primo degli appuntamenti televi­sivi che il cardinale terrà per cinque martedì, su Teleno­va, Radio Marconi, Radio Mater e sul portale della Chiesa Ambrosiana. "Siamo sempre più attenti al pre­sente - ha detto l’arcivesco­vo – e questo è necessario, doveroso ma corriamo il ri­schio che questo presente sia molto impoverito perché taglia le radici originarie e non accoglie una eredità che avrà sì tanti problemi e limiti ma che ha anche straordi­narie ricchezze. Insomma non vale bloccarsi sul 'qui e ora' e in questo senso le ce­rimonie commemorative sono sì cerimonie ma na­scondono una verità pre­ziosa".

Tettamanzi ha evi­denziato, infatti, che noi "apparteniamo a una storia e la dobbiamo rivivere e por­tare avanti proprio grazie al­la eredità che ci è stata la­sciata e sapendo che quello che facciamo oggi avrà una ripercussione per il doma­ni ". Un augurio all’Italia anche dal cardinale Camillo Ruini. "Quella di litigare – ha detto il porporato – è un po’ una nostra caratteristica. Ma posso dire che l’Italia esiste da molto più di 150 anni proprio come nazione nel senso profondo". Anche l’associazionismo cattolico è in prima fila nel­le celebrazioni. L’Azione cat­tolica italiana augura "un buon compleanno" all’Ita­lia e "partecipa alle celebra­zioni in programma nel Pae­se per rinnovare con tutti gli italiani il senso delle ragioni della convivenza democra­tica e dell’unità della Nazio­ne ". L’associazione esprime la "speranza che tutti si sap­pia guardare alla propria storia come a un terreno co­mune su cui costruire il pro­prio futuro e una rinnovata coesione sociale", base del­lo sviluppo del Nord quan­to del Sud "in un sempre più arduo contesto internazio­nale".

Anche le Acli scrivono una lettera di "Auguri" all’Italia e invitano i propri associati ad "esporre il tricolore". "Sia­mo stati tra i protagonisti di questa lunga storia, fin dal­le sue origini repubblicane e costituzionali", affermano le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani, auguran­do che l’Italia "sia all’altez­za degli ideali che hanno i­spirato i suoi padri fondato­ri ", che il passato e la me­moria siano un "patrimonio condiviso e vitale", che "la Costituzione animi il vero patriottismo", nel segno del­la "concordia delle diverse culture, dei laici e dei catto­lici".

"Gioie, grandi dolori, sacri­i fici, la storia del vivere in­sieme tra Sud e Nord come famiglia nazionale, nella vi­cenda del mondo" ha affer­mato il fondatore di Sant’E­gidio, Andrea Riccardi, illu­strando il senso del ritrovar­si insieme della Comunità ieri sera per pregare alla vi­gilia della celebrazione del­l’Unità. "Possiamo essere presi da una visione parzia­le ", ha osservato ancora lo storico cattolico, ma abbia­mo "una funzione nella sto­ria ", che si avverte ora in modo particolare di fronte "a quanto accade nella riva meridionale del Mediterra­neo ". Oggi infine i ragazzi, i giova­ni e gli adulti dell’Azione Cattolica, in ogni parrocchia e in ogni diocesi d’Italia si u­niranno alla preghiera per il nostro Paese, che troverà il suo culmine nella messa che il presidente della, Cei, car­dinale Angelo Bagnasco, ce­lebra a Roma nella Basilica di Santa Maria degli Angeli, e a cui parteciperà la presi­denza della associazione.

Pier Luigi Fornari

 

 

17 marzo 2011

Ciò che è stato, ciò che va fatto

Campane a festa

Noi italiani non siamo sempre bravi a vivere i giorni di festa. E spesso, come anche stavolta le cronache politiche confermano, riusciamo ad addobbarli di polemiche insensate. Ma oggi, 17 marzo 2011, 150° anniversario dell’unità politica d’Italia, vale la pena di essere bravi e felici. Oggi è davvero un giorno speciale, e dovremo saper fare un allegro eppure serissimo sforzo per viverlo bene. Perché oggi ci è offerta l’occasione per celebrare e "capire" con la giusta solennità la nazione e il paese che siamo e che vogliamo essere, e per rifare nostri tre concetti fondamentali: unità, radici, futuro.

Ieri, destinandoci un prezioso regalo di compleanno, anche Benedetto XVI ci ha aiutato a mettere nella testa e nel cuore questa festa. Ha sciolto idealmente, il Papa, le campane della Chiesa universale per noi, figli di una terra e di una storia toccati con straordinaria intensità e fedeltà dal cattolicesimo e segnati dalla millenaria presenza dei Vicari di Cristo. È un gesto d’amore che riassume quelli compiuti nel passato e ancora e sempre – in ogni momento e in ogni angolo della Penisola – da un popolo che è italiano e cristiano. Ci ha ricordato chi siamo e che cosa abbiamo saputo costruire, Papa Benedetto.

Quale straordinaria unità prima dell’unità noi italiani abbiamo fatto e custodito nel bellissimo e coinvolgente segno (segno di mani e opere e volti) dell’umanesimo cristiano, e quali aspri conflitti politici grazie a essa abbiamo potuto e saputo conciliare arrivando, infine, a rispecchiare negli esemplari rapporti tra Stato italiano e Chiesa cattolica quella serena e potente solidarietà ("una profonda amicizia tra comunità civile e comunità ecclesiale") che è sempre stata propria della nostra società, persino nelle fasi più difficili del cammino comune. Non finiremo mai di riflettere su questo punto, e di sottolinearlo. E se la riflessione si farà davvero ampia e condivisa, e se la sottolineatura diventerà forte e convinta, sarà un gran bene per l’Italia. La consapevolezza delle radici è, infatti, la prima condizione di un’unità non formale, è motivo di esistenza ed è sostanza della speranza.

Oggi è, dunque, un giorno di festa da vivere con pienezza. Alzando e approfondendo lo sguardo. All’interno del giornale abbiamo deciso di proporre questa sfida ai nostri lettori facendo correre assieme, pagina dopo pagina, due fiumi di eventi. In alto, in cento piccoli e ben cesellati "quadri", quello degli eventi che hanno segnato il secolo e mezzo che abbiamo alle spalle. Sotto, il consueto incalzare della cronaca quotidiana. È un modo per ribadire che ogni "unità" – l’unità politica di un paese o anche solo l’unità del racconto della nostra terra e del mondo intero – non è mai il fatto di un momento, un conseguimento puntuale e definitivo, ma è un processo che si sviluppa e che continua. Tra luci e ombre. E – se abbiamo abbastanza carità, abbastanza speranza e abbastanza fede – perché le luci arrivino a sovrastare sempre di più le ombre.

Per sentirsi davvero uniti, bisogna avere il senso di far parte di un popolo e di una storia. È davvero così banale, oggi, dirlo? C’è chi lo pensa e chi lo proclama. Noi no. Perché viviamo un tempo duro, nel quale si dice troppo poco ciò che pure andrebbe detto, ridetto e ripetuto, trasmettendo il senso e la bellezza di ciò che davvero vale. Perché fioccano, invece, le incresciose controtestimonianze di chi crede di poter negare e strappare le nostre radici profonde o magari pensa di trasformare la ricca e articolata "identità" degli italiani in invettive che dividono. No, l’identità – quella vera, sostanza di secoli, di fede, di cultura e di vita – è ciò che ci permette di essere uniti. E ciò che ci dà la forza, e quasi ci impone, di progettare il futuro.

Sarà, insomma, giusto e bello se sapremo vivere questo 17 marzo come una festa grande, come una festa di tutti. E farne memoria come di un "giorno dei giorni". Dei giorni che sono stati e dei giorni che ancora verranno. Ma la memoria ha bisogno di segni. E visto che nessuna memorabile opera è stata progettata per ricordare questo anniversario, ci permettiamo di proporre (anzi di riproporre) un’alternativa. Si faccia del 2011 l’anno della grande riforma del fisco italiano, e finalmente lo si orienti – come promesso – al rispetto e al sostegno delle famiglie rimuovendo un’incredibile e a tutt’oggi strutturale ostilità verso chi si sposa e mette al mondo figli. L’Italia ha bisogno della sua gente, ridiamogliela anche con questo mezzo. Se una buona volta accadrà, avrà più senso sciogliere le campane a festa. Per gli anni passati e per quelli che abbiamo davanti.

Marco Tarquinio

 

 

 

 

 

 

 

2011-01-08

8 gennaio 2011

150 UNITA' D'ITALIA

Napolitano: "Tutto il Paese

riscopra le radici dell'unità"

Tutta l'Italia, da Milano a Verona a Venezia, abbia coscienza delle proprie radici unitarie. È il monito espresso oggi a Forlì dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a margine dell'iniziativa che si è svolta al teatro Fabbri dal titolo "Come fu che la Romagna divenne italiana". Il capo dello Stato prende ad esempio proprio la città di Forlì per spiegare che essa "mostra di avere coscienza delle proprie radici, del proprio contributo al moto unitario e sa far rivivere questa sua storia nel modo più efficace".

"Un esempio che - prosegue Napolitano - mi auguro venga seguito altrove in tutte quelle parti del Paese, da Milano a Venezia a Verona, affinchè sappiano come divennero italiane".

L'appuntamento di questa mattina al teatro forlivese si è concentrato su una sorta di lettura storica del sindaco Roberto Balzani degli avvenimenti legati a Garibaldi e in particolare alla "grande fuga" e ai ricordi degli attori principali dell'epoca, da Massimo D'Azeglio a Piero Maroncelli, da Leonida Mantovani a Primo Uccellini, ad Aurelio Saffi, ex ministro dell'Interno.

 

 

 

8 gennaio 2011

L'ITALIA IN FESTA

Bossi: "L’unità si festeggia dopo il sì al federalismo"

"Festeggiare i 150 anni del­l’Unità d’Italia? Sì, dopo che sarà approvato il fe­deralismo ", cambia l’ordine dei fat­tori, Umberto Bossi. "Se non si attua il federalismo - avverte - vorrebbe di­re che 150 anni sono passati invano. Dobbiamo ricordare quel che disse Cavour in proposito. Perchè l’unità d’Italia col centralismo romano non va bene". Con Giorgio Napolitano – che ha ricordato a tutti il rispetto del Tricolore e poi, rivolgendosi alla Le­ga, ha ammonito come la mancata partecipazione alle celebrazioni ri­schi di "indebolire le legittime istan­ze di riforma federalistica" – non è polemica aperta, ma certo è una marcata, ostentata, presa di distan­ze dalle celebrazioni. "Celebrare i 150 anni senza il federalismo, con tutto ancora centralizzato a Roma, sareb­be una cosa negativa", insiste Bossi. "Il federalismo è u­na speranza", dice il leader leghista rien­trato a Gemonio, dopo le vacanze a Ponte di Legno e Ca­lalzo di Cadore. "Bi­sognerebbe almeno arrivare a realizzare il progetto di Ca­vour ", puntando an­cora sullo statista u­nitario di recente riabilitato anche dalla Padania.

Ma il feeling con Na­politano non è rotto. Ci pensa lo stes­so Capo dello Stato, intervenendo di nuovo in serata da Forlì, a stempe­rare, indicando l’esigenza di "supe­rare il centralismo con spirito unita­rio". Ed ecco Roberto Calderoli, in­testatario, per la Lega, dei rapporti col Quirinale tirare un sospiro di sol­lievo: "Ogni parola di Napolitano è u­na sorpresa positiva. Non mi ero sba­gliato nel ringraziarlo per la sua a­nalisi ", dice il ministro della Sempli­ficazione, richiamando un suo pri­mo intervento nel pomeriggio, quando la tensione sembrava salire. "Trovo bello – aveva detto, guardan­do al bicchiere mezzo pieno – che Napolitano, nell’aprire le celebra­zioni per i 150 anni dell’Unità d’Ita­lia, abbia fatto espressa menzione al federalismo e abbia anche ricorda­to che la Costituzione fa argine a ri­torni del nazionalismo". Un’opera di mediazione nella quale si erano spesi anche i governatori le­ghisti: "La miglior risposta che il Par­lamento può dare alle celebrazioni per i 150 anni è approvare il federa­lismo", aveva detto Luca Zaia, ricor­dando come lo stesso Napolitano a­vesse spiegato che "il federalismo non è più scelta ma necessità". Stes­si argomenti usati anche da Rober­to Cota: "L’appuntamento va visto in prospettiva ragionando su uno Sta­to che dopo 150 anni guardi al futu­ro, che sia più moderno e vicino ai cittadini", ragionava il presidente del Piemonte.

E "l’approvazione defini­tiva dei decreti attuativi del federa­lismo rappresenta il miglior viatico". Toni che rassicurano anche il Pdl, adope­ratosi con Fabrizio Cicchitto per indica­re la compatibilità fra le priorità indicate dal Carroccio e quel­le richiamate dal Quirinale. "Stop al tritacarne anti-unita­rio ", chiede la fonda­zione finiana Farefu­turo. "Il federalismo non sia occasione di divisioni", dice Rosy Bindi, presi­dente dell’assemblea del Pd che sul federalismo fiscale diede un voto di benevola astensione. E l’Udc, che in­vece votò contro, ora dice, con il se­gretario Lorenzo Cesa: "Ci ricono­sciamo in pieno nell’approccio del presidente Napolitano, per un un fe­deralismo davvero solidale". E il presidente del Senato Renato Schifani si unisce all’appello del Ca­po dello Stato per l’"amata Bandie­ra, prima testimone di coraggio, sa­crifici, battaglie, e poi simbolo del nostro Stato e del nostro popolo".

Angelo Picariello

 

 

 

 

 

 

CORRIERE della SERA

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2011-03-19

i 150 anni dell'unita' d'italia a torino

Il Teatro Regio s'infiamma

Applausi a Napolitano, fischi a Cota

Il Presidente della Regione Piemonte

non aveva partecipato all'alzabandiera

Contestati i deputati leghisti

i 150 anni dell'unita' d'italia a torino

Il Teatro Regio s'infiamma

Applausi a Napolitano, fischi a Cota

Il Presidente della Regione Piemonte

non aveva partecipato all'alzabandiera

Contestati i deputati leghisti

MILANO - Applausi e affetto per Napolitano, fischi e contestazioni per i rappresentanti leghisti nelle istituzioni: l'intera giornata torinese di Napolitano è stata costellata dal contrappunto fra le manifestazioni di calore per il Presidente della Repubblica e quelle di rifiuto, manifestato con brusii e fischi per gli esponenti del Carroccio. Il contrasto più acuto è stato davanti alle ex Officine Grandi Riparazioni, dove alcuni bambini hanno accolto Napolitano sventolando bandierine tricolori, ma hanno fischiato il Presidente leghista della Regione Piemonte, Roberto Cota.

BAMBINI IN PRIMA FILA - Un'insegnante ha spiegato di aver fatto fischiare i bambini perché, ha detto, era proprio quella l'occasione giusta per contestare Cota che ieri, in piazza Castello, non ha partecipato alla cerimonia dell'alzabandiera. L'episodio ha suscitato opposte interpretazioni. Per il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, "i bambini vogliono fare festa, ma se sentono gli adulti fischiare li imitano", mentre per il capogruppo regionale del Carroccio, Mario Carossa, quella di oggi è stata "un'ignobile strumentalizzazione" e "una schifezza disgustosa". Napolitano, che ha raccolto per tutto il giorno l'entusiasmo e l'affetto dei torinesi, ha ricambiato tanto calore rendendo merito a Torino "per come ha creduto nell'evento e nell'anniversario dei 150 anni". "Al di là dei cambiamenti di direzione politica della Regione - ha detto - il programma delle celebrazioni è stato portato avanti con continuità e coerenza, e questo fa onore alla vostra città e alla Regione".

BUFFONE - Le contestazioni agli esponenti della Lega sono cominciate fin dal mattino. Le prime sono state per Michelino Davico, sottosegretario leghista agli Interni, accolto al Teatro Regio al grido di "buffone, buffone". Davico ha risposta definendo la polemica sulle presenze e sulle assenze "piuttosto sterile". Durante la cerimonia ufficiale il bersaglio è stato Cota, proprio nel momento in cui invitava "a non fare polemiche". In sala c'è stata prima del brusio, poi qualche fischio. "Ecco, questo è un esempio delle polemiche che bisogna evitare", ha detto Cota rivolto alla platea. Il suo discorso è poi proseguito senza intoppi fino alla fine, quando ha riscosso applausi. Le altre contestazioni hanno accompagnato gli esponenti leghisti nel corso di tutta la giornata, dall'uscita del Teatro Regio (ancora Davico) fino a davanti a Palazzo Madama dove qualche urlo e invito a dimettersi è stato lanciato in direzione dei leghisti che seguivano Napolitano nel suo trasferimento a piedi.

(Barbara Paloschi, Ansa).

18 marzo 2011

 

 

2011-03-18

CELEBRAZIONI pER TUTTO IL GIORNO

Cerimonia solenne a Montecitorio:

ma la Lega snobba la festa

Solo in cinque (quattro del governo) alla Camera. In mattinata l'omaggio di Napolitano al Milite Ignoto. Contestazioni per Berlusconi. Auguri di Obama

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L'arrivo di Napolitano a Montecitorio (Ansa)

L'arrivo di Napolitano a Montecitorio (Ansa)

ROMA - E' il momento più solenne e ufficiale dei festeggiamenti del 17 marzo: la seduta congiunta delle Camere a Montecitorio, con il discorso del presidente delle Repubblica Giorgio Napolitano. E la Lega non c'è: sono presenti solo per il governo i ministri Umberto Bossi, Roberto Maroni, il sottosegretario all'Interno Michelino Davico e Sonia Viale (sottosegretario all'economia) e Sebastiano Fogliato, della commissione Agricoltura di Montecitorio. Quando parte l'inno di Mameli i componenti del governo lo cantano mentre Bossi cerca di chiacchierare con Tremonti. Il ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli, che era apparso in Aula accompagnato da Umberto Bossi, mentre Napolitano tiene il suo discorso, non si riesce a scorgere dall'alto della tribuna. I ministri della Lega, Bossi e Maroni e Sonia Viale non hanno applaudito quando il Presidente Napolitano, ha parlato di "Patria una". Mentre gli altri ministri, e soprattutto il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, si spellano le mani ad applaudire (sono state una decina le interruzioni per applausi), gli esponenti del Carroccio restano impassibili. Solo Bossi, a un certo punto, mentre ci sono ancora i battimani, batte con il pugno per tre volte sul banco. Quando il Presidente cita il Papa Benedetto XVI si è levato un applauso, a cui si sono uniti anche i componenti del Carroccio. Solo alla fine, quando lunghi e corali applausi hanno sottolineato la conclusione del discorso del presidente della Repubblica Maroni ha applaudito rivolto verso il capo dello Stato, mentre Umberto Bossi guardando sempre verso l'Aula ha più volte battuto il pugno sul tavolo come spesso ha fatto in diverse occasioni durante la lettura del discorso.

L'aula della Camera (Imagoeconomica)

L'aula della Camera (Imagoeconomica)

"FEDERALISMO E SUD" - E Napolitano, nel suo discorso, ha parlato anche di federalismo. "Oggi dell'unificazione celebriamo l'anniversario vedendo l'attenzione pubblica rivolta a verificare le condizioni alle quali un'evoluzione in senso federalistico -e non solo nel campo finanziario- potrà garantire maggiore autonomia e responsabilità alle istituzioni regionali e locali rinnovando e rafforzando le basi dell'unità nazionale. È tale rafforzamento, e non il suo contrario, l'autentico fine da perseguire". "Quello del divario tra il Nord e il Sud del paese si deve considerare uno dei problemi "di ordine strutturale, sociale e civile che abbiamo ereditato tra le incompiutezze dell'unificazione perpetuatesi fino ai nostri giorni" e per il quale queste celebrazioni possono essere "occasione per una profonda riflessione critica per un esame di coscienza collettivo". Il capo dello Stato ha sottolineato che si tratta di un problema che si trova "al centro delle nostre preoccupazioni" e al quale "nessuna parte del nostro paese può sottrarsi. È essenziale - ha concluso - il contributo di una severa riflessione sui propri comportamenti da parte delle classi dirigenti e dei cittadini dello stesso mezzogiorno". Replica, anche se solo indirettamente, a chi non sta partecipando ai festeggiamenti. Il "cemento nazionale unitario" ha detto Napolitano non deve essere "eroso e dissolto da cieche partigianerie, da perdite diffuse del senso del limite e della responsabilità". Chiude con "Viva l'Italia, viva l'unità". E, a sorpresa, dal settore di sinistra dell'emiciclo i deputati del Pd hanno intonato l'Inno di Mameli ha contagiato tutta l'Aula. Un fuori programma.

SEDUTA CONGIUNTA CAMERE - L'aula di Montecitorio è quasi gremita: l'emiciclo è pieno a partire dai banchi della sinistra mentre nei settori alti del centrodestra si notano diversi posti vuoti. Il governo schierato al completo: Berlusconi ha al suo fianco il ministro dell'Economia Giulio Tremonti e quello delle Riforme Umberto Bossi. A seguire, alla sua sinistra Altero Matteoli, Roberto Maroni, Mariastella Gelmini, Renato Brunetta, Angelino Alfano ed Elio Vito. Alla destra del premier siedono Franco Frattini, Paolo Romani, Mara Carfagna, Gianfranco Rotondi, Ferruccio Fazio, Elio Vito. Il ministro della Difesa Ignazio La Russa, che non ha fatto in tempo a trovare posto fra i banchi del governo, ha dovuto trovare una poltrona al primo banco dell'emiciclo nel settore del centrodestra. L'Aula è addobbata con bandiere tricolori lungo le colonne delle tribune, su diversi scranni è dispiegata la bandiera nazionale mentre spicca la senatrice dell'Udc Dorina Bianchi vestita interamente di bianco con una lunga sciarpa tricolore sulle spalle. Si fa notare anche Maria Pia Garavaglia, che su un completo blu porta a mo' di sciarpa la bandiera italiana, mentre una sorta di bandiera vivente è stata la scelta di Laura Bianconi che indossa un completo rosso sul quale spiccano le due ali bianca e verde di una sciarpa che scende lungo i fianchi. Presenti diversi sindaci con la fascia tricolore, tra cui il primo cittadino di Roma Gianni Alemanno, oltre a presidenti di Regione e di Provincia. Molti applausi, praticamente una standing ovation per Carlo Azeglio Ciampi. In tribuna anche Oscar Luigi Scalfaro e l'ex presidente del Consiglio Romano Prodi.

LA GIORNATA - Il commosso omaggio al Milite Ignoto sulle note di Mameli. E poi la corona al primo re d'Italia e all'eroe dei Due Mondi (e alla sua Anita). La Messa solenne nella chiesa di Santa Maria degli Angeli. E ogni volta un bagno di folla. Così era cominciata la giornata delle celebrazioni ufficiali per i 150 anni dell'Unità d'Italia. Protagonista il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che per tutta la giornata guida i festeggiamenti ufficiali . Dopo quelli dei cittadini (cui ha preso parte lo stesso Capo dello Stato, a Roma), che hanno festeggiato tutta la notte in moltissime piazze del Paese. E ovunque, il Presidente trova ad accoglierlo applausi e grida di affetto (e nei prossimi giorni volerà a Torino, Milano, Varese).

Napolitano all'Altare della Patria (Infophoto)

Napolitano all'Altare della Patria (Infophoto)

ALTARE DELLA PATRIA - Nella Capitale si comincia con l'alzabandiera all'Altare della Patria: il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (accompagnato da tutte le più alte cariche istituzionali dello Stato) rende omaggio al Milite Ignoto. E canta l'Inno di Mameli. E con lui tutte le persone accorse numerose in piazza Venezia, nonostante il tempo molto incerto. Moltissimi i messaggi di auguri arrivati a Napolitano dai capi di Stato di tutto il mondo per l'anniversario. Nel suo, il presidente Usa Obama si augura "un ulteriore rafforzamento dell'amicizia fra Italia e Stati Uniti negli anni a venire".

PANTHEON - Il Presidente si reca poi al Pantheon: lì depone una corona di alloro sulla tomba di Vittorio Emanuele II, primo re d'Italia. Con lui, presenti anche alcuni eredi Savoia.

Italia 150, le celebrazioni ufficiali Italia 150, le celebrazioni ufficiali Italia 150, le celebrazioni ufficiali Italia 150, le celebrazioni ufficiali Italia 150, le celebrazioni ufficiali Italia 150, le celebrazioni ufficiali Italia 150, le celebrazioni ufficiali Italia 150, le celebrazioni ufficiali

L'omaggio di Napolitano al Pantheon (Ansa)

L'omaggio di Napolitano al Pantheon (Ansa)

GIANICOLO - Subito dopo, al Gianicolo, Napolitano, salutato da una batteria d'artiglieria che ha eseguito 21 salve di cannone, ha scoperto il monumento equestre (appena restaurato) di Anita Garibaldi e Giuseppe Garibaldi, e quindi inaugurato il nuovo Parco degli Eroi, soffermandosi sul Muro del Belvedere sul quale è stata è scolpita la Costituzione della Repubblica Romana. Gli studenti del quartiere hanno scoperto le 83 emre dei garibaldini, anch'esse restaurate per l'occasione. Tanta la folla al Gianicolo. E le bandiere tricolori. E l'affetto dei cittadini per il Capo dello Stato, tanto da volergli stringere la mano, per una dimostrazione anche fisica di vicinanza. A chi gli augura di poter "campare 150 anni", il Capo dello Stato risponde scherzando: "Anche qualcosa di meno...".

Lo striscione esposto davanti al Pantheon (Blowup)

Lo striscione esposto davanti al Pantheon (Blowup)

LE CONTESTAZIONI - Non solo applausi però per il corteo presidenziale. Al Pantheon, c'è stata una prima contestazione: subito dopo l'ingresso delle autorità, da un balcone di piazza della Rotonda è stato issato un grosso manifesto con la scritta "Io non festeggio genocidi, la vita è bella", fatto togliere, un po' bruscamente, da un uomo della sicurezza dopo pochi minuti. Poco prima dell'arrivo del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, invece, un solitario contestatore ha fischiato l'ex erede al trono Vittorio Emanuele, arrivato al Pantheon con moglie, figlio e nuora.

FISCHI PER BERLUSCONI - Ce n'è anche per il premier Silvio Berlusconi che accompagna Napolitano in tutte le tappe romane di questa giornata di celebrazioni e omaggi. Appena arrivato al Museo della Repubblica romana, il premier è stato accolto da un coro di "dimettiti, dimettiti". Pochi minuti dopo, all'arrivo del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sono partiti invece applausi e incitamenti. Ma già prima al Gianicolo, qualcuno, rivolto a Berlusconi, gli aveva gridato : "Buffone". E lui ai giornalisti aveva detto: "Oggi non rilascio dichiarazioni. Le lasciamo fare al Presidente della Repubblica". Ma per il premier ci sono state anche urla di appoggio con "resisti, resisti". Fischiato anche il ministro dell'Istruzione Maria Stella Gelmini all'uscita dalla celebrazione nella Basilica di S. Maria degli Angeli.

Berlusconi e Napolitano davanti al muro al Gianicolo con il testo della Costituzione italiana (Lapresse)

Berlusconi e Napolitano davanti al muro al Gianicolo con il testo della Costituzione italiana (Lapresse)

LA MESSA - Dopo la visita al museo di Porta San Pancrazio, Napolitano è alla Basilica di Santa Maria degli Angeli, in piazza della Repubblica. Lì lo attende il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, che celebra la S. Messa per il 150° (leggi l'Omelia). Al suo ingresso nella chiesa gremita, un nuovo scroscio di applausi dà il benvenuto a Napolitano. Ancora fischi invece per il premier Berlusconi, anche lui giunto in Basilica (dopo il Presidente), e accolto all'esterno da un gruppo di un centinaio di persone che gli ha gridato: "Dimettiti, dimettiti". Il presidente del Consiglio non si è scomposto, ha alzato la mano in segno di saluto ed è entrato in chiesa. Anche a questa celebrazione prendono parte le più alte cariche dello Stato e del Governo.

Le Frecce Tricolori (Liverani)

Le Frecce Tricolori (Liverani)

FRECCE TRICOLORI - C'è anche l'omaggio delle Frecce Tricolori. La Pattuglia acrobatica nazionale dell'Aeronautica militare ha disegnato infatti nel cielo di Roma (piuttosto grigio, ma in quel momento illuminato da un timido sole) il tricolore più lungo del mondo. "Un tricolore - aveva promesso lo Stato maggiore della Forza armata - che idealmente si estenderà dalla Capitale a tutto il Paese e unirà, da nord a sud, tutti gli italiani". Le "Frecce", dopo il decollo dall'aeroporto di Pratica di Mare, hanno sorvolato la zona dell'Altare della Patria intorno alle 9, in concomitanza con la deposizione della corona di alloro al Sacello del Milite Ignoto da parte del presidente Napolitano.

NABUCCO ALL'OPERA - La giornata romana di Napolitano per le celebrazioni del 150° si conclude al Teatro dell'Opera di Roma, dove il Presidente assiste al Nabucco di Verdi diretto da Riccardo Muti.

IL PROGRAMMA DEL PRESIDENTE - Il 18 marzo il Capo dello Stato sarà a Torino, prima capitale dell'Italia unita, dove interverrà alla cerimonia ufficiale al Teatro Regio organizzata dal Comitato Italia 150. Successivamente sarà a Palazzo Madama, dove è stata ricreata la struttura dell'Aula del primo Senato italiano, e a Palazzo Carignano per l'inaugurazione del nuovo Museo Nazionale del Risorgimento. Nel pomeriggio, dopo aver inaugurato "In limine", opera di G. Penone allestita davanti alla GAM (Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea), il presidente visiterà le Officine Grandi Riparazioni (OGR), complesso ottocentesco nato per la manutenzione di locomotive dove sono ospitate mostre dedicate al passato e al futuro dell'Italia. La sera del 18 marzo tornerà al Regio per la rappresentazione de "I Vespri Siciliani" con la direzione di Gianandrea Noseda.

19 MARZO - Il 19 il Capo dello Stato visiterà il rinnovato Museo Nazionale dell'Automobile. Successivamente si recherà al complesso della Venaria Reale, la Reggia sabauda che ospita la mostra "La bella Italia. Arte e identità delle città capitali" dedicata alle identità delle capitali culturali preunitarie con 360 opere che raccontano le tante Italie che nel 1861 si incontrarono nel nuovo Stato. La sera, Napolitano sarà al Teatro Gobetti per la rappresentazione delle Operette Morali di Giacomo Leopardi per la regia di Mario Martone.

MILANO E VARESE - A Milano e Varese, il 20 e il 21 marzo, si concluderà il viaggio del presidente della Repubblica. Il 20 marzo sarà a Milano con il "Treno Tricolore". Il primo appuntamento è a Palazzo Marino per partecipare all'incontro di studi su Carlo Cattaneo; quindi l'inaugurazione a Palazzo Reale della mostra "Le grandi battaglie risorgimentali". Nel pomeriggio è prevista una visita alle due sale del Museo del Risorgimento allestite per commemorare le Cinque Giornate di Milano. Successivamente il Capo dello Stato assisterà ad un concerto organizzato dalla Fondazione "LaVerdi". Il 21 Napolitano sarà a Palazzo Lombardia per visitare la nuova sede della Regione. Partirà poi per Varese, dove a Palazzo Estense incontrerà i rappresentanti delle amministrazioni locali. Nel pomeriggio sono in programma le visite all'Università dell'Insubria e alla Camera di Commercio. Infine il rientro a Roma.

Redazione online

17 marzo 2011(ultima modifica: 18 marzo 2011)

 

A Napolitano auguri da tutto il mondo

I messaggi dei capi di Stato stranieri al presidente per il 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia

A Napolitano auguri da tutto il mondo

I messaggi dei capi di Stato stranieri al presidente per il 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

MILANO - Auguri da tutto il mondo a Giorgio Napolitano, in occasione del 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia. In un comunicato, il Quirinale spiega che il capo dello Stato sta ricevendo in queste ore numerosi messaggi. Dopo il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha voluto onorare la ricorrenza anche il presidente dell'Irlanda, Mary McAleese, e nel felicitarsi ha sottolineato come "il 17 marzo è il giorno di San Patrizio, una data di speciale significato per l'Irlanda e per gli irlandesi nel mondo". Il presidente della Slovenia, Danilo Turk, si è detto "convinto che i buoni rapporti di amicizia fra il suo Paese e l'Italia continueranno a consolidarsi anche in futuro e che la cooperazione ramificata in tutti i settori fra i nostri due Stati amici potrà approfondire ancora di più la reciproca stima e comprensione". Da Malta, George Abela ha ricordato gli "speciali legami plurisecolari tra i due Paesi basati su affinità storiche, culturali, linguistiche, economiche, sociali, e l'interesse, l'ammirazione con i quali il Risorgimento e l'unificazione d'Italia vennero osservati dal popolo maltese".

GLI ALTRI AUGURI - Auguri a Napolitano anche dalla presidente della Confederazione Svizzera, Micheline Calmy-Rey e dal governatore generale del Canada, David Johnson. Quest'ultimo, nel suo messaggio, ha sottolineato che "Canada e Italia hanno un'amicizia di lunga data, valori condivisi e forti legami di cultura e di retaggio" e ha rilevato che "la vasta comunità di canadesi di origine italiana giuoca in questa partnership un ruolo importante: abbiamo molta storia in comune e continuiamo a lavorare strettamente insieme". "Calorose congratulazioni" sono state espresse da Sua Maestà la Regina Margrethe di Danimarca. Il Presidente del Parlamento Europeo Jerzy Buzek, in una lettera ha voluto ringraziare l'Italia e gli italiani "per il loro contributo a creare l'Europa e gli europei e a mantenere vivo il progetto di integrazione anche nei momenti più difficili". Anche i Capitani reggenti, i due capi di Stato di San Marino, Giovanni Francesco Ugolini e Andrea Zafferani, hanno inviato un messaggio di augurio a Napolitano, ribadendo il legame con l'Italia e la sua storia a partire dal ruolo avuto nel Risorgimento, con l'ospitalità data a Garibaldi, e durante la Seconda Guerra Mondiale, con l'accoglienza degli oltre 100mila italiani sfollati.

Redazione online

17 marzo 2011

 

 

 

 

 

 

2011-03-17

Diretta

150 Italia, Berlusconi contestato

Napolitano cita Mazzini: "L'Italia è una"

Si sono svolte le celebrazioni per il 150esimo anniversario della proclamazione dell'Unità d'Italia. Molti applausi per Napolitano. La folla fischia il Cavaliere. E lui: "Non lascio il Paese ai comunisti". Fischi anche per il ministro della Difesa, Ignazio La Russa. Ad assistere al discorso di Napolitano a Montecitorio presenti solo 5 leghisti. Da loro nessun applauso, ma Bossi al termine dice: "Un buon discorso, il presidente è una garanzia"

(Aggiornato alle 17:53 del 17 marzo 2011)

17:53

Di Pietro: "Contestazioni a Berlusconi? E' fine regime" 97 –

"Siamo alla fine di un regime. Le Contestazioni di oggi indirizzate al presidente del Consiglio ne sono la prova". Lo ha affermato il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, commentando in una nota quanto accaduto durante alcuni momenti delle celebrazioni dei 150 anni dell'unità d'Italia.

17:51

Bossi: "Lega assente? C'eravamo quasi tutti" 96 –

Sull'assenza dei parlamentari leghisti dalla cerimonia per il 150 anniversario dell'unità d'Italia, Bossi ha detto: "C'eravamo quasi tutti. E comunque chiedete ai capigruppo".

17:50

Prodi:" Applausi a me e fischi a Berlusconi? Non ci bado" 95 –

Applausi per Romano Prodi e fischi per Silvio Berlusconi. Interpellato sulle diverse reazioni della piazza, nel giorno del 150mo anniversario dell'unità, l'ex premier glissa. "Io non ci ho badato...", si limita a rispondere.

17:41

Napolitano incontra Fini, Schifani e Berlusconi 94 –

Dopo la conclusione della cerimonia per celebrare i 150 anni dell'Unità d'Italia, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano sta incontrando le alte cariche dello Stato. Con il Presidente della Repubblica sono presenti Gianfranco Fini, presidente della Camera, e Renato Schifani, presidente del Senato. All'incontro è presente anche il premier Silvio Berlusconi.

17:38

Napolitano: "Ce la faremo con nuovo cemento unitario" 93 –

"Reggeremo alla prove che ci attendono, come in altri momenti cruciali del passato. Ma ci riusciremo a una condizione: che operi nuovamente un forte cemento nazionale unitario, non eroso e dissolto da cieche partigianerie, da perdite diffuse del senso del limite e della responsabilità". Con queste parole Giorgio Napolitano ha concluso il discorso alla Camera.

17:37

Berlusconi saluta deputati, senatori e amministratori 92 –

Finita la cerimonia nell'aula di Montecitorio per i 150 anni di unità italiana, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi non ha lasciato l'emiciclo con il capo dello Stato ed i presidenti delle Camere, ma si è diretto dai banchi del governo al centro dell'emiciclo. Lì ha iniziato a salutare deputati, senatori e amministratori locali di centrodestra che gli si sono avvicinati per incontrarlo.

17:35

Bossi: "Da Napolitano un buon discorso" 91 –

"Ha fatto un buon discorso". Così Umberto Bossi commenta con i cronisti il discorso pronunciato in aula a Montecitorio dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione del 150/o dell'Unità d'Italia. "Napolitano è una garanzia", ha aggiunto Bossi.

17:26

Napolitano: "Viva l'Italia" 90 –

Napolitano ha concluso. L'Aula intona l'inno d'Italia.

17:24

Napolitano: "Con Chiesa rapporto costruttivo" 89 –

"Il rapporto dello Stato italiano con la Chiesa è costruttivo e può contribuire a rafforzare la coesione nazionale, come dimostrato dal messaggio di Benedetto XVI per i 150 anni dell'Unità d'Italia". Ad assicurarlo è Napolitano.

17:22

Napolitano: "Non confondere Patria con Nazionalismo" 88 –

"Dell'identità nazionale è componente primaria il senso di patria, l'amor di patria emerso tra gli italiani attraverso vicende anche laceranti e fuorvianti. Aver scoperto dopo il fascismo quel valore non può essere confuso con qualsiasi cedimento al nazionalismo" continua Napolitano. "Abbiamo conosciuto - afferma il capo dello Stato - i guasti e pagato i costi della boria nazionalistica, delle pretese aggressive verso altri popoli e delle degenerazioni razzistiche. Ma ce ne siamo liberati e dunque nessun impaccio è giustificabile, nessun impaccio può trattenerci dal manifestare la nostra fierezza nazionale, il nostro attaccamento alla patria italiana".

17:21

Napolitano: "Interesse generale guidi le sfide" 87 –

"Non è certo mia intenzione passare qui in rassegna l'insieme delle prove che ci attendono. Vorrei solo condividessimo la convinzione che esse costituiscono delle autentiche sfide, quanto mai impegnative e per molti aspetti assai dure, tali da richiedere grande spirito di sacrificio e slancio innovativo, in una rinnovata e realistica visione dell'interesse generale" continua Napolitano

17:18

Napolitano: "Collocazione Ue nostra chance più rilevante" 86 –

"La nostra collocazione convinta, senza riserve, assertiva e propulsiva nell'Europa unita, resta la chance più grande di cui disponiamo per portarci all'altezza delle sfide, delle opportunità e delle problematicità della globalizzazione". Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

17:16

Napolitano: "Emergenza lavoro tra i giovani" 85 –

La questione sociale deve essere vista "innanzitutto come drammatica carenza di prospettive di occupazione per una parte rilevante dei giovani" dice Napolitano

17:14

Napolitano: "Serve nuovo cemento nazionale" 84 –

"Reggeremo alle prove che ci attendono, come abbiamo fatto in momenti cruciali del passato, perchè disponiamo anche oggi di grandi riserve di risorse morali e umane. Ma ci riusciremo ad una condizione: che operi nuovamente un forte cemento nazionale unitario, non eroso e dissolto da cieche partigianerie, da perdite diffuse del senso del limite e della responsabilità" afferma Napolitano

17:14

Napolitano:" Autonomia vera innovazione della Carta" 83 –

Nella Costituzione, come venne indicato nella relazione Ruini '''l'innovazione più profonda" consisteva nel poggiare l'ordinamento dello Stato su basi di autonomia, secondo il principio fondamentale dell'articolo 5 che legò l'unità e l'indivisibilità della Repubblica al riconoscimento e alla promozione delle autonomie locali, riferite, nella seconda parte della Carta, a Regioni, Province e Comuni". E' quanto afferma il Capo dello Stato Giorgio Napolitano

17:12

Napolitano: "Costituzione base del vivere comune" 82 –

"Non ha nulla di riduttivo legare patriottismo e Costituzione. Una Carta che rappresenta tuttora la valida base del nostro vivere comune, offrendo, insieme con un ordinamento riformabile attraverso sforzi condivisi, un corpo di principi e valori in cui tutti possono riconoscersi". Così il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

17:11

Napolitano: "Orgoglio per ciò che nacque" 81 –

Napolitano invita ad avere "motivi di orgoglio per quel che 150 anni fa nacque e si iniziò a costruire, motivi di fiducia nella tradizione di cui in quanto italiani siamo portatori".

17:00

Napolitano: "Federalismo rafforzi unità" 80 –

"Un'evoluzione in senso federalistico" dello Stato "potrà garantire maggiore autonomia e responsabilità alle istituzioni regionali e locali rinnovando e rafforzando le basi dell'unità nazionale". E' uno dei passaggi centrali del discorso che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano

16:59

Napolitano: "Fuorvianti certi clamorosi semplicismi" 79 –

"Sono fuorvianti certi clamorosi semplicismi" sul processo unitario dell'Italia. Lo ha detto Giorgio Napolitano. Lo stesso per "l'immaginare un possibile arrestarsi del movimento per l'unità poco oltre il limite di un Regno dell'alta Italia".

16:57

Napolitano: "Risorgimento fonte d'orgoglio" 78 –

"Le vicende risorgimentali sono da molteplici punti di vista fonte di orgoglio vivo e attuale" continua Napolitano

16:56

Niente applausi da Bossi e Maroni 77 –

I ministri Bossi e Maroni ed il sottosegretario Viale non si uniscono mai agli applausi che si levano nell'aula di Montecitorio, neanche quando punteggiano alcuni punti dell'intervento del presidente Giorgio Napolitano.

16:53

Napolitano cita Mazzini: "L'Italia è una" 76 –

Napolitano cita Mazzini: "L'Italia è una". Invitando ad onorare la memoria dei "giovani e giovanissimi, protagonisti talvolta delle imprese più audaci e disperate del Risorgimento".

16:50

Napolitano: "Memoria eventi preziosa anche oggi" 75 –

"La memoria degli eventi che condussero alla nascita dello Stato nazionale unitario e la riflessione sul lungo percorso successivamente compiuto, possono risultare preziose nella difficile fase che l'Italia sta attraversando, in un'epoca di profondo e incessante cambiamento della realtà mondiale". Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel suo intervento. . Il capo dello Stato ha invitato a "non lasciarci paralizzare dall'orrore della retorica" e ha ringraziato "chi celebra con noi"

16:46

Schifani: "Italia si riconosce in Napolitano" 74 –

"A 150 anni dall'Unità d'Italia, il Paese si riconosce nelle parole e nell'esempio del suo primo cittadino, garante dei valori e dei rapporti costituzionali, rappresentante della Nazione, dei suoi principi, delle sue prospettive di crescita e sviluppo". A sottolinearlo è stato il presidente del Senato Renato Schifani

16:41

Berlusconi applaude Fini 73 –

Berlusconi ha salutato con un applauso il discorso di Fini

16:40

Fini: "Tricolore simbolo di riscatto" 72 –

"E' motivo di orgoglio per tutto il nostro popolo il fatto che la nostra bandiera rappresenti un simbolo di riscatto civile in terre martoriate dal terrorismo e dal fondamentalismo". Lo ha detto il presidente della Camera Gianfranco Fini

16:35

Fini: "Celebrare è un dovere civile" 71 –

"Celebrare solennemente il 150esimo anniversario e' un preciso dovere civile per tutti gli italiani, dalla vetta d'Italia a Lampedusa" dice Gianfranco Fini

16:33

In Aula anche Bertone e Bagnasco 70 –

Ci sono anche il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, e il segretario di Stato Vaticano, Tarcisio Bertone, nell'Aula della Camera

16:32

Tutto esaurito, La Russa resta in piedi 69 –

Tutto esaurito nell'Aula di Montecitorio. Il ministro della difesa Ignazio La Russa non ha trovato posto nei banchi del governo.

16:29

Solo 5 leghisti in aula 68 –

Sono solo cinque i leghisti a partecipare, nell'Aula di Montecitorio, alla cerimonia. Nell'Emiciclo la Lega è rappresentata dal suo leader Umberto Bossi, dai ministri Roberto Maroni e Roberto Calderoli e dal sottosegretario Sonia Viale. L'unico "deputato semplice" della Lega in Aula è Sebastiano Fogliato, componente della Commissione Agricoltura di Montecitorio

16:29

Napolitano alla Camera 67 –

Napolitano è entrato alla Camera. Molti gli applausi

16:22

Applausi per Ciampi 66 –

Lungo applauso dell'Aula per Carlo Azeglio Ciampi.

16:13

Bersani: "O Lega coerente o vada a casa" 65 –

"Chi giura sulla Costituzione e sulla bandiera o è coerente o va a casa e il presidente del Consiglio deve rendere conto" dice Bersani.

16:11

Napolitano arriva a Montecitorio 64 –

Giorgio Napolitano è arrivato in piazza Montecitorio e ha poi fatto il suo ingresso alla Camera dove ad attenderlo c'è il presidente Gianfranco Fini.

16:07

Bossi: "Lega assente? Io ci sono" 63 –

Lega assente alle celebrazioni? "Invece ci sono io..." dice Bossi

16:01

Bossi: "Berlusconi contestato? Peggio per lui" 62 –

Berlusconi fischiato e contestato più volte durante le tappe romane di questa mattina per festeggiare il 150° dell'unità d'italia? "Peggio per lui", è il commento di Bossi

15:31

Applausi per Prodi, Ciampi e Scalfaro 61 –

Una folla assiepata in piazza Montecitorio ha tributato un lungo applauso all'ex presidente del Consiglio Romano Prodi, ritornato oggi dalla Cina proprio per essere presente alla cerimonia solenne per i 150 anni di unità d'Italia. Applausi anche per Carlo Azeglio Ciampi e Oscar Luigi Scalfaro

15:29

Milano, Pdl contro la Lega 60 –

"Speravo che oggi qualche rappresentante della Lega si presentasse a rendere omaggio alla bandiera degli italiani. Purtroppo hanno invece confermato il loro atteggiamento vigliacco e meschino, standosene a casa, senza onorare i propri eroi caduti anche per la libertà dei lombardi". Questo il commento di Romano La Russa, assessore regionale alla sicurezza e coordinatore del Pdl in provincia di milano, sulla decisione della Lega nord di disertare i festeggiamenti per il 150mo anniversario dell'unità d'italia per restare a lavorare.

15:20

La Russa: "Sinistra assente per le foibe" 59 –

"Nessuno mi ha chiesto dove erano il 10 febbraio, festa riconosciuta solennemente per il ricordo delle foibe, D'Alema o Bersani..." dice La Russa a chi gli chiede conto dell'assenza dei parlamentai leghisi in Aula.

15:12

Frati Assisi: "Buon compleanno sorella Italia" 58 –

Celebrazione eucaristica nella Basilica di San Francesco d’Assisi, in occasione dei 150 anni dell’unità d’Italia. "Francesco d’Assisi: un padre della patria, insieme a tanti altri, ma non meno significativo e determinante. Il suo apporto alla letteratura, all’affinamento della identità spirituale della nazione, al sentimento di fraternità che lega ogni uomo e donna, ogni essere vivente, tutta la creazione costituiscono ancora oggi l’anelito "globalizzato" non solo degli italiani ma di uomini di ogni parte del mondo. Buon compleanno, Italia, siamo orgogliosi di te, delle tue ricchezze di umanità, di cultura, di arte!" dice padre Giuseppe Piemontese, custode del sacro convento

15:01

La Russa: "Esponete il tricolore" 57 –

"Chi non lo ha fatto, fa ancora in tempo, come ho chiesto, ad esporre un tricolore sul proprio balcone. Perchè in questo momento, esporre un simbolo del 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia, è una cosa molto bella. Ringrazio tutti quelli che lo hanno fatto". Lo ha detto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa

15:01

Molti parlamentari con il tricolore 56 –

A qualche ora dall'inizio della solenne cerimonia nell'aula di Montecitorio con il Capo dello Stato per i 150 anni dell'Unità nazionale, i parlamentari cominciano ad arrivare nella sede della Camera, e in maggioranza indossano qualcosa di tricolore: si passa da nastrini e coccarde di varie dimensioni appuntati al bavero fino alle pochette che spuntano dai taschini della giacca.

14:54

Como, contestato il sindaco 55 –

Il sindaco di Cantù, nel comasco, Tiziana Sala (Lega Nord) è stato contestato questa mattina al termine di un concerto di musiche patriottiche che una delle bande cittadine ha dedicato all'Unità d'Italia. Sala non aveva partecipato (come del resto previsto) alla deposizione di una corona di fiori sotto il balcone della casa in cui soggiornò Garibaldi e all'arrivo del sindaco nel teatro alla fine del concerto, è stata accolta da grida e fischi di disapprovazione.

14:46

Zaia con la coccarda tricolore: "Avevo ruolo istituzionale" 54 –

"So distinguere il mio ruolo istituzionale dalla mia rappresentanza politica". Lo ha detto il governatore leghista del Veneto Luca Zaia per spiegare la coccarda tricolore appuntata al petto con la quale ha partecipato al Consiglio regionale straordinario organizzato per la ricorrenza dei 150 anni dell'Unità d'Italia.

14:33

Sindaco Genova: "Lega non in sintonia con esigenze del Paese" 53 –

La Lega Nord "non è in sintonia con le esigenze del Paese". Lo sostiene il sindaco di Genova, Marta Vincenzi

14:09

Pd all'Altare della Patria 52 –

Una folta rappresentanza del Partito Democratico si è ritrovata questa mattina all'Altare della Patria per rendere omaggio al Milite Ignoto. Si tratta di una prima volta per un partito politico e il segretario Democratico, Pier Luigi Bersani, commenta così: "Mi fa molto piacere, perchè io voglio che il mio sia un partito di patrioti, di autonomisti e di riformatori. La parola patriota è stata sempre legata ai democratici, mai ai conservatori e noi dobbiamo recuperare questo tratto in una Italia che deve essere ricca di autonomie".

14:03

Nyt: "Italia paese diviso" 51 –

Giudizio senza appello del New York Times nei confronti dell'unità d'Italia: nonostante oggi si celebri il 150/o anniversario dell'unità della Nazione, l'Italia resta "un Paese più diviso che mai, politicamente. geograficamente ed economicamente".

14:01

Berlusconi lascia la basilica passando dal retro 50 –

Al termine della cerimonia religiosa officiata dal cardinale Angelo Bagnasco Berlusconi anzichè uscire dal portone principale che da su piazza della Repubblica ha lasciato la basilica romana di Santa Maria degli Angeli uscendo dal retro dell'edificio religioso passando per la sagrestia.

13:58

Napoli, gonfaloni e sfilata 49 –

Alzabandiera, sfilata di gonfaloni e corpi delle forze armate e non solo, inno di Mameli. Napoli celebra in piazza del Plebiscito il 150esimo anniversario dell'unità d'Italia.

13:42

A Milano inno di Mameli e "O mia bela Madunina" 48 –

Prima l'Inno di Mameli, poi le note di 'O mia bela Madunina durante l'alzabandiera a Milano che si è svolto nel giorno della festa nazionale per i 150 anni dell'Unità d'Italia sul piazzale del Grattacielo Pirelli.

13:24

San Marino: auguri all'Italia 47 –

I Capitani Reggenti della Repubblica di San Marino, Giovanni Francesco Ugolini e Andrea Zafferani, hanno indirizzato oggi un messaggio di augurio al Presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, in occasione del 150^ anniversario dell'Unità d'Italia.

13:22

Sindaco leghista di Varese col tricolore 46 –

Si è presentato con la fascia tricolore, il sindaco leghista di Varese Attilio Fontana, stamani alla cerimonia dell'alzabandiera in apertura delle celebrazioni per l'Unità d'Italia. Nessuna bandiera o fazzoletto verde, di fronte al monumento ai caduti, dove si è assembrata una piccola folla di circa cinquecento persone con i mano bandiere tricolori.

13:21

Chiusa col "Te Deum" la messa con Bagnasco 45 –

Si è conclusa con il Te Deum la messa per i 150 anni dell'Unità d'Italia presieduta dal card. Angelo Bagnasco nella Basilica di Santa Maria degli Angeli. Il Te Deum è un inno di ringraziamento e di lode al Signore, di origine molto altica, riservato tradizionalmente alle cerimonie più solenni. Un segno che la Chiesa italiana ha voluto conferire la maggiore importanza alla celebrazione odierna.

13:17

Il sito della Ferrari diventa tricolore 44 –

"E' un anniversario particolare per l'Italia, che oggi compie 150 anni di vita: un giorno in cui noi tutti ci sentiamo ancora più orgogliosi di essere Italiani". Lo scrive la Ferrari che ha voluto fare un omaggio speciale alla ricorrenza, modificando la home page del sito del Cavallino Rampante (www.ferrari.com): una FF verde, una 458 bianca e la monoposto di F1 di quest'anno, ovviamente rossa, compongono un inedito Tricolore motoristico. Inoltre, le vetrine dei quaranta Ferrari Store sparsi in tutto il mondo saranno decorate con i colori della bandiera italiana.

13:10

Boni, presidente del consiglio regionale lombardo: "L'alzabandiera sa molto di Ventennio" 43 –

"Tirar su delle bandiere nel piazzale, prendere la gente che è in fila per visitare Palazzo Pirelli e portarla alla cerimonia diventa molto Ventennio". E' duro il commento del presidente del Consiglio regionale lombardo, Davide Boni, sulla cerimonia dell'alzabandiera per i 150 anni dell'Unità d'Italia, presieduta, questa mattina, in piazza Duca d'Aosta a Milano, dal presidente della Regione, Roberto Formigoni.

13:06

Contestato il presidente leghista della provincia di Bergamo 42 –

Fischi e insulti contro il presidente della provincia di Bergamo, il leghista Ettore Pirovano, che ieri sera intervenuto al teatro Donizetti della città ha affermato che "l'unità non può essere imposta" e che i bergamaschi non hanno niente da imparare in quanto a senso di solidarietà, alludendo alle differenze tra nord e sud. Il pubblico presente in teatro ha fischiato, prima di gridare "vergogna" e "viva l'Italia"

13:03

Bagnasco: 100 mila campanili ispirano un sentire comune 41 –

"I 100.000 campanili della nostra Italia, ispirano un sentire comune diffuso che identifica senza escludere, che fa riconoscere, avvicina, sollecita il senso di cordiale appartenenza e di generosa partecipazione alla comunita' cristiana, alla vita del borgo e del paese, delle citta' e delle regioni, dello Stato".

12:40

Bagnasco: "Ammirazione per Roma" 40 –

"Affetto e ammirazione per Roma, capitale d'Italia, memoria vivente della nostra storia plurimillenaria e provvidenziale sede del Successore di Pietro, centro della Cattolicità" sono stati esopressi dal presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco

12:38

Bagnasco: "Patria non retorica" 39 –

"Non è retorica, nè tantomeno nostalgia quella che ci muove, ma la consapevolezza che la Patria che ci ha generato è una preziosa eredità e insieme una esigente responsabilità" dice Bagnasco

12:32

Bagnasco: "Paese variegato ma solidale" 38 –

Il "volto" dell'italia rivela l'identità plurale e variegata della nostra patria, in cui convivono peculiarità e tradizioni che si sviluppano in modo armonico e solidale, secondo quello che don luigi sturzo chiamava il 'sano agonismo della libertà'. E potremmo aggiungere della operosità" continua Bagnasco

12:24

Bagnasco: "Ci sentiamo figli dell'Italia" 37 –

"Dell'Italia tutti ci sentiamo oggi orgogliosamente figli, perchè a lei tutti dobbiamo gran parte della nostra identità umana e religiosa". Lo ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, nella sua omelia alla celebrazione ecauristica per i 150 anni dell'Unità d'Italia

12:21

Colloquio Fini-Napolitano 36 –

Fitto conciliabolo tra Napolitano e Fini, prima dell'inizio della messa

12:19

Idv denuncia leghisti per vilipendio 35 –

Chiediamo ai magistrati di valutare se, in base alle gravi dichiarazioni di alcuni esponenti leghisti, è possibile ravvisare il reato di vilipendio alla bandiera italiana. Denunciamo agli italiani quest'indegno modo di comportarsi, compreso quello dei due capigruppo leghisti, che oggi diserteranno le cerimonie in Parlamento". Lo ha affermato il portavoce dell'Idv, Leoluca Orlando.

12:09

Nuovi fischi per Berlusconi 34 –

Berlusconi, nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, è stato accolto da applausi e fischi, questi ultimi in maggioranza, e anche da qualche grido di 'dimettiti!'. A queste reazioni da parte della gente oltre le transenne, il capo del governo ha replicato soltanto con un sorriso tirato e un gesto di saluto con la mano.

12:04

Alemanno: "La Lega sbaglia" 33 –

'Il senso di questa festa e' l'unità.Chi strumentalizza, come fa la Lega Nord, sbaglia sia dal punto di vista politico che territoriale". Lo dice il sindaco di Roma, Gianni Alemanno

12:00

Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri: applausi per Napolitano 32 –

Un lunghissimo applauso ha accolto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al suo arrivo alla Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, per la messa che verrà officiata dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana,

11:41

Zaia: "Il federalismo non divide il Paese" 31 –

"Il federalismo non dividerà il Paese, è movimento centripeto, non centrifugo, un movimento che aggrega". Lo ha detto il governatore del veneto, Luca Zaia

11:34

Speroni (Lega): "L'inno di Mameli mi infastidisce" 30 –

"L'unità d'italia non è un evento da festeggiare". Anzi, "sarebbe stato meglio se non ci fosse stata perchè così la Padania sarebbe più ricca". E ancora: "Quando ascolto l'inno di Mameli provo fastidio, perchè mi sento un pò oppresso da chi mi ha conquistato". Infine: "non esporrei mai dal balcone di casa mia il tricolore". Sono le affermazioni del capodelegazione della lega nord all'europarlamento, Francesco Speroni, intervistato dal quotidiano online Affaritaliani.It

11:23

Milano, contestato il capogruppo leghista 29 –

Una trentina di cittadini stanno contestando animatamente al grido di "viva l'Italia" e "vergognatevi", il capogruppo al Comune di Milano della Lega Matteo Salvini che si trova ad un banchetto all'ingresso della galleria vittorio emanuele dove sta distribuendo bandiere di Milano, cartoline storiche della città e adesivi del Carroccio

11:22

Verona, sindaco leghista ad alzabandiera 28 –

Il sindaco leghista di Verona, Flavio Tosi - con fascia tricolore addosso - ha partecipato, stamane, ai festeggiamenti per i 150 anni dell'Unità d'Italia

11:16

Di Pietro: "Criticare chi semina zizzania" 27 –

"E' necessario ribadire il concetto di unità, ma anche criticare chi approfitta anche di questa giornata per seminare zizzania e odio". Così il leader di Italia dei Valori, Antonio Di Pietro

11:11

Bersani: "Assenza Lega non accettabile" 26 –

"Noi ci saremo. Purtroppo a quanto pare Qualcun altro non ci sarà. Ed è intollerabile". Pier Luigi Bersani incalza Berlusconi: "E' inaccettabile" l'assenza della lega oggi in Aula"

11:07

Per Berlusconi fischi anche al Gianicolo 25 –

Berlusconi, lascia il Gianicolo. Il premier entra in auto e dalla folla arriva una serie di fischi. Solo qualcuno si rivolge al premier per incoraggiarlo: "resisti, resisti"

10:58

Iannaccone: "Il sud ha poco da festeggiare" 24 –

"Unità d'italia? il sud non ha Molto da festeggiare. Quando il popolo meridionale sarà finalmente riscattato, avremo realizzato nei fatti l'unità del paese e saremo bel lieti di festeggiare". Lo afferma Arturo Iannaccone, leader di Noi Sud.

10:54

Fischiato La Russa 23 –

All'uscita dal museo in porta san Pancrazio dura contestazione contro il ministro della difesa, Ignazio La Russa. La russa è stato accolto dai fischi delle persone che sostavano dinanzi all'uscita del nuovo museo e fortemente contestato con la richiesta di dimettersi.

10:53

Padania: "Addio ai parassiti" 22 –

"150 anni di centralismo, che guasti": è il titolo a due pagine che, nel giorno della Festa dell'Unità nazionale, la 'Padania' dedica ad uno speciale sugli sprechi d'Italia."Festeggiamo l'addio ai parassiti uniti nel federalismo"

10:49

Torino, Lega assente all'alzabandiera 21 –

Nessun esponente della Lega Nord piemontese era presente questa mattina in piazza Castello, a Torino, alla cerimonia dell'alzabandiera, che ha dato ufficialmente il via alle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia.

10:48

"A Lampedusa giornata di lutto" 20 –

Bandiere a mezz'asta a Lampedusa. "Sarà una giornata di lutto- ha detto il sindaco Dino de Rubeis- d'altronde, sono in agonia 300 imprenditori turistici, che soffrono l'invasione da parte degli immigrati. Non vengono effettuati gli annunciati trasferimenti verso l'italia e l'isola sta morendo"

10:47

Torino, tricolori in piazza Castello 19 –

Centinaia di torinesi hanno affollato questa mattina con bandierine tricolori piazza Castello per la cerimonia dell'alza bandiera che ha dato il via ufficiale ai festeggiamenti per i 150 anni dell'Unità d'Italia. Presenti le massime autorità istituzionali della città e delle rappresentanze delle Forze armate.

10:47

Stretta di mano Fini-Berlusconi 18 –

Breve scambio di battute e una stretta di mano tra il premier, Silvio Berlusconi, e il presidente della Camera, Gianfranco Fini, all'Altare della Patria, durante la cerimonia di deposizione di una corona d'alloro al Milite Ignoto

10:44

La Russa: "Importante avere storia condivisa" 17 –

"E' importante e fondamentale avere una storia condivisa" Lo ha detto il ministro della Difesa, Ignazio la Russa

10:32

Berlusconi: "Vado avanti per difendermi" 16 –

"Vado avanti, rimango per difendermi - dice Silvio Berlusconi - Vado avanti, certo. Non lascio il paese in mano ai comunisti".

10:28

Barroso: "Europa forte ha bisogno di Italia forte" 15 –

'Un'Europa forte e unita ha più che mai bisogno di un'Italia forte e unita". E' il cuore di un videomessaggio del presidente della Commissione europea, Jose Manuel Durao Barroso, diffuso in occasione dei festeggiamenti per il 150mo anniversario dell'Unità d'Italia, una data che "rappresenta non solo un avvenimento cruciale nella storia dell'Italia, ma anche una conquista per l'intero continente europeo".

10:23

Padova, Venetisti fischiano inno nazionale 14 –

Un piccolo incidente ha turbato questa mattina la cerimonia dell'alzabandiera in Piazza dei Signori a Padova, cui assistevano il sindaco Flavio Zanonato e il prefetto Ennio Sodano. Una decina di esponenti del Movimento Veneti - Veneto Stato, al momento dell'alzabandiera, si sono messi a fischiare e a protestare. Immediato l'intervento dei carabinieri che hanno bloccato i manifestanti, una decina in tutto, e impedito pure che la folla indignata li aggredisse.

10:18

Berlusconi contestato: "Dimettiti" 13 –

"Dimettiti, dimettiti": questo il coro che un centinaio di persone, assiepato dietro le transenne, ha riservato a Berlusconi, appena arrivato al museo della repubblica romana, al gianicolo.

10:13

Berlusconi: "Oggi parla Napolitano" 12 –

"Oggi niente dichiarazioni. Le lasciamo fare al presidente della Repubblica". E' l'unica battuta concessa ai giornalisti dal premier Silvio Berlusconi

10:11

Monsignor Tonini: "Mia Italia orgogliosamente umile" 11 –

Oggi il 17 marzo "rappresenta il diventare vero di un sogno: di ciò che è stato un sogno per generazioni di italiani. Oggi noi non riusciamo nemmeno a immaginare quanto sembrasse impossibile l'unità, dopo secoli di frammentazione e dominio straniero". Così il cardinale Ersilio Tonini si esprime in un'intervista ad Avvenire commentando i 150 anni dell'Unità d'Italia che definisce la "festa di 'quella' Italia umile, concreta, benevola in cui è cresciuto"

10:10

Omaggio al monumento di Garibaldi 10 –

Sotto una pioggia battente i rappresentanti delle istituzioni con in testa stanno portando l'omaggio al monumento di Giuseppe Garibaldi.

10:00

Borghezio: "Celebrazioni? Soldi buttati. Presto due Italie" 9 –

"E' fuori luogo buttare via tutti questi soldi". Il leghista Mario Borghezio, ha ribadito stamattina a Omnibus su LA7 la propria contrarietà all'istituzione di una giornata di festa nazionale in occasione del 150esimo anniversario dell'unità d'Italia."Il destino, il vento della storia porterà a due Italie."Il destino, il vento della storia porterà a due Italie"

09:59

Bersani: "Noi veri patrioti" 8 –

Davanti ad una Lega che sarà presente con il suo stato maggiore alla seduta alla Camera ma che rivendica 'distanza' dalle celebrazioni nel Paese per il centocinquantenario dell'Unità d'Italia, il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, commenta: "E' meglio parlar di noi che siamo patrioti".

09:47

Colpi di cannone al Gianicolo 7 –

Ventuno salve di cannone, sparate dal Gianicolo in direzione di Roma, hanno dato questa mattina l'avvio alle celebrazioni

09:46

Applausi per Napolitano 6 –

Al Pantheon il Capo dello Stato è stato accolto da molti applausi e grida di "viva l'Italia". Alla cerimonia hanno preso parte anche i membri della famiglia Savoia: Vittorio Emanuele con la moglie Marina Ricolfi Doria e il figlio Emanuele Filiberto con la moglie Clotilde Coureau.

09:32

Manifesto polemico al Pantheon 5 –

Un manifesto listato a lutto con la scritta "Io non festeggio genocidi. La vita è bella" è stato esposto da un balcone durante le celebrazioni dei 150 anni dell'Unità di Italia al Pantheon in occasione della deposizione della corona di alloro sulla tomba di Vittorio Emanuele II di Savoia. Ad esporlo, un cittadino. Il manifesto è stato fatto togliere dopo pochissimi minuti.

09:29

Google festeggia 150 anni con logo tricolore 4 –

Anche Google festeggia i 150 anni dell'Unità d'Italia. Il più utilizzato motore di ricerca del web, anche nella sua versione inglese, stamani presenta in home page un "doodle" - lo speciale logo tematico - tutto tricolore, con una torta sormontata dal numero 150. Cliccando sul logo, si apre una pagina con i link ai siti dedicati ai 150 anni dell'Unità d'Italia, primo fra tutti quello ufficiale delle celebrazioni: www.italiaunita150.it/.

09:14

Il volo delle Frecce tricolori 3 –

Sopra l'altare della patria sono passate le Frecce tricolori, la pattuglia acrobatica nazionale dell'aeronautica militare.

09:12

Napolitano depone la corona al milite ignoto 2 –

Napolitano ha deposto una corona d'alloro sul sacello del milite ignoto. Ad assistere, a piazza Venezia, alcune centinaia di persone sistemate dietro le transenne.

09:10

Napolitano al Vittoriano 1 –

Con l'arrivo del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al Vittoriano, l'esecuzione dell'Inno di Mameli e la rassegna delle forze armate insieme con il ministro della Difesa Ignazio La Russa hanno preso il via le celebrazioni per il 150esimo anniversario della proclamazione dell'Unità d'Italia. Il capo dello Stato è stato accolto dai presidenti di Senato e Camera, Renato Schifani e Gianfranco Fini, dal premier Silvio Berlusconi e dal presidente della Corte Costituzionale Ugo De Siervo, prima dell'alzabandiera, accompagnato ancora dall'Inno nazionale.

(17 marzo 2011)

 

 

 

LE CELEBRAZIONI pER TUTTO IL GIORNO

Frecce Tricolori e spari al Gianicolo:

via ai festeggiamenti per i 150 anni

Si comincia con l'omaggio di Napolitano al Milite Ignoto. Contestazioni per Berlusconi. Scroscio di applausi per il Presidente a S. Maria degli Angeli

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Il Gianicolo diventa un museo a cielo aperto

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Frecce Tricolori e spari al Gianicolo:

via ai festeggiamenti per i 150 anni

Si comincia con l'omaggio di Napolitano al Milite Ignoto. Contestazioni per Berlusconi. Scroscio di applausi per il Presidente a S. Maria degli Angeli

ROMA - Il commosso omaggio al Milite Ignoto sulle note di Mameli. E poi la corona al primo re d'Italia e all'eroe dei Due Mondi (e alla sua Anita). Ancora. La Messa solenne nella chiesa di Santa Maria degli Angeli. Così è cominciata la giornata delle celebrazioni ufficiali per i 150 anni dell'Unità d'Italia. Con protagonista il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che per tutta la giornata guida i festeggiamenti ufficiali. Dopo quelli dei cittadini (cui ha preso parte lo stesso Capo dello Stato, a Roma), che hanno festeggiato tutta la notte in moltissime piazze del Paese. E ovunque, il Presidente trova ad accoglierlo applausi e grida di affetto.

Napolitano all'Altare della Patria (Infophoto)

Napolitano all'Altare della Patria (Infophoto)

ALTARE DELLA PATRIA - Nella Capitale si comincia con l'alzabandiera all'Altare della Patria: il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (accompagnato da tutte le più alte cariche istituzionali dello Stato) rende omaggio al Milite Ignoto. E canta l'Inno di Mameli. E con lui tutte le persone accorse numerose in piazza Venezia, nonostante il tempo molto incerto.

PANTHEON - Il Presidente si reca poi al Pantheon: lì depone una corona di alloro sulla tomba di Vittorio Emanuele II, primo re d'Italia. Con lui, presenti anche alcuni eredi Savoia.

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L'omaggio di Napolitano al Pantheon (Ansa)

L'omaggio di Napolitano al Pantheon (Ansa)

GIANICOLO - Subito dopo, al Gianicolo, Napolitano, salutato da una batteria d'artiglieria che ha eseguito 21 salve di cannone, ha scoperto il monumento equestre (appena restaurato) di Anita Garibaldi e Giuseppe Garibaldi, e quindi inaugurato il nuovo Parco degli Eroi, soffermandosi sul Muro del Belvedere sul quale è stata è scolpita la Costituzione della Repubblica Romana. Gli studenti del quartiere hanno scoperto le 83 emre dei garibaldini, anch'esse restaurate per l'occasione. Tanta la folla al Gianicolo. E le bandiere tricolori. E l'affetto dei cittadini per il Capo dello Stato, tanto da volergli stringere la mano, per una dimostrazione anche fisica di vicinanza. A chi gli augura di poter "campare 150 anni", il Capo dello Stato risponde scherzando: "Anche qualcosa di meno...".

Lo striscione esposto davanti al Pantheon (Blowup)

Lo striscione esposto davanti al Pantheon (Blowup)

LE CONTESTAZIONI - Non solo applausi però per il corteo presidenziale. Al Pantheon, c'è stata una prima contestazione: subito dopo l'ingresso delle autorità, da un balcone di piazza della Rotonda è stato issato un grosso manifesto con la scritta "Io non festeggio genocidi, la vita è bella", fatto togliere, un po' bruscamente, da un uomo della sicurezza dopo pochi minuti. Poco prima dell'arrivo del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, invece, un solitario contestatore ha fischiato l'ex erede al trono Vittorio Emanuele, arrivato al Pantheon con moglie, figlio e nuora.

FISCHI PER BERLUSCONI - Ce n'è anche per il premier Silvio Berlusconi che accompagna Napolitano in tutte le tappe romane di questa giornata di celebrazioni e omaggi. Appena arrivato al Museo della Repubblica romana, il premier è stato accolto da un coro di "dimettiti, dimettiti". Pochi minuti dopo, all'arrivo del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sono partiti invece applausi e incitamenti. Ma già prima al Gianicolo, qualcuno, rivolto a Berlusconi, gli aveva gridato : "Buffone". E lui ai giornalisti aveva detto: "Oggi non rilascio dichiarazioni. Le lasciamo fare al Presidente della Repubblica". Ma per il premier ci sono state anche urla di appoggio con "resisti, resisti".

Berlusconi e Napolitano davanti al muro al Gianicolo con il testo della Costituzione italiana (Lapresse)

Berlusconi e Napolitano davanti al muro al Gianicolo con il testo della Costituzione italiana (Lapresse)

LA MESSA - Dopo la visita al museo di Porta San Pancrazio, Napolitano è alla Basilica di Santa Maria degli Angeli, in piazza della Repubblica. Lì lo attende il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, che celebra la S. Messa per il 150°. Al suo ingresso nella chiesa gremita, un nuovo scroscio di applausi dà il benvenuto a Napolitano. Ancora fischi invece per il premier Berlusconi, anche lui giunto in Basilica (dopo il Presidente), e accolto all'esterno da un gruppo di un centinaio di persone che gli ha gridato: "Dimettiti, dimettiti". Il presidente del Consiglio non si è scomposto, ha alzato la mano in segno di saluto ed è entrato in chiesa. Anche a questa celebrazione prendono parte le più alte cariche dello Stato e del Governo.

SEDUTA CONGIUNTA CAMERE - Il momento più solenne e ufficiale è alle 16:30, quando alla seduta congiunta delle Camere a Montecitorio, Napolitano pronuncia il suo discorso.

Le Frecce Tricolori (Liverani)

Le Frecce Tricolori (Liverani)

FRECCE TRICOLORI - C'è anche l'omaggio delle Frecce Tricolori. La Pattuglia acrobatica nazionale dell'Aeronautica militare ha disegnato infatti nel cielo di Roma (piuttosto grigio, ma in quel momento illuminato da un timido sole) il tricolore più lungo del mondo. "Un tricolore - aveva promesso lo Stato maggiore della Forza armata - che idealmente si estenderà dalla Capitale a tutto il Paese e unirà, da nord a sud, tutti gli italiani". Le "Frecce", dopo il decollo dall'aeroporto di Pratica di Mare, hanno sorvolato la zona dell'Altare della Patria intorno alle 9, in concomitanza con la deposizione della corona di alloro al Sacello del Milite Ignoto da parte del presidente Napolitano.

Redazione online

17 marzo 2011

 

 

 

IL MERCOLEDì SERA DELLA CAPITALE PER FESTEGGIARE I primi 150 anni

In 100mila alla Notte Tricolore

(anche la pioggia)

Monumenti e palazzi storici "tinti" di bianco, rosso e verde. Fischi per Alemanno e La Russa

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In 100mila alla Notte Tricolore

(anche la pioggia)

Monumenti e palazzi storici "tinti" di bianco, rosso e verde. Fischi per Alemanno e La Russa

Tricolori sul Colosseo (Eidon)

Tricolori sul Colosseo (Eidon)

ROMA - Inno di Mameli a risuonare ovunque. E anche le luci, quelle, non sono mancate. Tanti i monumenti e i palazzi della città suggestivamente "tinti", per una notte, di bianco rosso verde: tricolori a fasci luminosi su Fori, Colosseo, Palazzo Senatorio, Vittoriano. Folla nella notte dopo la pioggia. E fischi in piazza Venezia al sindaco Alemanno e al ministro La Russa.

Ma a caratterizzare la festa, nella notte appena trascorsa, è stata soprattutto la pioggia ininterrotta fin dalla mattina presto, acquazzone che forse ha scoraggiato tanti romani che alla kermesse, con centinaia di appuntamenti di spettacolo, cultura e varie, hanno preferito l'asciutto di casa propria. Poche anche le bandiere esposte sui balconi. E oggi, ricorrenza del 150° compleanno della Nazione - Regno d'Italia prima e poi Repubblica dal 1946 - si replica. Tanti appuntamenti. E l'augurio di un tempo più clemente.

Proietti in Campidoglio (AgfRoma)

Proietti in Campidoglio (AgfRoma)

La festa, comunque, c'è stata - tra fierezza, unità, orgoglio - con alcuni forfait e cambi di programma dell'ultimo minuto (soprattutto trasferimenti all'interno là dove possibile, come per lo show di Gigi Proietti in Campidoglio, sala della Protomoteca) e qualche chiusura al traffico in meno, considerata la circolazione in tilt di una città che, festa nazionale a parte, ieri ha mostrato molti dei suoi mali antichi e mai risolti: torrenti d'acqua nelle strade allagate, caos trasporti, voragini aperte nell'asfalto (più numerose della bandiere), traffico impazzito. A farne le spese anche la navetta istituzionale messa a disposizione dal Comune per il tour dei giornalisti nelle principali piazze della Notte. Partita da piazza Venezia (con il vessillo italiano riprodotto nell'aiuola centrale grazie a 15 mila piantine), avrebbe dovuto raggiungere l'Auditorium come prima tappa. Impossibile: sul lungotevere, causa ingorghi, indietro tutta direzione Quirinale, clou delle celebrazioni con tanto di diretta su Rai Uno alla presenza del sindaco Gianni Alemanno e del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, i quali già in mattinata, insieme, avevano inaugurato all'Altare della Patria la mostra "Alle radici dell'identità nazionale. Italia Nazione Culturale".

Luci tricolori sull'Altare della Patria (Eidon)

Luci tricolori sull'Altare della Patria (Eidon)

Sul Colle più alto, graziato da qualche minuto di tregua della pioggia, inno cantato da Gianni Morandi, alzabandiera, Banda dei Bersaglieri ed entusiasmo e applausi per le parole del Presidente della Repubblica: "Ognuno ha i suoi problemi, i suoi interessi e le sue idee. Discutiamo e battagliamo. Ma ciascuno di noi deve sempre ricordare che è parte di qualcosa di più grande, che è appunto la nostra nazione, la nostra patria, la nostra Italia. E se saremo uniti sapremo vincere tutte le difficoltà che ci attendono".

Ovunque fanfare, bande militari, attori, cantanti, poeti, musicisti non si sono risparmiati. Puntuale anche il treno Frecciarossa tricolore, giunto a Termini in serata tra increduli turisti e distribuzione di bandierine da parte del personale delle ferrovie. Vanto della stazione, anche "il tricolore più grande del Paese": pennone di 32 metri, 40 metri quadri di sventolio, resterà issato per tutto il 2011.

I fuochi illuminano i Fori romani (Ansa)

I fuochi illuminano i Fori romani (Ansa)

Nonostante la pioggia, che a tarda sera ha concesso qualche pausa, con aumento di afflusso di persone ovunque, un po' di coda per entrare in luoghi non sempre aperti al pubblico, come Palazzo Madama (anche qui bandiera di luci) o Montecitorio. Gran finale con gli immancabili fuochi d'artificio, con il cielo di Roma illuminato da un'inedita pirotecnia nazional-unitaria. Molti cori di "buuu" e fischi dalla piazza Venezia per il sindaco Gianni Alemanno e per il ministro della Difesa Ignazio La Russa. Con platea finalmente stracolma, nella bagnata Notte Tricolore capitolina.

Edoardo Sassi

(Ha collaborato Maria Egizia Fiaschetti)

17 marzo 2011

 

 

 

UNITI, ALMENO UN GIORNO

Ritroviamo l'orgoglio dell'Unità

UNITI, ALMENO UN GIORNO

Ritroviamo l'orgoglio dell'Unità

L'Italia che oggi arriva al suo 150° compleanno, e lo celebra in Parlamento e nelle piazze, è un Paese su molti aspetti diviso. Dalla storia, e dalla geografia. Sulla memoria storica, e sugli interessi territoriali. Ma è un grande Paese, che può essere orgoglioso del contributo di bellezza, sapere, lavoro che con i suoi artisti, scienziati, emigranti ha dato all'umanità. Il Paese degli ottomila Comuni, che a ogni collina cambia accento, paesaggio, costumi e prodotti, ma che mantiene una vocazione universale: la classicità e la cristianità, i Cesari e i Papi; il Rinascimento, con cui insegnò al mondo a raffigurare e pensare le cose, e il Risorgimento, con cui si riaffacciò sulla scena internazionale. Perciò oggi è giusto festeggiare, tutti insieme; senza che questo implichi essere tutti d'accordo, condividere la stessa idea dell'Italia.

Il Risorgimento che unificò la penisola scontentò cattolici e repubblicani, e comportò una guerra civile al Sud. Anche la Costituzione nacque alla fine di un sanguinoso scontro interno. Il dopoguerra è stato segnato prima dalle contrapposizioni ideologiche, poi da quelle personali. Oggi la festa è contestata al Nord dai leghisti - anche se non da tutti - e al Sud da un movimento che sarebbe riduttivo definire neoborbonico, e presto troverà una sua forma di rappresentanza politica, una lega del Mezzogiorno. Ma Paesi considerati più patriottici del nostro hanno alle spalle divisioni anche peggiori. Gli Stati Uniti furono lacerati da una guerra civile che lasciò il Sud pressoché distrutto. I francesi si sono trucidati tra loro negli anni della Rivoluzione e della Comune. Spagna e Regno Unito si misurano da decenni con separatisti armati. Eppure i nostri vicini e alleati si riconoscono in valori comuni. Ciò che unisce è più di ciò che divide. Perché lo stesso non dovrebbe valere per noi?

Non si tratta di ricostruire in laboratorio impossibili memorie condivise, ma di riconoscere che pure noi italiani abbiamo un passato di cui possiamo andare fieri e un futuro ricco di possibilità. L'attaccamento alle piccole patrie, ai dialetti, ai Comuni è giusto e utile, è la ricchezza che il mondo globale ci chiede; e può stare assieme al legame con la patria comune che ci comprende tutti.

Ce lo insegnano Alessandro Manzoni, grande italiano e grande milanese, che compose l'ode oggi ripubblicata dal Corriere quand'era ancora cittadino austriaco. E Daniele Manin, acclamato dai veneziani che sventolavano il vessillo con il leone di San Marco e il Tricolore. Oggi ricordiamoci anche di Ciampi, quando dice di sentirsi livornese, toscano, italiano ed europeo. E di Napolitano, quando ricorda l'influenza fortissima sull'identità italiana di Napoli e l'urgenza del suo riscatto. Anche nelle nostre famiglie c'è un personaggio che ha contribuito a fare la storia d'Italia. Nel Risorgimento, nelle due Guerre mondiali, nelle varie forme che assunse la Resistenza, nella ricostruzione. Oggi raccontiamone la storia ai nostri figli e ai nostri nipoti. Ritroviamo quel frammento di memoria nazionale che ogni casa custodisce, magari in forma di lettere, cimeli, ritratti. E non temiamo le sofferenze che pure ci portiamo dietro; perché anche di quelle possiamo essere orgogliosi, anche quelle servono a costruire un futuro che oggi potrebbe apparirci meno avaro e meno incerto.

Aldo Cazzullo

17 marzo 2011

 

 

 

 

 

 

150, 100, 50 anni fa. LA NASCITA

1861. L’Italia unita fanalino di coda rispetto all’Europa

Nel Paese appena riunificato i più lavoravano ancora la terra e parlavano solo il dialetto, mentre soltanto il 2% aveva diritto al voto

150, 100, 50 anni fa. LA NASCITA

1861. L’Italia unita fanalino di coda rispetto all’Europa

Nel Paese appena riunificato i più lavoravano ancora la terra e parlavano solo il dialetto, mentre soltanto il 2% aveva diritto al voto

Un brigante

Un brigante

"Abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani". Non aveva torto Massimo D’Azeglio, il politico e scrittore a cui viene attribuita la celebre frase. Mentre il primo parlamento nazionale proclama Vittorio Emanuele II re d’Italia "per grazia di Dio e volontà della nazione", il nostro Paese contava 26 milioni di italiani che non si capivano tra loro. Il dialetto era la lingua più diffusa, meno di seicento mila conoscevano l’italiano e 75 su 100 non sapevano né leggere né scrivere. Se l’Inghilterra vittoriana viveva la sua lunga stagione di prosperità economica e da lì a poco avrebbe varato il Reform Act (1867) che aumentava di quasi un milione la consistenza del corpo elettorale, da noi appena il due per cento della popolazione aveva diritto al voto. Dopo tre mesi dall’incontro a Teano tra Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II, il 27 gennaio 1861, nel corso delle elezioni per eleggere il primo parlamento italiano, gli aventi diritto erano 419 mila: votarono in 240 mila (il 57%) e appena 169 mila voti furono ritenuti validi.

Il primo Parlamento italiano riunitosi a Torino il 18 febbraio 1861

Il primo Parlamento italiano riunitosi a Torino il 18 febbraio 1861

"L’unità fece molta presa sulla gente - spiega Giuseppe Monsagrati, professore di storia contemporanea alla Sapienza di Roma - ma ovviamente non riuscì a risolvere i problemi. Il nostro reddito pro capite era la metà di quello inglese e un terzo di quello francese. Chi nasceva in quel momento doveva fare i conti con un paese povero di risorse, materie prime e infrastrutture". L’Italia si presentò all’appuntamento dell’unificazione con circa 2.400 chilometri di ferrovie, contro le oltre tre mila dell’Austria-Ungheria, i 9 mila della Francia, gli 11 mila della Germania e i 14.600 chilometri dell’Inghilterra. La parte continentale del Regno aveva solo quattro strade nazionali e specie nell’Italia centro-meridionale, la via terrestre, per quanto migliorata, restò a lungo più costosa e meno rapida di quella marittima (G. Pescosolido, Unità nazionale e sviluppo economico, Laterza).

Eravamo quasi tutti contadini e braccianti: il 70% era impegnato nell’agricoltura e il 18% nell’industria. Eravamo alti più o meno 163 centimetri e l’aspettativa di vita alla nascita era di 30 anni. C’era un tasso di natalità del 37,6% e del 30,3% di mortalità. Basti pensare che il 15,2% degli sposi erano vedovi in seconde nozze. Nel periodo 1861-1870 oltre 121 mila italiani lasciavano l’Italia, per recarsi per lo più in Francia, Germania e successivamente negli Usa, dove nel 1860 saliva alla presidenza Abraham Lincoln.

E mentre il 6 giugno 1861 moriva il conte di Cavour, il Paese si avviava all’unificazione monetaria, che venne adottata con una serie di misure tra il 1861 e il 1863: negli Stati preunitari infatti esistevano ben 268 valute metalliche e il credito a medio, lungo termine, era praticato per lo più da banchieri privati.

Sempre nel ’61 venne disposta l’unificazione del bilancio dello Stato e l’iscrizione nel Gran Libro del debito pubblico di tutti i debiti esistenti negli stati preunitari: due miliardi e 402 milioni di lire il debito complessivo, derivato per i due terzi, dalle spese per le guerre del Risorgimento e l’unificazione. "Quella dell’epoca era una vita di sacrifici - spiega Gian Carlo Blangiardo, docente di demografia all’Università degli studi di Milano Bicocca - e senza grosse soddisfazioni. La famiglia era la missione principale, i bambini andavano a lavorare nei campi e non a scuola e il livello di formazione accademica era estremamente modesto". All’epoca gli alunni delle scuole elementari erano un milione e 133 mila, le scuole medie avevano appena sedicimila studenti e all’università ci andavano in 6.504.

La nostra dieta era molto ricca di carboidrati e povera di proteine: mangiavamo principalmente orzo, segale e cereali di second’ordine e i legumi erano la nostra carne. Infatti eravamo soggetti alle malattie da denutrizione, prima fra tutte la pellagra. Un chilo di pane costava 0,40 lire, la pasta 0,60, il caffè tostato 2,20 lire al chilo. L’alimentazione non aiutava a irrobustire il fisico: alla visita di leva dei primi anni dopo l’unità, il 28% fu scartato per problemi di rachitismo e gobba. I salari? Un inserviente poteva guadagnare circa 800 lire contro le 1.200 lire degli impiegati. Un direttore generale dello Stato invece guadagnava al massimo otto mila lire.

Corinna De Cesare

10 marzo 2011(ultima modifica: 16 marzo 2011)

 

 

150, 100, 50 anni fa. I PRIMI CINQUANT’ANNI

1911. Più figli e istruzione

Ma l’Africa italiana resta una scommessa

Furono varate leggi speciali per ridurre il divario tra Nord e Sud. Intanto oltre 9 milioni di persone emigrava, soprattutto verso gli Stati Uniti

150, 100, 50 anni fa. I PRIMI CINQUANT’ANNI

1911. Più figli e istruzione

Ma l’Africa italiana resta una scommessa

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Un particolare di "La risata" di Umberto Boccioni (1911)

Un particolare di "La risata" di Umberto Boccioni (1911)

Lo star system in campo cinematografico cominciava a muovere i primi passi insieme ai lungometraggi, la Vitagraph fece uscire il film "Vanity Fair" (La fierà della vanità) e da noi Giovanni Pastrone iscriveva nel registro delle opere protette "La caduta di Troia", film in costume in tre rulli. Nel 1911 il nostro era un Paese che contava, a cinquant’anni dall’unità, circa 37 milioni di italiani (+42% rispetto al 1861). Il 55% lavorava ancora nelle campagne, le famiglie erano oltre sette milioni, con 4,5 componenti. Avevamo in media 28 anni, eravamo alti 1,66 e per gli spostamenti potevamo contare su una rete ferroviaria di 17 mila chilometri. Gli appartamenti con i servizi igienici autonomi erano pochi, ma la diffusione dell’acqua corrente nelle case e il miglioramento delle reti fognarie erano dei progressi di non poco conto.

Le differenze territoriali tra Nord e Sud erano ancora enormi, tant’è che ai primi del secolo furono emanate le cosiddette leggi speciali per il Mezzogiorno, volte a incoraggiare la modernizzazione e lo sviluppo industriale del meridione. Giovanni Giolitti tornava al governo con un programma orientato a sinistra e la volontà di estendere il diritto di voto a tutti i cittadini maschi (legge approvata nel 1912). L’Italia nel frattempo viveva un vero e proprio boom demografico: l’incremento naturale medio annuo della popolazione passò dal 7,3% del 1871-1881 all’11% del 1901-1911. Un fenomeno che fu attenuato solo dall’aumento intenso dell’emigrazione, che in questo periodo raggiunse livelli inauditi. Si calcola che tra il 1901 e il 1914 quasi nove milioni di persone lasciarono l’Italia, di cui circa il 40% dirette negli Stati Uniti. Ma l’emigrazione concorse anche al miglioramento del tenore di vita della popolazione rimasta in patria, con integrazione dei redditi e innalzamento dei livelli dei consumi. "Avevamo venti anziani ogni cento giovani - spiega Roberto Impicciatore, docente di demografia all’Università degli studi di Milano - e la mortalità infantile era scesa a 180 decessi ogni mille nati. Avevamo alle spalle le epidemie di tifo e colera ed eravamo all’alba del fenomeno dell’urbanizzazione: la gente cominciava a spostarsi nelle città e a investire nel futuro". Napoli era la città più popolosa, con 668 mila abitanti, seguita da Milano e Roma. L’analfabetismo colpiva ancora il 37,6% della popolazione, il 60% nel Mezzogiorno.

Un manifesto di propaganda coloniale

Un manifesto di propaganda coloniale

Ma in tema di istruzione qualcosa cominciava a muoversi: il numero degli alunni delle scuole medie governative (aumentato solo dallo 0,6% nel 1861 all’1,6% nel 1887) passò al 4,6% nel 1910. Miglioravano tutti i servizi pubblici, dagli uffici postali agli uffici telegrafici di Stato, che tra l’87 e il 1914 triplicarono. Si diffuse anche l’uso del telefono: gli abbonati passarono da circa nove mila del 1887 a 99.593 nel 1915.

Nel 1908 nasceva la Olivetti, nel 1910 la Confindustria e nel settembre del 1911 il governo italiano inviò sulle coste libiche un contingente di 35 mila uomini. Ma nessuno, all’epoca, sospettava la presenza di petrolio sotto lo "scatolone di sabbia" del deserto libico. "Fu la guerra vittoriosa che ancora oggi ci rimproverano - spiega Vittorio Vidotto, professore di storia contemporanea all’Università di Roma La Sapienza - riuscimmo a sottrarre la Libia all’impero ottomano, ma fu una vittoria piena di strascichi". Che ci portiamo dietro ancora oggi.

E mentre la Gran Bretagna di Re Giorgio V (padre del balbuziente Giorgio VI, protagonista del film "Il discorso del Re") cominciava a limitare i privilegi dei Lords, e a Monaco Kandinskij metteva su tela l’astrattismo, da noi si aprivano le celebrazioni del cinquantenario del Regno d’Italia. La principale operazione politico-simbolica dell’Italia liberale: a Roma ci furono mostre ed eventi celebrativi che culminarono nell’inaugurazione del Vittoriano, monumento dedicato a Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia e padre della patria.

Corinna De Cesare

10 marzo 2011(ultima modifica: 16 marzo 2011)

 

 

150, 100, 50 anni fa. IL CENTENARIO

1961. Dolce vita, auto e tv

E gli operai del boom superano i contadini

È il periodo delle grandi migrazioni interne e delle contraddizioni sociali. L’adulterio femminile è ancora considerato più grave di quello maschile

150, 100, 50 anni fa. IL CENTENARIO

1961. Dolce vita, auto e tv

E gli operai del boom superano i contadini

È il periodo delle grandi migrazioni interne e delle contraddizioni sociali. L’adulterio femminile è ancora considerato più grave di quello maschile

La monorotaia e il Palazzo delle Mostre dell’Esposizione torinese del 1961

La monorotaia e il Palazzo delle Mostre dell’Esposizione torinese del 1961

È il periodo del boom, ma anche dell’innalzamento del muro di Berlino, delle grandi migrazioni interne e delle profonde contraddizioni. Nel 1961 eravamo 50 milioni, la vita media alla nascita era di 67 anni per gli uomini (72 per le donne) e la mortalità infantile era del 40,7 per mille. L’analfabetismo colpiva appena l’8,3% della popolazione.

Il volto del paese e le abitudini dei cittadini erano profondamente cambiate: eravamo entrati nella civiltà dei consumi. "È il periodo in cui si raggiunge il culmine del miracolo economico - spiega Alfredo Canavero, docente di storia contemporanea all’Università degli studi di Milano -. Per la prima volta in Italia gli addetti all’industria superano quelli dell’agricoltura e la televisione comincia a diffondersi tra le famiglie. C'è ancora il rito di andare a vedere la tv nei bar, ma con le Olimpiadi cominciano a moltiplicarsi gli apparecchi anche nelle case private". E così, se nel ’55 c’erano appena quattro tv ogni mille abitanti, nel ’60 diventano 43 e nel ’65 circa 117. Anche di automobili se ne vedono di più: 48 ogni mille abitanti, contro le nove del 1951. In totale ben due milioni e mezzo le auto in circolazione nel 1961.

Le gemelle Kessler, le cui gambe nude suscitarono polemiche a Studio Uno

Le gemelle Kessler, le cui gambe nude suscitarono polemiche a Studio Uno

In politica, dopo la parentesi del democristiano Fernando Tambroni, viene formato un nuovo governo presieduto da Amintore Fanfani, che ottiene, nell’agosto del ’60, l’astensione dei socialisti in Parlamento, aprendo la stagione politica del centrosinistra. La radio suona "Legata a un granello di sabbia" di Nico Fidenco e Alfred Hitchcock ha, da poco più di un anno, finito di girare Psycho. Tra il ’51 e il ’61 la popolazione residente nelle città con più di 300 mila abitanti passa da sei a nove milioni. Milano riesce a crescere del 22%, Roma del 27%, Torino addirittura del 40%. E il perché è presto detto: uno dei fenomeni più importanti di questo periodo è l’esodo dal Sud al Nord. Tra il ’51 e il ’61 circa due milioni di persone abbandonano il Mezzogiorno. "È una società piena di contraddizioni - spiega Anna Maria Curcio, già docente di sociologia all’Università di RomaTre -, modernità ma anche fenomeni di razzismo. A Torino migliaia di lavoratori arrivavano da tutto il Sud e non di rado si verificano episodi spiacevoli come i cartelli appesi ai negozi che vietavano l’ingresso ai cani e ai meridionali".

Negli Stati Uniti invece nel novembre del 1960 il candidato democratico John Fitzgerald Kennedy sale alla presidenza: pochi mesi più tardi, tentando di soffocare il regime castrista a Cuba, dà il via al fallimentare sbarco della Baia dei porci. In Italia c’era da una parte la dolce vita e dall’altro lato un’arretratezza difficile da superare: "Nel '61 ci fu una sentenza della Corte Costituzionale - spiega Canavero - che legittimava l’articolo 589 del codice penale, secondo cui l’adulterio della moglie turbava l’unità della famiglia più dell’adulterio del marito. Solo dopo il ’68 questo articolo sarà cancellato".

Ma gli anni ’60 sono anche il periodo della moda e dei divi hollywoodiani che sbarcano a Roma: "Il successo di Fellini porta alla ribalta la capitale - conferma Curcio -, per strada si incontrano gli attori americani, i paparazzi fanno i primi scoop e in tv nasce il secondo canale televisivo. Il ’61 è l’anno della famosa sfilata a Palazzo Pitti di nuovi talenti della moda che entreranno a far parte della storia: Valentino, le sorelle Fontana. La minigonna arriverà nel ’63 ma le donne iniziavano a cambiare". Da qui a pochi anni infatti si assisterà a un rilancio della questione femminile, già ampiamente sollevata tra l’800 e il ’900 ma che in Italia presentava (e presenta tuttora) aspetti di particolare arretratezza.

Corinna De Cesare

10 marzo 2011(ultima modifica: 16 marzo 2011)

 

Il messaggio di Benedetto XVI al presidente Napolitano per il 17 marzo

Il papa e l'Unità: "Risorgimento

non fu contrario alla fede"

Benedetto ricorda la "Conciliazione" cita Gioberti: "Cattolici decisivi per la formazione della Nazione"

Il messaggio di Benedetto XVI al presidente Napolitano per il 17 marzo

Il papa e l'Unità: "Risorgimento

non fu contrario alla fede"

Benedetto ricorda la "Conciliazione" cita Gioberti: "Cattolici decisivi per la formazione della Nazione"

Papa Benedetto XVI e il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in una foto di archivio (Ansa)

Papa Benedetto XVI e il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in una foto di archivio (Ansa)

MILANO - "Il Cristianesimo ha contribuito in maniera fondamentale alla costruzione dell'identità italiana attraverso l'opera della Chiesa, delle sue istituzioni educative ed assistenziali, fissando modelli di comportamento, configurazioni istituzionali, rapporti sociali; ma anche mediante una ricchissima attività artistica: la letteratura, la pittura, la scultura, l'architettura, la musica". Benedetto XVI contesta le ricostruzioni degli storici a causa delle quali "il Risorgimento è passato come un moto contrario alla Chiesa, al Cattolicesimo, talora anche alla religione in generale". Lo fa con un messaggio al presidente della Repubblica per i 150 anni dell'Unità d'Italia in cui scrive: "Senza negare il ruolo di tradizioni di pensiero diverse, alcune marcate da venature giurisdizionaliste o laiciste, non si può sottacere l'apporto di pensiero e talora di azione dei cattolici alla formazione dello Stato unitario. Dal punto di vista del pensiero politico, basterebbe ricordare tutta la vicenda del neoguelfismo che conobbe in Vincenzo Gioberti un illustre rappresentante; ovvero pensare agli orientamenti cattolico-liberali di Cesare Balbo, Massimo d'Azeglio, Raffaele Lambruschini".

PENSIERO FILOSOFICO - Così continua Ratzinger: "Per il pensiero filosofico, politico ed anche giuridico risalta la grande figura di Antonio Rosmini, la cui influenza si è dispiegata nel tempo, fino ad informare punti significativi della vigente Costituzione italiana. E per quella letteratura che tanto ha contribuito a "fare gli italiani", cioè a dare loro il senso dell'appartenenza alla nuova comunità politica che il processo risorgimentale veniva plasmando, come non ricordare Alessandro Manzoni, fedele interprete della fede e della morale cattolica; o Silvio Pellico, che con la sua opera autobiografica sulle dolorose vicissitudini di un patriota seppe testimoniare la conciliabilità dell'amor di Patria con una fede adamantina. E di nuovo figure di santi, come san Giovanni Bosco, spinto dalla preoccupazione pedagogica a comporre manuali di storia Patria, che modellò l'appartenenza all'istituto da lui fondato su un paradigma coerente come san Giovanni Bosco, spinto dalla preoccupazione pedagogica a comporre manuali di storia Patria, che modellò l'appartenenza all'istituto da lui fondato su un paradigma coerente con una sana concezione liberale: cittadini di fronte allo Stato e religiosi di fronte alla Chiesa".

CONCILIAZIONE - Il processo di unificazione del Paese, sostiene il Papa, provocò effetti laceranti nella coscienza di molti cattolici, divisi fra appartenenza ecclesiale e fedeltà alla nuova cittadinanza, in quanto pose il problema della sovranità temporale dei Papi. "La costruzione politico-istituzionale dello Stato unitario - scrive Benedetto XVI - coinvolse diverse personalità del mondo politico, diplomatico e militare, tra cui anche esponenti del mondo cattolico. Questo processo - prosegue il testo - in quanto dovette inevitabilmente misurarsi col problema della sovranità temporale dei Papi (ma anche perché portava ad estendere ai territori via via acquisiti una legislazione in materia ecclesiastica di orientamento fortemente laicista), ebbe effetti dilaceranti nella coscienza individuale e collettiva dei cattolici italiani, divisi tra gli opposti sentimenti di fedeltà nascenti dalla cittadinanza da un lato e dall'appartenenza ecclesiale dall'altro". Si deve riconoscere, afferma ancora Benedetto XVI che se fu il processo di unificazione politico-istituzionale a produrre quel conflitto tra Stato e Chiesa che è passato alla storia col nome di "Questione Romana", suscitando di conseguenza l'aspettativa di una formale "Conciliazione", nessun conflitto si verificò nel corpo sociale, segnato da una profonda amicizia tra comunità civile e comunità ecclesiale".

Redazione online

16 marzo 2011

 

Via alle celebrazioni dell’Unità d’Italia

Bertone sul Colle con il saluto del Papa

Napolitano agli Enti locali: nella Carta la storia convive con lo sviluppo delle autonomie

Via alle celebrazioni dell’Unità d’Italia

Bertone sul Colle con il saluto del Papa

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Il capo dello Stato Giorgio Napolitano

Il capo dello Stato Giorgio Napolitano

ROMA—Il segretario di Stato Vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, si reca stamattina al Quirinale, alle 11, per consegnare al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il messaggio che Benedetto XVI ha voluto indirizzare alla nazione italiana in occasione dei 150 anni dell’Unità del Paese. Il cardinale Bertone interverrà poi, domani pomeriggio 17 marzo, giorno della festa, alla seduta delle Camere riunite a Montecitorio per la commemorazione ufficiale dello storico anniversario, cui parteciperanno il presidente della Repubblica (che pronuncerà il discorso ufficiale) e i presidenti di Camera e Senato e tutte le alte cariche istituzionali.

Domani a mezzogiorno il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, presiederà una messa nella basilica di santa Maria degli Angeli, cui sono state invitate le massime cariche dello Stato. Una celebrazione che il professor Alberto Melloni ha definito un "atto storico di conciliazione" perché dalle controversie del Risorgimento si è giunti a "una Chiesa che sostiene e appoggia lo Stato".

La presenza di Bertone a Montecitorio (che già aveva partecipato al 140˚ anniversario di Roma Capitale e della presa di Porta Pia, lo scorso settembre), sarà, secondo fonti vaticane, la testimonianza tangibile del fatto che la Chiesa desidera confermare il suo impegno in favore di tutti gli italiani, specialmente dei giovani. Il segretario di Stato intende inoltre dimostrare che il Vaticano è lieto di collaborare con le istituzioni italiane per promuovere insieme, a livello internazionale, valori fondamentali quali la dignità della persona, la libertà religiosa, il progresso integrale della società e la pace. A Montecitorio la Lega sarà presente con Bossi, i suoi ministri (Maroni e Calderoli) e i quattro parlamentari piemontesi, "più sensibili al tema".

Il calendario degli appuntamenti celebrativi è serrato. La Pattuglia acrobatica dell’Aeronautica disegnerà nel cielo di Roma, un Tricolore che — sottolinea lo Stato maggiore delle Forze armate — "idealmente si estenderà dalla Capitale a tutto il Paese e unirà, da Nord a Sud, tutti gli italiani", sorvolando l’area dell’Altare della Patria intorno alle 9 in concomitanza con la deposizione della corona di alloro al Milite Ignoto da parte di Napolitano. Il premier Berlusconi, dopo l’omaggio all’Altare della Patria, come il presidente Napolitano si sposterà al Pantheon dove riposano le spoglie di Vittorio Emanuele II. A seguire, Berlusconi salirà sul Gianicolo, per rendere omaggio al monumento a Garibaldi. Palazzo Madama, sede del Senato, sarà straordinariamente aperto al pubblico dalle ore 20 di oggi alle 2 di notte di domani. Un "Tricolore di luci" nelle stesse ore illuminerà la facciata. Il 17 sarà aperto anche Palazzo della Consulta, sede della Corte Costituzionale. Festeggiamenti e rievocazioni cominciano stasera sulla Rai, con la Notte tricolore, la più impegnativa di sei puntate dedicate ai "150 anni", condotte da Pippo Baudo e Bruno Vespa. Si parte infatti con la diretta da piazza del Quirinale, dove interverrà il presidente della Repubblica. Madrina della serata, Sophia Loren, "che attraverso i suoi film — ha spiegato Baudo — ha raccontato tanti aspetti, anche tragici, del nostro passato ".

M. Antonietta Calabrò

16 marzo 2011

 

 

2011-03-15

Oggi la prima seduta del Pirellone introdotta dalle note patriottiche

Inno d'Italia, strappo leghista: i consiglieri fuori dall'aula regionale

Per il Carroccio in Aula solo il presidente Boni. Formigoni: "70 secondi di Inno non fan male a nessuno"

Oggi la prima seduta del Pirellone introdotta dalle note patriottiche

Inno d'Italia, strappo leghista: i consiglieri fuori dall'aula regionale

Per il Carroccio in Aula solo il presidente Boni. Formigoni: "70 secondi di Inno non fan male a nessuno"

I banchi vuoti dei consiglieri della Lega Nord (Ansa)

I banchi vuoti dei consiglieri della Lega Nord (Ansa)

MILANO - Alla "prima" dell'inno di Mameli eseguito nell'aula del Consiglio regionale della Lombardia in onore dei 150 anni dell'Unità d'Italia, i leghisti, come annunciato alla vigilia, non hanno partecipato. Gli esponenti della Lega Nord nel Consiglio, che si erano opposti alla legge regionale che prevedeva l'esecuzione dell'inno nazionale nella seduta di oggi, sono usciti dal'Aula prima dell'esecuzione patriottica che ha dato il via alla seduta per celebrare il 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia. Per il Carroccio era in Aula solo il presidente del Consiglio regionale, Davide Boni, per svolgere il suo ruolo istituzionale. Gli esponenti della Lega, si sono fermati a prendere un caffè alla buvette.

Un gesto abbastanza prevedibile, quello della Lega già contraria alla festa del 17 marzo, ma che comunque ha creato scalpore prima ancora di venir messo in pratica. Il governatore Roberto Formigoni, come annunciato, era invece in aula, con una spilla con il simbolo 150 sulla giacca. "Settanta secondi di Inno di Mameli non fanno male a nessuno, sono un simbolo importante di quello che siamo", ha commentato, all'uscita dei consiglieri leghisti. "Da lombardi partecipiamo alla festa del tricolore. La Lombardia ha avuto una parte molto grande nella costituzione dell’Unità di Italia, abbiamo dato un contributo di sangue e di ideali e oggi continuiamo ad essere la locomotiva dello sviluppo dell’Italia in Europa e nel mondo".

La Minetti canta l'inno, Boni no

La Minetti canta l'inno, Boni no La Minetti canta l'inno, Boni no La Minetti canta l'inno, Boni no La Minetti canta l'inno, Boni no La Minetti canta l'inno, Boni no La Minetti canta l'inno, Boni no La Minetti canta l'inno, Boni no

BONI: "IN AULA MA IDEALMENTE FUORI" - Il presidente Boni, presente in aula "suo malgrado", ha poi commentato: "Purtroppo non ho potuto bere il cappuccino con gli altri del mio gruppo. Ero in Aula perché sono il presidente di tutti, ma idealmente non l'ho sentito. L'ho vista come una grossa azione demagogica, come se i problemi dei cittadini lombardi si risolvessero con tutta questa enfasi. Oggi il Paese chiede più sobrietà e non autocelebrazioni di sepolcri imbiancati". "La positività che registro - ha aggiunto ironico Boni - è che Formigoni sarà in Aula da qui a tutto il 2011. Vista infatti l'euforia con la quale ha salutato l'iniziativa di suonare l'Inno sono sicuro che non vorrà perdersene neanche uno" all'inizio di tutte le prossime sedute dell'anno. Il presidente dell'Assemblea lombarda ha criticato anche i 3.500 euro spesi dall'ufficio di presidenza per comprare un migliaio di bandiere tricolori ai cittadini, 490 dei quali sono stati però dati ai consiglieri regionali. Boni ha infine dato ordine ai commessi di evitare che durante l'esecuzione dell'Inno venissero sventolati Tricolori. "Queste cose - ha ribadito - vanno fatte con sobrietà e solennità nel rispetto di tutti, non come se fossimo una squadra contro l'altra".

BUFERA SUI LEGHISTI - "Penso che il miglior modo per onorare le istituzioni sia lavorare nell'interesse dei lombardi". Così il vicepresidente della Regione Lombardia, Andrea Gibelli, mentre sui leghisti si scatena la bufera delle polemiche. "È gravissimo che i consiglieri regionali lombardi della Lega siano usciti oggi durante l'esecuzione dell'inno di Mameli. È un vero e proprio schiaffo al Paese. Se non si sentono italiani si dimettano e rifiutino il lauto stipendio che gli arriva puntuale a fine mese", afferma il portavoce dell'Italia dei Valori, Leoluca Orlando. "Chi non riconosce lo Stato che governa - afferma in una nota Alessandro Maran, vicepresidente dei deputati del Pd - dovrebbe trarne le conseguenze. Non si può essere ministri, governatori, sindaci, assessori, consiglieri di un esecutivo nazionale, di una regione, di una provincia e di una città se non si approva l'ordinamento dal quale queste articolazioni discendono. Dal canto suo Alessandro Pignatiello, coordinatore della segreteria nazionale del PdCI-Federazione della sinistra, ritiene "intollerabile che i consiglieri regionali lombardi della Lega siano usciti oggi durante l'esecuzione dell'inno di Mameli. I leghisti che fanno parte del governo o si dissociano pubblicamente da quanto fatto dai loro colleghi di partito a Milano o escano immediatamente dal governo nazionale della Repubblica italiana, che come recita la Costituzione è una e indivisibile, e sulla quale hanno giurato prima di fare i ministri. La Lega è secessionista. Chi non lo ha ancora capito continua a fare del male al Paese e alla sua unità, che ipocritamente festeggia ma che nei fatti calpesta ogni giorno".

LA RUSSA: "VIGLIACCHI" - Dura presa di posizione dell'assessore lombardo alla Sicurezza e coordinatore provinciale milanese del Pdl, Romano La Russa, contro la decisione leghista di disertare l'aula. "Oggi è una data importante e significativa per la nostra regione, giorno di gioia e di orgoglio, ma per qualcuno è anche la più triste della vita politica lombarda - sostiene il fratello di Ignazio La Russa, in una nota - Totale disprezzo per il gesto inqualificabile di quei consiglieri che si sono rifiutati di entrare in aula durante l'esecuzione dell'inno nazionale".

TONI DA REPUBBLICA DI SALÒ - "Chi non rende onore alla propria bandiera - continua - al proprio inno e alla Patria non può che essere definito vigliacco e la sua esistenza meschina". "Pensavo che gli insulti oggi non fossero contemplati e invece le parole di Romano La Russa si addicono di più alla Repubblica di Salò che all’Italia", ha detto il Vicepresidente e Assessore all’Industria e Artigianato Andrea Gibelli in merito alle dichiarazioni di La Russa. "Mi auguro - ha continuato Gibelli - che in futuro torni il sereno perchè non vorrei che i nostalgici passassero alle vie di fatto: in quel caso ci comporteremo di conseguenza".

Redazione online

15 marzo 2011

 

 

2011-01-08

Si inizia con l'omaggio al Tricolore nella città che gli diede i Natali

Napolitano: "Rispettare il Tricolore

è un dovere per chi ha ruoli di governo"

A Reggio Emilia la prima cerimonia di un anno di eventi. Bossi: "Negativo festeggiare senza federalismo"

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Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (Inside)

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (Inside)

MILANO - "Dato che nessun gruppo politico ha mai chiesto una revisione dei principi fondamentali della Costituzione, è pacifico che c'è l'obbligo di rispettarli. E tra questi principi c'è il rispetto del tricolore". Lo ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, intervenendo a Reggio Emilia nella giornata di apertura delle celebrazioni ufficiali per i 150 anni dell'Unità d'Italia. Il capo dello Stato ha sottolineato che non è un caso che nella carta costituzionale sia stato inserito uno specifico articolo, il numero 12, dedicato alla bandiera nazionale. E con riferimento ad esso, ha evidenziato, "comportamenti dissonanti non corrispondono alla fisionomia e ai doveri di forze che abbiano ruoli di rappresentanza e di governo".

UNITÀ D'ITALIA E FEDERALISMO - Napolitano ha rivolto "un vivo incitamento a tutti i gruppi politici, di maggioranza e di opposizione, a tutti coloro che svolgono compiti di responsabilità istituzionale, perché nei prossimi mesi al Sud, al Centro come al Nord, si impegnino a fondo per le iniziative del centocinquantenario". Il presidente ha poi invitato a non sminuire il valore di questo anniversario, cosa che "non giova a nessuno, non giova a rendere più persuasive, potendo invece solo indebolirle, le legittime istanze di riforma federalistica e di generale rinnovamento dello Stato democratico". "Celebrare i 150 anni dell'Unità d'Italia senza il federalismo, con tutto ancora centralizzato a Roma, sarebbe una cosa negativa" ha detto il leader della Lega Umberto Bossi replicando così all'invito del capo dello Stato a non ritrarsi dalle celebrazioni della ricorrenza, perché non gioverebbe alle "legittime istanze di riforma federalistica". "Il federalismo è una speranza", ha aggiunto il numero uno del Carroccio, rientrato a Gemonio dopo una decina di giorni di vacanze tra Ponte di Legno e Calalzo di Cadore. "Bisognerebbe - ha concluso - almeno arrivare a realizzare il progetto di Cavour". 

 

"STORTURE DA NON TACERE" - Napolitano ha riconosciuto che non tutto nel processo di riunificazione è andato come nelle intenzioni. "La delusione e lo scontento che ben presto seguì il compimento dell'Unità ha finito per riprodursi fino ai giorni nostri - ha sottolineato - . La critica del Risorgimento ha conosciuto significative espressioni, ma quel che è giusto sollecitare è un approccio non sterilmente recriminatorio e sostanzialmente distruttivo, e un approccio che ponga in piena luce il decisivo avanzamento storico che l'unità ha consentito all'Italia, al di là di storture da non tacere".

Il richiamo del capo dello Stato

"UNITI NELLE SFIDE" - "Non ripeterò le preoccupazioni per le difficoltà e le durezze delle prove che attendono e incalzano l'Italia", ma "la premessa per affrontarle positivamente, mettendo a frutto tutte le risorse su cui possiamo contare, sta in una rinnovata coscienza del doversi cimentare come nazione unita, come Stato Nazionale aperto a tutte le sfide, ma non incline a riserve e ambiguità sulla sua propria ragione d'essere e tanto meno a impulsi disgregativi che possono minare l'essenzialità delle sue funzioni dei suoi presidi e della sua coesione".

CENTRALISMO - È necessario "superare alcuni vizi di origine del nostro Stato, come il centralismo statale di impronta piemontese", ma ciò deve essere fatto "con spirito unitario", è l'invito di Napolitano al termine della prima giornata a Forlì di celebrazioni dell'Unità d'Italia. "Abbiamo ereditato questo Stato anche con le sue tare. È fondamentale che ci adoperiamo insieme per superarle. Mi auguro che ci ritroveremo tutti in questo spirito".

CALDEROLI - "Ogni parola di Napolitano è una sorpresa positiva", ha commentato il ministro leghista Roberto Calderoli. "Non mi ero sbagliato in mattinata nel ringraziarlo per la sua analisi dell'importante momento storico e le sue parole sulle tare del centralismo ne sono una conferma".

Il discorso integrale di Napolitano

DUE GIORNI IN ROMAGNA - Non è un caso che le celebrazioni abbiano preso il via da Reggio Emilia: è in questa città, infatti, che il 7 gennaio 1797 il tricolore venne adottato per la prima volta ufficialmente come vessillo della Repubblica Cispadana. Si tratta del primo appuntamento di un fitto calendario di eventi che si svolgeranno nel corso dell'intero anno in diverse città italiane. La giornata è iniziata con l'alzabandiera in Piazza Prampolini, cui seguirà una visita alla Sala del Tricolore e nella Sala civica del Palazzo municipale, per la consegna della copia del primo Tricolore ai sindaci di Torino, Firenze e Roma, ovvero le città che negli anni sono state capitali della nazione. Il capo dello Stato inaugurerà quindi la mostra "La bandiera proibita. Il tricolore prima dell'Unità" allestita a Palazzo Casotti, e visita il museo a cielo aperto "Le strade della bandiera. Reggio Emilia città del Tricolore". Poi la celebrazione ufficiale, al Teatro municipale "Valli", dove è previsto anche l'intervento del capo dello Stato a cui seguirà il concerto dell'Orchestra sinfonica nazionale della Rai. Nel pomeriggio è in programma la visita al Museo Cervi di Gattatico, sede dell'Istituto Cervi e dell'Archivio Emilio Sereni. In serata Napolitano si trasferirà a Forlì. Anche sabato il presidente sarà in Romagna e visiterà anche Ravenna.

Redazione online

07 gennaio 2011

 

 

 

 

 

 

REPUBBLICA

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2011-03-19

Napolitano, il secondo giorno

inizia in metropolitana

La giornata del Presidente della Repubblica comincia dal rinnovato Museo dell'Auto. Prima però il Capo dello stato è andato con il metrò fino al Lingotto, dove Sergio Marchionne gli ha presentato la nuova Lancia Thema. Il capo dello Stato: "Bellissima, aspetto solo di poterla provare". E sulla Fiat: "Torino deve vincere la sfida dell'auto". Poi il tour è continuato con la Reggia di Venaria

Napolitano, il secondo giorno inizia in metropolitana Il presidente in metro con Chiamparino e Saitta

Comincia con un bagno di folla all'uscita dall'albergo dove ha trascorso la notte e con un viaggio in metropolitana il secondo giorno a Torino del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel capoluogo piemontese per i festeggiamenti per il 150 anni dell'Unità d'Italia.

Il metrò e la Thema. Con la metropolitana appena inaugurata, il Capo dello Stato è andato dalla stazione di Porta Nuova al Lingotto dove l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, insieme a Lapo Elkann gli ha mostrato la nuova Lancia Thema presentata al Salone di Ginevra. "Bellissima, aspetto solo di poterla provare", è stato il commento. E sulla nuova 500: "Un esempio di come possiamo marciare nella nuova era e nel mondo".

"Torino deve vincere la sfida dell'auto". Napolitano si è trasferito, quindi, al nuovo Museo Nazionale dell'Automobile per una visita privata (l'inaugurazione ufficiale sarà nel pomeriggio con le autorità locali). "Arte e industria - ha commentato il presidente dopo la visita - hanno in comune l'elemento della creatività italiana che è il nostro grande punto di forza: un patrimonio da valorizzare e da rinnovare".

E poi ha spiegato durante la diretta con Rai 150 che "Torino deve vincere la sfida dell'auto, si sta facendo uno sforzo esemplare, noi italiani siamo tutti appassionati di Fiat. Naturalmente essere capitale del mondo significa sapersi integrare con altre realtà, grandi realtà di produzione automobilistica che ci sono nel mondo. In questo senso, esemplare è lo sforzo che si sta facendo per un'integrazione Italia-America, Torino-Detroit. Il segno dei tempi. Una sfida da vincere".

"Venaria, una mostra unica". Successivamente Napolitano, si è spostato alla Reggia di Venaria per l'inaugurazione della grande mostra "La Bella Italia", dove sono raccolti circa 400 capolavori dell'arte italiana. Una visita da cui il capo di Stato è uscito entusiasta: "Una mostra assolutamente unica - ha detto - perchè non se ne era mai vista una che raccogliesse tesori delle vecchie capitali, nessuna esclusa. Anche il ruolo di Napoli e di Palermo è pienamente valorizzato. Chi vedrà la mostra capirà che qui c'è una concentrazione di esempi dell'arte italiana mai vista prima".

Il programma della giornata. Sempre in mattinata, il Capo dello Stato sarà al nuovo polo tecnologico della Pirelli a Settimo, alla presenza del presidente Marco Tronchetti Provera, del management della società e delle istituzioni locali, mentre nel pomeriggio sono in programma incontri al Parco del Valentino, per la consegna di un premio del Politecnico del capoluogo piemontese, e all'Arsenale della Pace. In serata, al teatro Gobetti, Napolitano, che è accompagnato dalla moglie Clio, assisterà all'anteprima delle "Operette Morali" di Giacomo Leopardi.

Cota al contrattacco. Intanto non si placano le polemiche sui fischi agli esponenti della Lega e del governatore del Piemonte, Roberto Cota: "La polemica squalifica chi la fa - ha ribadito Cota mentre aspettava Napolitano al Lingotto - sono orgoglioso delle idee della Lega. Se non ci fosse Stata la Lega e Bossi oggi non ci sarebbbe il federalismo. Ho fatto il mio dovere e sono arrivati i fischi strumentali. Hanno voluto strumentalizzare la festa, ma ho le spalle larghe". E poi ha attaccato il sindaco Chiamparino, che ha criticato le assenze leghiste: "Potevo dire che Chiamparino non è venuto al consiglio regionale straordinario, ma non ho detto nulla".

(19 marzo 2011)

 

 

INDUSTRIA

Giappone, i timori di Marchionne

"Avrà il suo impatto anche sull'auto"

"Ora c'è troppa incertezza, ma le conseguenze ci saranno, sull'industria e a catena sui fornitori. La domanda è quanto durerà e che effetti avrà". Così l'ad Fiat al Lingotto, dove presenta la nuova Thema a Napolitano. "Libia, un problema di tutti". Capitalismo italiano, "bisogna lottare di più"

Giappone, i timori di Marchionne "Avrà il suo impatto anche sull'auto" L'ad Fiat Sergio Marchionne accoglie il capo dello Stato Giorgio Napolitano al Lingotto

TORINO - Forse non subito, ma la grave situazione in cui versa il sistema giapponese a causa delle calamità subìte avrà il suo impatto su tutta la filiera dell'industria dell'auto. E' la convinzione dell'amministratore delegato Fiat, Sergio Marchionne.

"Per il momento non vediamo alcun impatto, c'è troppa incertezza - dice il numero uno della casa torinese, a margine della presentazione della nuova Thema al capo dello Stato, al Lingotto -. Ma l'impatto ci sarà anche sull'industria automobilistica, a catena sui fornitori. La domanda è quanto durerà quell'evento e che impatto avrà. C'è troppa incertezza. Per quanto ci riguarda, stiamo analizzando la questione. La scorsa notte ne abbiamo parlato con i nostri negli Stati Uniti, per il momento non vediamo impatti negativi. Ma è troppo presto, aspettiamo".

Marchionne analizza anche l'altro tema caldo delle relazioni internazionali, la crisi libica, che riguarda soprattutto il futuro assetto del Mediterraneo. "Mi preoccupa - chiarisce subito l'ad Fiat -. Il problema è molto più ampio della Libia, riguarda tutto il Nordafrica. Ci vuole non solo l'impegno italiano, ma quello europeo. E' un problema da risolvere, ci vuole l'impegno di tutti. L'Italia può fare quello che può fare, il resto del mondo non si può astenere".

Con il resto del mondo è in atto anche una sfida: quella del sistema capitalistico italiano, fatto soprattutto di piccola e media impresa,

che rischia di essere fagocitato in un mondo in cui non valgono per tutti le stesse regole e le regole le detta chi ha dalla sua parte la potenza dei numeri. Italia figlia di un capitalismo minore? Per Marchionne è anche un problema di dimensioni. "La Fiat è una delle poche industrie di livello nazionale di grande misura. E' uno sviluppo storico che è molto difficile cambiare. Bisogna lottare di più, gli altri lottano molto di più, è un handicap e non aiuta. Non è che siamo chiusi, siamo pochi".

(19 marzo 2011)

 

2011-03-18

Napolitano a Torino per l'Unità

Il presidente si commuove sul palco

Visita del capo dello Stato nel secondo giorno di celebrazioni per il 150esimo dell'Unità d'Italia. Ricorda il ruolo storico della Torino risorgimentale e capitale, e lo "scatto di sentimento nazionale" che ieri si è avvertito: "Era quello che volevamo suscitare". Chiamparino: gratitudine per il garante della Costituzione. I lavoratori espongono striscione tricolore, appello al Quirinale contro i tagli. Marchionne: "Mai dimenticato cos'è l'Italia per la Fiat". Fischi al sottosegretario leghista Davico e al governatore Cota

Napolitano a Torino per l'Unità Il presidente si commuove sul palco

Un bagno di folla accompagna la visita a Torino del capo dello Stato Giorgio Napolitano. Con la moglie, signora Clio, il presidente ha raggiunto Palazzo Carignano per visitare il nuovo allestimento per il Museo del Risorgimento ma la folla lo ha invitato a più riprese a fermarsi per stringergli la mano, farsi fotografare con lui sventolando il tricolore.

"Sono qui per rendere merito a Torino, che sin dall'inizio ha creduto in questo evento e ha approntato un programma di celebrazioni che mi ha subito colpito", ha esordito Napolitano al Regio di Torino, dove è arrivato alle 11 per la cerimonia d'apertura dei festeggiamenti per i 150 anni dell'Unità d'Italia. Il capo dello Stato, che ha scoperto fra applausi e tricolori un busto di Cavour in marmo di Carrara - dono dell'amministrazione torinese - che sarà poi installato al Quirinale, ha preso la parola dopo il sindaco Sergio Chiamparino e il presidente della Regione, Roberto Cota, ricordando il ruolo storico di Torino Capitale e la "straordinaria fusione di italiani del Sud e del Nord" avvenuta nella città piemontese, "che ha contribuito alla grande crescita della nostra economia e della nostra società" dopo la guerra. Richiamando poi la soglia di duplice mandato per i sindaci, Napolitano ha rivolto un augurio diretto e personale a Chiamparino, e si è commosso visibilmente mentre evocava dal palco "l'umiltà necessaria a chi è chiamato ad alte responsabilità istituzionali".

Il Regio accoglie Napolitano

Merito a Torino e Roma. Napolitano ha sottolineato che "al di là dei cambiamenti di direzione politica della regione Piemonte" il nutrito programma per l'Unità è stato condotto a termine nella sua interezza. "Va a vostro onore", ha detto rivolto al sindaco e al governatore. Poi ha reso omaggio anche a Roma, nel suo ruolo storico e anche nel suo essere stata all'altezza delle celebrazioni. E al sindaco della capitale, Gianni Alemanno, ha riconosciuto il merito delle "bellissime e commoventi iniziative" svoltesi ieri. "C'era tanta gente col tricolore - ha osservato - che ha riscoperto qualcosa. Dobbiamo ora ritrovare il patrimonio storico e ideale del Risorgimento", ha aggiunto Napolitano, per lungo tempo "poco studiato e poco sentito". Poi, l'invito a una più forte "coesione nazionale, indispensabile per far fronte alle prove anche molto ardue che ci aspettano"; ma già all'inizio del discorso il presidente si era rallegrato per "lo scatto di sentimento nazionale" avvertito durante le celebrazioni, scatto che "volevamo suscitare".

La Libia. Nell'imminenza delle decisioni europee, dopo la risoluzione Onu sulla No fly zone in Libia, Napolitano ha ribadito l'impegno italiano. "Non possiamo rimanere indifferenti alla sistematica repressione di fondamentali diritti umani in qualsiasi Paese. Non possiamo lasciare che vengano distrutte, calpestate le speranze, che si sono accese, di un Risorgimento anche nel mondo arabo. Mi auguro che le decisioni da prendere siano circondate dal massimo consenso".

L'arrivo. Napolitano è stato accolto da una delegazione dei lavoratori del Regio che , davanti al teatro, protestavano contro i tagli alla cultura. Sul loro striscione, la scritta "Presidente, non lasciamo che la culla dell'arte ne diventi la tomba". Fischi e contestazioni ("buffone, buffone") per il sottosegretario leghista Davico. Ad attendere il presidente della Repubblica - con lui anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno - i massimi vertici politici ed economici. Oltre a Chiamparino e Cota, anche il presidente della Provincia Antonio Saitta, il vicepresidente del Csm Michele Vietti, l'ad di Intesa Sanpaolo Corrado Passera, il presidente di Cariplo Giuseppe Guzzetti, l'ex ministro Domenico Siniscalco, il presidente della Fiat John Elkann e l'amministratore delegato, Sergio Marchionne, che ha detto: "Noi non abbiamo mai dimenticato cos'è l'Italia per la Fiat". Al Regio era presente anche il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani.

Chiamparino e Cota. Dopo l'inno di Mameli, all'inizio della cerimonia ha preso la parola Chiamparino che si è rivolto al presidente. "Siamo lieti di poterle testimoniare la gratitudine profonda per il suo ruolo di garante della Costituzione, di riferimento morale di questo nostro tempo incerto e simbolo altissimo dell'unità del nostro paese". Proteste e fischi - ma alla fine anche applausi - durante l'intervento del governatore leghista Cota, quando ha fatto riferimento alle polemiche di ieri seguìte alla sua assenza dalla cerimonia dell'alzabandiera, invitando a "non strumentalizzare". I fischi si sono ripetuti più tardi, quando il corteo delle autorità si è diretto verso Palazzo Madama.

Cota ha apprezzato l'attenzione per la vocazione industriale di Torino dimostrata da Napolitano nella scelta dei luoghi da visitare oggi e domani, dal nuovo Museo dell'Auto a uno stabilimento della Pirelli. "In Piemonte - ha detto Cota durante l'intervento al Regio - sentiamo l'esigenza di rilanciare un patrimonio di valori fatti di lavoro, produzione, innovazione. Ho molto apprezzato - ha aggiunto rivolgendosi al capo dello Stato - la sua decisione di visitare il Museo dell'Auto e di farlo nella prospettiva di credere nella vocazione produttiva del nostro territorio, di un futuro che sia all'altezza del grande contributo che questa Regione ha sempre dato allo sviluppo del nostro sistema produttivo. Uguale sensibilità colgo nella visita al rinnovato stabilimento Pirelli, dove lavorano 1.200 persone. Puntare sul lavoro - ha concluso Cota - vuol dire costruire una casa vera, che non sia un castello di carta".

(18 marzo 2011)

 

 

IL COMMENTO

La festa di un popolo

di EZIO MAURO Grazie allo spirito unitario, costituzionale e repubblicano della sua presidenza, Giorgio Napolitano è infine riuscito a trasformare in una festa nazionale e di popolo il centocinquantenario dell'unità d'Italia.

Il tricolore alle finestre e ai balconi, le famiglie nelle piazze imbandierate e nei palazzi delle istituzioni aperti per l'occasione, l'inno di Mameli cantato per le strade: un popolo di cittadini ha unito patria, unità e Costituzione in un nuovo sentimento nazionale che la politica non potrà ignorare.

Solo la Lega ha voluto andare pubblicamente in minoranza rispetto a questo nuovo patriottismo repubblicano, che non è di parte ma è costitutivo di un'identità nazionale finalmente risolta e riconosciuta. Assenze vistose a Montecitorio, solo Bossi e i ministri presenti come per un vincolo istituzionale, due deputati e nient'altro.

È un'occasione perduta per i leghisti, chiamati ad una prova culturale e politica di governo e di responsabilità davanti all'intero Paese. Ma è anche un gesto fortemente minoritario e ideologico, di chi si autoesclude da una festa di popolo puntando sulle divisioni e sulle differenze, fino al punto da non riconoscersi nel calendario civile della Repubblica, fondamento della democrazia istituzionale.

Anche il presidente del Consiglio, che ha risposto ai fischi dicendo che non intende lasciare il Paese "in mano ai comunisti" dovrebbe sentire la stonatura delle sue parole nella giornata di ieri. Gli italiani hanno cercato

nel 17 marzo ciò che unisce. La politica dovrebbe capirlo, cercando di essere all'altezza dei cittadini.

(18 marzo 2011)

 

IL CASO

Addio ai bagni di folla

Silvio scopre l'ira della piazza

Da gennaio a oggi si sono moltiplicate le contestazioni popolari contro il premier. Per evitare le urla ieri ha lasciato la chiesa di Santa Maria degli Angeli dalla sacrestia

di FILIPPO CECCARELLI

Addio ai bagni di folla Silvio scopre l'ira della piazza Berlusconi arriva al Teatro dell'Opera per il "Nabucco"

Quando i fischi diventano la musica del potere, come minimo quel potere non gode buona salute, come massimo è in serio pericolo.

C'è poco da spiegare che si tratta di contestazioni organizzate. Certo che lo sono, ci mancherebbe. I berlusconiani lo sanno molto bene. Appresso a Prodi, durante il suo breve governo, mandavano regolarmente squadrette di fischiatori. Ma come avvenne in quel caso, il fischio si fa interessante quando ai contestatori si aggiungono i cittadini qualunque, i passanti, i turisti; e allora quel rumore di fondo, con le dovute variazioni di buuu e improperi, segnalano comunque un evento che si colloca tra la fine dell'incantesimo e l'inizio del disfacimento.

Ieri l'indice sonoro d'impopolarità berlusconiana, con tanto di dribbling della folla attraverso l'uscita posteriore della michelangiolesca Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, è salito ben sopra il livello di guardia; e tanto più se si considerano i pregressi fischi e la notevole serie di episodi, per lo più spontanei, ma certo poco simpatici nei confronti del Cavaliere, che con qualche acribia si sono registrati a partire dall'inizio di questo per lui ingrato 2011.

E dunque il 18 di gennaio, mentre Berlusconi sta andando da Napolitano per parlare del 150° e del Rubygate, a piazza del Quirinale una piccola folla nota l'auto del presidente del Consiglio e "si lascia andare - secondo l'espressione di un notiziario Rai - a qualche fischio". Otto giorni dopo, sotto Palazzo Chigi, un classico del repertorio berlusconiano,

e cioè l'incontro con la scolaresca, è funestato da un ragazzo che sul più bello delle amichevoli interazioni grida: "Lei è un coglione!". Al che - con una certa prontezza, bisogna riconoscere, e senza neanche troppo scomporsi - il Cavaliere ribatte: "Senti chi parla!".

Sono cose che capitano. Ma quello che conta, come non si fatica a intendere, è la frequenza e poi l'intensità. Anche piuttosto interessante è la faccia che fanno i potenti dinanzi ai fischi, che di norma non si aspettano: il cosiddetto "effetto Ceausescu", che in un celebre filmato per qualche attimo stenta ad accorgersi di quanto poco sia gradito dalla folla. Fatto sta che il primo febbraio Berlusconi è accolto malamente alla stazione di Torino Porta Nuova; e alla fine del mese raccoglie contestazioni sia al congresso del Pri all'hotel Ergife di Roma che all'uscita del meeting della Confesercenti a Milano.

A marzo, per la prima volta, lo scontento si manifesta anche all'estero con cartelli e striscioni sotto la neve fuori dell'assemblea del Ppe, ad Helsinki. Nel frattempo per due volte alcuni sindacati della Polizia di Stato, Penitenziaria, Guardie forestali e Vigili del fuoco hanno dimostrato, pure indossando beffarde maschere, davanti al cancello di villa San Martino ad Arcore. Ora, è anche vero che in diverse occasioni la piazza era divisa e insieme ai fischi si sono fatte sentire anche le voci dei fan di Berlusconi "forza Silvio", "resisti", "non mollare". Eppure, il rumorifero elenco di cui sopra e ancora di più l'intensificarsi delle contestazioni aiutano senz'altro a considerare che il rito del bagno di folla si sta rovesciando nel suo contrario.

Quando esattamente è partito questo processo è già più complicato da dire. Di sicuro all'inizio di ottobre dell'anno scorso Berlusconi confermava un "indice di fiducia" al 60,2 per cento e, sempre a suo modesto giudizio, tale stima era testimoniata "dal fatto che dove arriva il presidente del Consiglio - detto in terza persona - il traffico si ferma". Tema sensibile, almeno a Roma, e immagine efficace.

Ma si direbbe a volte che una segreta divinità si adoperi per ridimensionare le burbanze dei potenti. Così il mese dopo, per l'esattezza il giorno 9 novembre, il Cavaliere si ebbe la più imprevista, rimarchevole e significativa fischiatona prima all'Aquila ancora mezza terremotata e poi in Veneto, a Padova e a Vicenza, dov'era giunto per via dell'alluvione. Non sfugge la circostanza che in entrambi le occasioni il potere, cioè Berlusconi, si trovava a fronteggiare popolazioni smarrite, in difficoltà. E' qui che si misurano le risorse dell'autorità. "O Bacchiglione, portalo via!" cantavano i vicentini, pur nella loro disperazione. "Tu bunga-bunga - si leggeva sui cartelli dei pur fieri aquilani - noi macerie-macerie".

(18 marzo 2011)

 

 

2011-03-17

Diretta

Unità d'Italia, via alle celebrazioni

Berlusconi contestato: "Dimettiti"

In corso le celebrazioni per il 150esimo anniversario della proclamazione dell'Unità d'Italia. Molti applausi per Napolitano. La folla urla "dimettiti" al Cavaliere. E Lui: "Non lascio il Paese ai comunisti". Fischi anche per il ministro della Difesa, Ignazio La Russa. In corso, nela basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, la solenne celebrazione liturgica della Santa Messa presieduta dal cardinale Angelo Bagnasco. Nel pomeriggio la seduta a Camere riunite del parlamento

(Aggiornato alle 14:03 del 17 marzo 2011)

14:03

Nyt: "Italia paese diviso" 51 –

Giudizio senza appello del New York Times nei confronti dell'unità d'Italia: nonostante oggi si celebri il 150/o anniversario dell'unità della Nazione, l'Italia resta "un Paese più diviso che mai, politicamente. geograficamente ed economicamente".

14:01

Berlusconi lascia la basilica passando dal retro 50 –

Al termine della cerimonia religiosa officiata dal cardinale Angelo Bagnasco Berlusconi anzichè uscire dal portone principale che da su piazza della Repubblica ha lasciato la basilica romana di Santa Maria degli Angeli uscendo dal retro dell'edificio religioso passando per la sagrestia.

13:58

Napoli, gonfaloni e sfilata 49 –

Alzabandiera, sfilata di gonfaloni e corpi delle forze armate e non solo, inno di Mameli. Napoli celebra in piazza del Plebiscito il 150esimo anniversario dell'unità d'Italia.

13:42

A Milano inno di Mameli e "O mia bela Madunina" 48 –

Prima l'Inno di Mameli, poi le note di 'O mia bela Madunina durante l'alzabandiera a Milano che si è svolto nel giorno della festa nazionale per i 150 anni dell'Unità d'Italia sul piazzale del Grattacielo Pirelli.

13:24

San Marino: auguri all'Italia 47 –

I Capitani Reggenti della Repubblica di San Marino, Giovanni Francesco Ugolini e Andrea Zafferani, hanno indirizzato oggi un messaggio di augurio al Presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, in occasione del 150^ anniversario dell'Unità d'Italia.

13:22

Sindaco leghista di Varese col tricolore 46 –

Si è presentato con la fascia tricolore, il sindaco leghista di Varese Attilio Fontana, stamani alla cerimonia dell'alzabandiera in apertura delle celebrazioni per l'Unità d'Italia. Nessuna bandiera o fazzoletto verde, di fronte al monumento ai caduti, dove si è assembrata una piccola folla di circa cinquecento persone con i mano bandiere tricolori.

13:21

Chiusa col "Te Deum" la messa con Bagnasco 45 –

Si è conclusa con il Te Deum la messa per i 150 anni dell'Unità d'Italia presieduta dal card. Angelo Bagnasco nella Basilica di Santa Maria degli Angeli. Il Te Deum è un inno di ringraziamento e di lode al Signore, di origine molto altica, riservato tradizionalmente alle cerimonie più solenni. Un segno che la Chiesa italiana ha voluto conferire la maggiore importanza alla celebrazione odierna.

13:17

Il sito della Ferrari diventa tricolore 44 –

"E' un anniversario particolare per l'Italia, che oggi compie 150 anni di vita: un giorno in cui noi tutti ci sentiamo ancora più orgogliosi di essere Italiani". Lo scrive la Ferrari che ha voluto fare un omaggio speciale alla ricorrenza, modificando la home page del sito del Cavallino Rampante (www.ferrari.com): una FF verde, una 458 bianca e la monoposto di F1 di quest'anno, ovviamente rossa, compongono un inedito Tricolore motoristico. Inoltre, le vetrine dei quaranta Ferrari Store sparsi in tutto il mondo saranno decorate con i colori della bandiera italiana.

13:10

Boni, presidente del consiglio regionale lombardo: "L'alzabandiera sa molto di Ventennio" 43 –

"Tirar su delle bandiere nel piazzale, prendere la gente che è in fila per visitare Palazzo Pirelli e portarla alla cerimonia diventa molto Ventennio". E' duro il commento del presidente del Consiglio regionale lombardo, Davide Boni, sulla cerimonia dell'alzabandiera per i 150 anni dell'Unità d'Italia, presieduta, questa mattina, in piazza Duca d'Aosta a Milano, dal presidente della Regione, Roberto Formigoni.

13:06

Contestato il presidente leghista della provincia di Bergamo 42 –

Fischi e insulti contro il presidente della provincia di Bergamo, il leghista Ettore Pirovano, che ieri sera intervenuto al teatro Donizetti della città ha affermato che "l'unità non può essere imposta" e che i bergamaschi non hanno niente da imparare in quanto a senso di solidarietà, alludendo alle differenze tra nord e sud. Il pubblico presente in teatro ha fischiato, prima di gridare "vergogna" e "viva l'Italia"

13:03

Bagnasco: 100 mila campanili ispirano un sentire comune 41 –

"I 100.000 campanili della nostra Italia, ispirano un sentire comune diffuso che identifica senza escludere, che fa riconoscere, avvicina, sollecita il senso di cordiale appartenenza e di generosa partecipazione alla comunita' cristiana, alla vita del borgo e del paese, delle citta' e delle regioni, dello Stato".

12:40

Bagnasco: "Ammirazione per Roma" 40 –

"Affetto e ammirazione per Roma, capitale d'Italia, memoria vivente della nostra storia plurimillenaria e provvidenziale sede del Successore di Pietro, centro della Cattolicità" sono stati esopressi dal presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco

12:38

Bagnasco: "Patria non retorica" 39 –

"Non è retorica, nè tantomeno nostalgia quella che ci muove, ma la consapevolezza che la Patria che ci ha generato è una preziosa eredità e insieme una esigente responsabilità" dice Bagnasco

12:32

Bagnasco: "Paese variegato ma solidale" 38 –

Il "volto" dell'italia rivela l'identità plurale e variegata della nostra patria, in cui convivono peculiarità e tradizioni che si sviluppano in modo armonico e solidale, secondo quello che don luigi sturzo chiamava il 'sano agonismo della libertà'. E potremmo aggiungere della operosità" continua Bagnasco

12:24

Bagnasco: "Ci sentiamo figli dell'Italia" 37 –

"Dell'Italia tutti ci sentiamo oggi orgogliosamente figli, perchè a lei tutti dobbiamo gran parte della nostra identità umana e religiosa". Lo ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, nella sua omelia alla celebrazione ecauristica per i 150 anni dell'Unità d'Italia

12:21

Colloquio Fini-Napolitano 36 –

Fitto conciliabolo tra Napolitano e Fini, prima dell'inizio della messa

12:19

Idv denuncia leghisti per vilipendio 35 –

Chiediamo ai magistrati di valutare se, in base alle gravi dichiarazioni di alcuni esponenti leghisti, è possibile ravvisare il reato di vilipendio alla bandiera italiana. Denunciamo agli italiani quest'indegno modo di comportarsi, compreso quello dei due capigruppo leghisti, che oggi diserteranno le cerimonie in Parlamento". Lo ha affermato il portavoce dell'Idv, Leoluca Orlando.

12:09

Nuovi fischi per Berlusconi 34 –

Berlusconi, nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, è stato accolto da applausi e fischi, questi ultimi in maggioranza, e anche da qualche grido di 'dimettiti!'. A queste reazioni da parte della gente oltre le transenne, il capo del governo ha replicato soltanto con un sorriso tirato e un gesto di saluto con la mano.

12:04

Alemanno: "La Lega sbaglia" 33 –

'Il senso di questa festa e' l'unità.Chi strumentalizza, come fa la Lega Nord, sbaglia sia dal punto di vista politico che territoriale". Lo dice il sindaco di Roma, Gianni Alemanno

12:00

Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri: applausi per Napolitano 32 –

Un lunghissimo applauso ha accolto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al suo arrivo alla Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, per la messa che verrà officiata dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana,

11:41

Zaia: "Il federalismo non divide il Paese" 31 –

"Il federalismo non dividerà il Paese, è movimento centripeto, non centrifugo, un movimento che aggrega". Lo ha detto il governatore del veneto, Luca Zaia

11:34

Speroni (Lega): "L'inno di Mameli mi infastidisce" 30 –

"L'unità d'italia non è un evento da festeggiare". Anzi, "sarebbe stato meglio se non ci fosse stata perchè così la Padania sarebbe più ricca". E ancora: "Quando ascolto l'inno di Mameli provo fastidio, perchè mi sento un pò oppresso da chi mi ha conquistato". Infine: "non esporrei mai dal balcone di casa mia il tricolore". Sono le affermazioni del capodelegazione della lega nord all'europarlamento, Francesco Speroni, intervistato dal quotidiano online Affaritaliani.It

11:23

Milano, contestato il capogruppo leghista 29 –

Una trentina di cittadini stanno contestando animatamente al grido di "viva l'Italia" e "vergognatevi", il capogruppo al Comune di Milano della Lega Matteo Salvini che si trova ad un banchetto all'ingresso della galleria vittorio emanuele dove sta distribuendo bandiere di Milano, cartoline storiche della città e adesivi del Carroccio

11:22

Verona, sindaco leghista ad alzabandiera 28 –

Il sindaco leghista di Verona, Flavio Tosi - con fascia tricolore addosso - ha partecipato, stamane, ai festeggiamenti per i 150 anni dell'Unità d'Italia

11:16

Di Pietro: "Criticare chi semina zizzania" 27 –

"E' necessario ribadire il concetto di unità, ma anche criticare chi approfitta anche di questa giornata per seminare zizzania e odio". Così il leader di Italia dei Valori, Antonio Di Pietro

11:11

Bersani: "Assenza Lega non accettabile" 26 –

"Noi ci saremo. Purtroppo a quanto pare Qualcun altro non ci sarà. Ed è intollerabile". Pier Luigi Bersani incalza Berlusconi: "E' inaccettabile" l'assenza della lega oggi in Aula"

11:07

Per Berlusconi fischi anche al Gianicolo 25 –

Berlusconi, lascia il Gianicolo. Il premier entra in auto e dalla folla arriva una serie di fischi. Solo qualcuno si rivolge al premier per incoraggiarlo: "resisti, resisti"

10:58

Iannaccone: "Il sud ha poco da festeggiare" 24 –

"Unità d'italia? il sud non ha Molto da festeggiare. Quando il popolo meridionale sarà finalmente riscattato, avremo realizzato nei fatti l'unità del paese e saremo bel lieti di festeggiare". Lo afferma Arturo Iannaccone, leader di Noi Sud.

10:54

Fischiato La Russa 23 –

All'uscita dal museo in porta san Pancrazio dura contestazione contro il ministro della difesa, Ignazio La Russa. La russa è stato accolto dai fischi delle persone che sostavano dinanzi all'uscita del nuovo museo e fortemente contestato con la richiesta di dimettersi.

10:53

Padania: "Addio ai parassiti" 22 –

"150 anni di centralismo, che guasti": è il titolo a due pagine che, nel giorno della Festa dell'Unità nazionale, la 'Padania' dedica ad uno speciale sugli sprechi d'Italia."Festeggiamo l'addio ai parassiti uniti nel federalismo"

10:49

Torino, Lega assente all'alzabandiera 21 –

Nessun esponente della Lega Nord piemontese era presente questa mattina in piazza Castello, a Torino, alla cerimonia dell'alzabandiera, che ha dato ufficialmente il via alle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia.

10:48

"A Lampedusa giornata di lutto" 20 –

Bandiere a mezz'asta a Lampedusa. "Sarà una giornata di lutto- ha detto il sindaco Dino de Rubeis- d'altronde, sono in agonia 300 imprenditori turistici, che soffrono l'invasione da parte degli immigrati. Non vengono effettuati gli annunciati trasferimenti verso l'italia e l'isola sta morendo"

10:47

Torino, tricolori in piazza Castello 19 –

Centinaia di torinesi hanno affollato questa mattina con bandierine tricolori piazza Castello per la cerimonia dell'alza bandiera che ha dato il via ufficiale ai festeggiamenti per i 150 anni dell'Unità d'Italia. Presenti le massime autorità istituzionali della città e delle rappresentanze delle Forze armate.

10:47

Stretta di mano Fini-Berlusconi 18 –

Breve scambio di battute e una stretta di mano tra il premier, Silvio Berlusconi, e il presidente della Camera, Gianfranco Fini, all'Altare della Patria, durante la cerimonia di deposizione di una corona d'alloro al Milite Ignoto

10:44

La Russa: "Importante avere storia condivisa" 17 –

"E' importante e fondamentale avere una storia condivisa" Lo ha detto il ministro della Difesa, Ignazio la Russa

10:32

Berlusconi: "Vado avanti per difendermi" 16 –

"Vado avanti, rimango per difendermi - dice Silvio Berlusconi - Vado avanti, certo. Non lascio il paese in mano ai comunisti".

10:28

Barroso: "Europa forte ha bisogno di Italia forte" 15 –

'Un'Europa forte e unita ha più che mai bisogno di un'Italia forte e unita". E' il cuore di un videomessaggio del presidente della Commissione europea, Jose Manuel Durao Barroso, diffuso in occasione dei festeggiamenti per il 150mo anniversario dell'Unità d'Italia, una data che "rappresenta non solo un avvenimento cruciale nella storia dell'Italia, ma anche una conquista per l'intero continente europeo".

10:23

Padova, Venetisti fischiano inno nazionale 14 –

Un piccolo incidente ha turbato questa mattina la cerimonia dell'alzabandiera in Piazza dei Signori a Padova, cui assistevano il sindaco Flavio Zanonato e il prefetto Ennio Sodano. Una decina di esponenti del Movimento Veneti - Veneto Stato, al momento dell'alzabandiera, si sono messi a fischiare e a protestare. Immediato l'intervento dei carabinieri che hanno bloccato i manifestanti, una decina in tutto, e impedito pure che la folla indignata li aggredisse.

10:18

Berlusconi contestato: "Dimettiti" 13 –

"Dimettiti, dimettiti": questo il coro che un centinaio di persone, assiepato dietro le transenne, ha riservato a Berlusconi, appena arrivato al museo della repubblica romana, al gianicolo.

10:13

Berlusconi: "Oggi parla Napolitano" 12 –

"Oggi niente dichiarazioni. Le lasciamo fare al presidente della Repubblica". E' l'unica battuta concessa ai giornalisti dal premier Silvio Berlusconi

10:11

Monsignor Tonini: "Mia Italia orgogliosamente umile" 11 –

Oggi il 17 marzo "rappresenta il diventare vero di un sogno: di ciò che è stato un sogno per generazioni di italiani. Oggi noi non riusciamo nemmeno a immaginare quanto sembrasse impossibile l'unità, dopo secoli di frammentazione e dominio straniero". Così il cardinale Ersilio Tonini si esprime in un'intervista ad Avvenire commentando i 150 anni dell'Unità d'Italia che definisce la "festa di 'quella' Italia umile, concreta, benevola in cui è cresciuto"

10:10

Omaggio al monumento di Garibaldi 10 –

Sotto una pioggia battente i rappresentanti delle istituzioni con in testa stanno portando l'omaggio al monumento di Giuseppe Garibaldi.

10:00

Borghezio: "Celebrazioni? Soldi buttati. Presto due Italie" 9 –

"E' fuori luogo buttare via tutti questi soldi". Il leghista Mario Borghezio, ha ribadito stamattina a Omnibus su LA7 la propria contrarietà all'istituzione di una giornata di festa nazionale in occasione del 150esimo anniversario dell'unità d'Italia."Il destino, il vento della storia porterà a due Italie."Il destino, il vento della storia porterà a due Italie"

09:59

Bersani: "Noi veri patrioti" 8 –

Davanti ad una Lega che sarà presente con il suo stato maggiore alla seduta alla Camera ma che rivendica 'distanza' dalle celebrazioni nel Paese per il centocinquantenario dell'Unità d'Italia, il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, commenta: "E' meglio parlar di noi che siamo patrioti".

09:47

Colpi di cannone al Gianicolo 7 –

Ventuno salve di cannone, sparate dal Gianicolo in direzione di Roma, hanno dato questa mattina l'avvio alle celebrazioni

09:46

Applausi per Napolitano 6 –

Al Pantheon il Capo dello Stato è stato accolto da molti applausi e grida di "viva l'Italia". Alla cerimonia hanno preso parte anche i membri della famiglia Savoia: Vittorio Emanuele con la moglie Marina Ricolfi Doria e il figlio Emanuele Filiberto con la moglie Clotilde Coureau.

09:32

Manifesto polemico al Pantheon 5 –

Un manifesto listato a lutto con la scritta "Io non festeggio genocidi. La vita è bella" è stato esposto da un balcone durante le celebrazioni dei 150 anni dell'Unità di Italia al Pantheon in occasione della deposizione della corona di alloro sulla tomba di Vittorio Emanuele II di Savoia. Ad esporlo, un cittadino. Il manifesto è stato fatto togliere dopo pochissimi minuti.

09:29

Google festeggia 150 anni con logo tricolore 4 –

Anche Google festeggia i 150 anni dell'Unità d'Italia. Il più utilizzato motore di ricerca del web, anche nella sua versione inglese, stamani presenta in home page un "doodle" - lo speciale logo tematico - tutto tricolore, con una torta sormontata dal numero 150. Cliccando sul logo, si apre una pagina con i link ai siti dedicati ai 150 anni dell'Unità d'Italia, primo fra tutti quello ufficiale delle celebrazioni: www.italiaunita150.it/.

09:14

Il volo delle Frecce tricolori 3 –

Sopra l'altare della patria sono passate le Frecce tricolori, la pattuglia acrobatica nazionale dell'aeronautica militare.

09:12

Napolitano depone la corona al milite ignoto 2 –

Napolitano ha deposto una corona d'alloro sul sacello del milite ignoto. Ad assistere, a piazza Venezia, alcune centinaia di persone sistemate dietro le transenne.

09:10

Napolitano al Vittoriano 1 –

Con l'arrivo del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al Vittoriano, l'esecuzione dell'Inno di Mameli e la rassegna delle forze armate insieme con il ministro della Difesa Ignazio La Russa hanno preso il via le celebrazioni per il 150esimo anniversario della proclamazione dell'Unità d'Italia. Il capo dello Stato è stato accolto dai presidenti di Senato e Camera, Renato Schifani e Gianfranco Fini, dal premier Silvio Berlusconi e dal presidente della Corte Costituzionale Ugo De Siervo, prima dell'alzabandiera, accompagnato ancora dall'Inno nazionale.

(17 marzo 2011)

 

 

 

 

2011-03-16

LE CELEBRAZIONI

Unità d'Italia, la Lega nella bufera

Pd: "Maggioranza finita se disertano"

Ai rappresentanti del "Carroccio" "libertà di scelta" se partecipare o no alle celebrazioni. Dure reazioni di tutti gli schieramenti politici. Il sindaco de L'Aquila: "Non partecipo perché hanno abbandonato un pezzo del paese"

ROMA - Si moltiplicano gli episodi di "guerriglia" simbolica della Lega contro l'Unità d'Italia. Dopo il caso del Consiglio regionale lombardo 1, anche in Emilia Romagna 2 i rappresentanti del Carroccio hanno lasciato l'aula consigliare al momento dell'Inno nazionale. Mentre è oramai ufficiale la decisione di lasciare "liberta' di coscienza" ai propri parlamentari sul partecipare o meno ai festeggiamenti di domani a Montecitorio.

In serata, il presidente della Repubblica, aprendo dalla piazza del Quirinale le celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia e senza fare riferimenti espliciti, ha però ribadito il valore dell'unificazione del paese: "Divisi - ha detto il capo dello Stato - saremmo stati spazzati via dalla storia. Discutiamo e battagliamo, ma ciascuno deve sempre ricordare di qualcosa di più grande, che è la nostra nazione e la nostra patria, e se saremo uniti sapremo vincere le sfide che ci attendono". Napolitano ha poi concluso facendo gli auguri a tutti gli italiani, "di ogni fede politica".

Una scelta, quella dei leghisti, che non piace affatto a Ignazio La Russa, che attacca: "La Lega cresca, e impari che i paesi più federalisti

del mondo sono quelli più affezionati all'identità nazionale. La Lega cresca, ripeto, e smetta di seguire le minoraze estremistiche che ci sono dentro al Carroccio, e che si attardano sul secessionismo che Bossi per primo ha abbandonato". Il ministro della Difesa, però, ha poi stemperato il suo affondo: "Non c'è obbligo di presenza, ma obbligo di rispetto". Il coordinatore nazionale del Pdl ha però sottolineato che alcune dichiarazioni, come quelle degli eurodeputati Francesco Speroni e Mario Borghezio, sono un pò "campate in aria". Ad ogni modo, ha concluso, "c'è libertà di parola e quindi anche di folklore" a condizione che "non ci sia mancanza di rispetto, scorrettezza o ostilità".

Più duro il commento dell'Udc, che con il segretario Lorenzo Cesa parla di atteggiamento "semplicemente vergognoso". "Questo dimostra - dice Cesa - che il Carroccio non sarà mai un partito di governo, ma è destinata a restringersi in un localismo diffuso".

Singolare la motivazione data dal capogruppo della Lega alla Camera, Marco Reguzzoni, che non parteciperà alla seduta comune del Parlamento convocata domani nell'aula di montecitorio in occasione delle celebrazioni per i 150 dell'unità d'italia. "Non ci sarò - spiega Reguzzoni - Hanno deciso di chiudere gli asili, perciò io sarò con i miei figli". "Gli altri? non lo so, ognuno agirà secondo coscienza - aggiunge l'esponente leghista - evitiamo polemiche inutili. Il paese ha bisogno di riforme. Il governo sta lavorando".

Reguzzoni non partecipa insieme ai suoi ai festeggiamenti per i 150 anni dell'unità d'Italia? "Faccia quello che vuole, non voglio più occuparmene, non merita la mia attenzione.". Così il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini.

l "no" alle celebrazioni per il 150° del'Unità d'Italia viene anche dal sindaco de l'Aquila, Massimo Cialente 3: in una nota ai presidenti di Camera e Senato Fini e Schifani, ha declinato l'invito a partecipare alla cerimonia celebrativa che si terrà domani a Montecitorio, alla presenza del Capo dello Stato. La decisione è stata assunta per protesta perchè - dice - "c'è un pezzo del paese ormai completamente abbandonato a se stesso e senza prospettive".

I leghisti "non cantano l'inno nazionale e nemmeno vogliono ascoltarlo", ma "per il resto vanno a caccia di poltrone e presidenze... nazionali". Lo scrive Famiglia Cristiana in un editoriale pubblicato on line che commenta la decisione dei consiglieri regionali lombardi della Lega Nord di lasciare l'aula, ieri, quando è stato intonato l'inno di Mameli. "Furbacchiona questa Lega", osserva il settimanale dei Paolini, perchè "rifiutarsi di cantare l'inno di Mameli, anzi rimpiazzarlo al bar con brioche e cappuccino, è uno di quei giochetti che danno ai protagonisti un brivido gladiatorio, non comportano rischio alcuno, procurano titoli sui giornali e spazi in tv". Ma quando si tratta di "contenuti, stavolta poco padani e molto concreti, - si legge su Famiglia Cristiana - eccome se i leghisti se ne interessano. Non cantano l'inno nazionale e nemmeno vogliono ascoltarlo: ma se vengono in ballo presidenze di banche e direzioni di enti, anch'essi nazionali come Mameli; se oltre alle manovre romane c'è da occupare poltrone regionali, provinciali, comunali e rionali; se insomma si tratta di distribuire posti e prebende ad ogni livello, la Lega è già piazzata in prima linea".

Durissimo anche Di Pietro, leader dell'Idv: "E' un'offesa alla storia, alla dignità e al sacrificio dei nostri padri far finta che domani non accada nulla, andarsene magari al bar e non riconoscere che grazie a quel sacrificio siamo qui, siamo una nazione libera, che si è data una costituzione, che lo ricordiamo a questo governo, non deve essere toccata".

Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, commenta aspramente: "Sarebbe una vergogna se davvero la Lega

disertasse le celebrazioni per l'Unità d'Italia. Se la Lega non c'è, noi ci saremo due volte, arriveremo il doppio..." E aggiunge, rivolgendosi a Berlusconi: "Se domani un partito della sua maggioranza non viene in Parlamento, deve dire che la sua maggioranza non c'è più". "Berlusconi ha giurato sulla Costituzione e sulla bandiera", ha ricordato, e "su questo non si può scherzare".

Rincara la dose Massimo D'Alema: "E' uno scandalo. Un atto intollerabile e grave. E' evidente che un partito al governo ha il dovere di onorare l'anniversario dell'Unità d'Italia". Poi D'Alema chiama in causa politicamente Berlusconi: "Questo è un atto che riguarda il presidente del Consiglio. Lui è responsabile, anche perchè la Lega è notoriamente non responsabile".

Anche il Partito sardo d'Azione, come la Lega nel Consiglio regionale della Lombardia, non parteciperà ai festeggiamenti per i 150 anni dell'Unità d'Italia previsti domani con una seduta solenne dell'Assemblea isolana. Lo ha annunciato il segretario nazionale dei Quattro Mori, Giovanni Colli. Il Psd'Az, spiega, ritiene imprescindibile l'indipendenza della Sardegna attraverso la "riscrittura di un nuovo patto sociale, mediante lo strumento partecipativo dell'Assemblea costituente che non può essere ulteriormente rimandata. I sardi - argomenta Colli - hanno ben poco da festeggiare nella giornata di domani in ragione di tutte le ingiustizie e le sperequazioni che l'Isola ha subito dallo Stato italiano".

(16 marzo 2011)

 

 

2011-03-15

UNITA' D'ITALIA

Il dietrofront del Veneto

"Festeggiamo il tricolore"

Dopo le proteste, le celebrazioni. Bandiere e maxi fumogeni contro i roghi di Garibaldi. E l'Adige sarà disceso in gommone da un centinaio di camicie rosse. La bandiera italiana spunta nei luoghi simbolo della Regione. "Sono i segnali di risveglio"

di PAOLO RUMIZ

Il dietrofront del Veneto "Festeggiamo il tricolore"

SCHIO - Spuntano. Persino a Treviso, capitale del negazionismo unitario. Anzi, spuntano soprattutto a Treviso, perché lì hanno un significato in più. Vogliono dire: ci avete rotto le scatole con gli strafalcioni sulla storia e le sparate contro l'idea tricolore che fu, fino a prova contraria, tutta nordista.

Sono i vessilli biancorossoverdi, che fioriscono un po' dappertutto, a pochi giorni dal centocinquantenario, anche non te lo aspetti. Verona, Vicenza, Padova, Rovigo. E soprattutto nel Veneto minore, dove la pressione della Lega e dei venetisti è più forte. Ciliegi e bandiere, sotto una fine pioggia primaverile.

Il "clou" sarà l'immane fumogeno tricolore che giovedì a mezzogiorno, tempo permettendo, trasformerà in vulcano il Monte Summano, 1300 metri a picco sui capannoni del Vicentino e la base americana in costruzione. "Erutteremo un segnale di risveglio su una pianura sbranata dagli egoismi", un "richiamo ai valori e alle bellezze del Paese", dice il regista dell'operazione, il libraio-volante Alberto Peruffo, scaricando una camionata di candelotti ecologici. Noto per le sue acrobatiche proteste civili, Peruffo ha avuto l'incarico da quattro comuni "ribelli" della zona, e il 17 saliranno in tanti lassù, anche per "vendicare" un Garibaldi di pezza messo al rogo lì vicino da un gruppo di balordi. Verrà anche l'attore Marco Paolini, che stasera a Padova leggerà in teatro il messaggio del presidente Napolitano,

prima del suo "Galileo".

Ma c'è anche il fiume in questa occupazione tricolore dei luoghi-simbolo del Veneto. L'Adige, che a partire dalle 10 sarà disceso in gommone a Verona da oltre un centinaio di camicie rosse di ogni età, guidate dal professor Mario Allegri, altro resistente allo smantellamento dell'unità. Una risposta, quasi, alla calata leghista sul Po di quindici anni fa, e anche al suo stesso ateneo che l'anno scorso gli negò per opportunismo il patrocinio a una rievocazione fluviale dell'imbarco dei Mille. Il tutto con allegro condimento di brindisi, letture, canti e recite; una no stop dalle ore zero alle 24 del giorno 17.

"C'è resistenza" dice sollevata l'universitaria Eva Cecchinato, specialista di Risorgimento e nota anche per aver tenuto validamente testa in tv alle aggressioni di Mario Borghezio in camicia verde su Garibaldi "ladro e terrorista". "Nonostante i fondi tagliati dal Governo - spiega dalla sua casa di Pregaziol, Treviso - sono le scuole a dare il meglio, con un bel ruolo di supplenza rispetto alle amministrazioni leghiste". Ed è l'Italia minore, anche qui, a dettar la strada. Lezioni sulla Costituzione in luoghi sperduti come le lande del Polesine. Comuni del Veneziano come Spinea, Martellago, Salzano, che sparano raffiche di eventi con zero mezzi.

Due giorni fa s'è svegliato persino Montecchio Maggiore, dove l'anno scorso la giunta di centrodestra - nota per provvedimenti contro gli immigrati - aveva fatto togliere come uno sconcio una coppia di tricolori arditamente piazzati su una ciminiera di 40 metri da un commando di sconosciuti garibaldini. C'è stata una festa biancorossoverde in un teatro, con racconti di paese, riferimenti ammonitori alla defunta Jugoslavia, inno nazionale da finale dei Mondiali, e micidiali canzoni satiriche eseguite dal maestro Bepi De Marzi.

Ma il bello è accaduto a Treviso, la terra di Giancarlo Gentilini, durante un dibattito della Fondazione Benetton. Quando l'attore Alessandro Haber ha bollato come "vergogna" l'assenza di celebrazioni annunciata dal presidente della provincia il leghista Muraro ("L'Unità d'Italia è una tragedia"), la platea ha risposto con un lungo applauso. E poi, alla richiesta di Haber che i contrari spiegassero le loro ragioni in pubblico, nessuno si è fatto avanti.

Perché in Veneto si sparano grosse (l'ultima è dell'assessore regionale alla protezione civile, immigrazione, identità e caccia, Daniele Stival: "Useremo il mitra contro i profughi libici"), mai poi c'è poco coraggio di passare ai fatti. La bandiera di Montecchio, per esempio, è stata tolta non dai vigili urbani, ma da una ditta di telefonia con la scusa di "lavori in corso". E il 17, la giunta dello stesso Comune celebrerà l'unità, ma più in sordina possibile, a rimorchio di un alzabandiera degli Alpini. A Castelfranco hanno proibito il tricolore fuori dal teatro perché "stando alle normative vigenti, l'esposizione è prevista solo negli edifici sede centrale degli organismi di diritto pubblico". Un sistema curiale, consolidato.

A Treviso, dove sembrava già in corso la secessione e dove tutti gli eventi unitari erano già stati cancellati, si è deciso - fiutata l'aria - per il salvataggio in corner, con una mini-cerimonia in piazza Vittorio, sotto il monumento ai Caduti - perché non si sa mai - cui seguirà peraltro un contro-raduno "spontaneo" del Pd in piazza dei Signori. Il governatore Luca Zaia, che recentemente ha deciso di scrivere il suo nome alla veneta, "Xaia", chiede uno stop alle polemiche "perché abbiamo altri problemi che ci assillano", precisando peraltro che il Tricolore "viene spesso brandito solo per cercare la rissa". Anche il sindaco pdl di Arzignano, capitale della concia travolta da scandali per inquinamento ed evasioni fiscali miliardarie, avrebbe altro da pensare. Ma, inchiodato dalla Lega, ha preferito annunciare il "niet" alle celebrazioni. Meglio pensare che il male venga da Roma.

(15 marzo 2011)

 

 

UNITA' D'ITALIA

Il dietrofront del Veneto

"Festeggiamo il tricolore"

Dopo le proteste, le celebrazioni. Bandiere e maxi fumogeni contro i roghi di Garibaldi. E l'Adige sarà disceso in gommone da un centinaio di camicie rosse. La bandiera italiana spunta nei luoghi simbolo della Regione. "Sono i segnali di risveglio"

di PAOLO RUMIZ

Il dietrofront del Veneto "Festeggiamo il tricolore"

SCHIO - Spuntano. Persino a Treviso, capitale del negazionismo unitario. Anzi, spuntano soprattutto a Treviso, perché lì hanno un significato in più. Vogliono dire: ci avete rotto le scatole con gli strafalcioni sulla storia e le sparate contro l'idea tricolore che fu, fino a prova contraria, tutta nordista.

Sono i vessilli biancorossoverdi, che fioriscono un po' dappertutto, a pochi giorni dal centocinquantenario, anche non te lo aspetti. Verona, Vicenza, Padova, Rovigo. E soprattutto nel Veneto minore, dove la pressione della Lega e dei venetisti è più forte. Ciliegi e bandiere, sotto una fine pioggia primaverile.

Il "clou" sarà l'immane fumogeno tricolore che giovedì a mezzogiorno, tempo permettendo, trasformerà in vulcano il Monte Summano, 1300 metri a picco sui capannoni del Vicentino e la base americana in costruzione. "Erutteremo un segnale di risveglio su una pianura sbranata dagli egoismi", un "richiamo ai valori e alle bellezze del Paese", dice il regista dell'operazione, il libraio-volante Alberto Peruffo, scaricando una camionata di candelotti ecologici. Noto per le sue acrobatiche proteste civili, Peruffo ha avuto l'incarico da quattro comuni "ribelli" della zona, e il 17 saliranno in tanti lassù, anche per "vendicare" un Garibaldi di pezza messo al rogo lì vicino da un gruppo di balordi. Verrà anche l'attore Marco Paolini, che stasera a Padova leggerà in teatro il messaggio del presidente Napolitano,

prima del suo "Galileo".

Ma c'è anche il fiume in questa occupazione tricolore dei luoghi-simbolo del Veneto. L'Adige, che a partire dalle 10 sarà disceso in gommone a Verona da oltre un centinaio di camicie rosse di ogni età, guidate dal professor Mario Allegri, altro resistente allo smantellamento dell'unità. Una risposta, quasi, alla calata leghista sul Po di quindici anni fa, e anche al suo stesso ateneo che l'anno scorso gli negò per opportunismo il patrocinio a una rievocazione fluviale dell'imbarco dei Mille. Il tutto con allegro condimento di brindisi, letture, canti e recite; una no stop dalle ore zero alle 24 del giorno 17.

"C'è resistenza" dice sollevata l'universitaria Eva Cecchinato, specialista di Risorgimento e nota anche per aver tenuto validamente testa in tv alle aggressioni di Mario Borghezio in camicia verde su Garibaldi "ladro e terrorista". "Nonostante i fondi tagliati dal Governo - spiega dalla sua casa di Pregaziol, Treviso - sono le scuole a dare il meglio, con un bel ruolo di supplenza rispetto alle amministrazioni leghiste". Ed è l'Italia minore, anche qui, a dettar la strada. Lezioni sulla Costituzione in luoghi sperduti come le lande del Polesine. Comuni del Veneziano come Spinea, Martellago, Salzano, che sparano raffiche di eventi con zero mezzi.

Due giorni fa s'è svegliato persino Montecchio Maggiore, dove l'anno scorso la giunta di centrodestra - nota per provvedimenti contro gli immigrati - aveva fatto togliere come uno sconcio una coppia di tricolori arditamente piazzati su una ciminiera di 40 metri da un commando di sconosciuti garibaldini. C'è stata una festa biancorossoverde in un teatro, con racconti di paese, riferimenti ammonitori alla defunta Jugoslavia, inno nazionale da finale dei Mondiali, e micidiali canzoni satiriche eseguite dal maestro Bepi De Marzi.

Ma il bello è accaduto a Treviso, la terra di Giancarlo Gentilini, durante un dibattito della Fondazione Benetton. Quando l'attore Alessandro Haber ha bollato come "vergogna" l'assenza di celebrazioni annunciata dal presidente della provincia il leghista Muraro ("L'Unità d'Italia è una tragedia"), la platea ha risposto con un lungo applauso. E poi, alla richiesta di Haber che i contrari spiegassero le loro ragioni in pubblico, nessuno si è fatto avanti.

Perché in Veneto si sparano grosse (l'ultima è dell'assessore regionale alla protezione civile, immigrazione, identità e caccia, Daniele Stival: "Useremo il mitra contro i profughi libici"), mai poi c'è poco coraggio di passare ai fatti. La bandiera di Montecchio, per esempio, è stata tolta non dai vigili urbani, ma da una ditta di telefonia con la scusa di "lavori in corso". E il 17, la giunta dello stesso Comune celebrerà l'unità, ma più in sordina possibile, a rimorchio di un alzabandiera degli Alpini. A Castelfranco hanno proibito il tricolore fuori dal teatro perché "stando alle normative vigenti, l'esposizione è prevista solo negli edifici sede centrale degli organismi di diritto pubblico". Un sistema curiale, consolidato.

A Treviso, dove sembrava già in corso la secessione e dove tutti gli eventi unitari erano già stati cancellati, si è deciso - fiutata l'aria - per il salvataggio in corner, con una mini-cerimonia in piazza Vittorio, sotto il monumento ai Caduti - perché non si sa mai - cui seguirà peraltro un contro-raduno "spontaneo" del Pd in piazza dei Signori. Il governatore Luca Zaia, che recentemente ha deciso di scrivere il suo nome alla veneta, "Xaia", chiede uno stop alle polemiche "perché abbiamo altri problemi che ci assillano", precisando peraltro che il Tricolore "viene spesso brandito solo per cercare la rissa". Anche il sindaco pdl di Arzignano, capitale della concia travolta da scandali per inquinamento ed evasioni fiscali miliardarie, avrebbe altro da pensare. Ma, inchiodato dalla Lega, ha preferito annunciare il "niet" alle celebrazioni. Meglio pensare che il male venga da Roma.

(15 marzo 2011)

 

POLITICA

"Risorgimento: uno stupro"

il dono della Lega diventa polemica

I consiglieri regionali dell'Emilia Romagna si sono visti recapitare il saggio "Risorgimento. Le radici della vergogna" firmato da Elena Bianchini Braglia ma non hanno gradito. Il grillino Defranceschi mette sotto accusa una frase sul retro della copertina

 

Il grillino Andrea Defranceschi non ha gradito il dono fatto dal leghista Mauro Manfredini ai consiglieri regionali dell'Emilia-Romagna in occasione dei 150 anni dell'Unità d'Italia: il saggio "Risorgimento. Le radici della vergogna", firmato da Elena Bianchini Braglia. De Franceschi stigmatizza in particolare una frase riportata sul retro di copertina in cui "si può leggere Risorgimento: uno stupro". Commenta: "Non che ignorassimo le posizioni dei leghisti sull'unità d'Italia ma troviamo quantomeno di cattivo gusto regalare, in un consesso istituzionale quale l'Assemblea legislativa regionale, un libro che usa la violenza sessuale come metafora del processo risorgimentale".

Defranceschi, replica Manfredini, critica "facendo dei madornali errori concettuali". "Il Risorgimento viene qualificato come uno 'stupro' - spiega Manfredini - perchè il libro usa un linguaggio psicanalitico, che probabilmente Defranceschi non conosce. Lo stupro, psicanaliticamente - sostiene -, è un trauma infantile inconscio che il paziente deve ricordare e riconoscere in vista di un suo superamento" e "l'autrice, nella stesura del libro, si è avvalsa della consulenza di psicanalisti che hanno certificato la correttezza della terminologia usata". Per Defranceschi resta "un gesto di cattivo gusto. Se questa è la premessa cosa dobbiamo aspettarci alla seduta straordinaria di mercoledì in occasione delle celebrazioni dell'Unità d'Italia?".

(14 marzo 2011)

 

 

 

2011-01-09

E la bandiera dei tre colori

è sempre stata la più bella

di EUGENIO SCALFARI Un secolo e mezzo è trascorso da quando nel cortile di Palazzo Carignano a Torino il Parlamento subalpino proclamò la nascita dello Stato italiano. L'anniversario si presta ad alcune riflessioni, rese ancor più attuali e necessarie dopo il discorso di Giorgio Napolitano a Reggio Emilia, luogo storico del Risorgimento, perché fu lì che la bandiera tricolore sventolò per la prima volta, portatavi dall'armata napoleonica che aveva fondato la repubblica Cisalpina su un territorio strappato all'Austria e ai Savoia, più o meno corrispondente a quello che la Lega usa chiamare Padania.

Riflettere sulle condizioni dell'Italia dopo 150 anni di storia unitaria, dei quali 85 di monarchia e 65 di repubblica, si presta anche ad un consuntivo che riguarda al tempo stesso le condizioni economiche e politiche del paese e i suoi valori culturali e morali.

Il tema consentirebbe molte citazioni, poiché i protagonisti sono tanti e ancor più quelli che hanno studiato quelle vicende, ma prometto di non farne alcuna e di dire ciò che penso con parole mie salvo una di Ingeborg Bachmann, che traggo dal bel libro di Marcello Fedele Né uniti né divisi. Eccola: "In ogni testa c'è un mondo e ci sono delle aspirazioni che escludono qualsiasi altro mondo e qualsiasi altra aspirazione. Eppure noi tutti abbiamo bisogno gli uni degli altri se vogliamo che qualcosa vada a buon fine".

Si direbbe che il nostro presidente della Repubblica abbia avuto presenti quelle parole quando ha

ammonito che trasformare uno Stato centralizzato in uno Stato delle autonomie è un'impresa e una sfida di grande rilievo che ha bisogno della collaborazione di tutti. Ma osservando quanto accade sotto i nostri occhi si direbbe anche che delle due proposizioni della Bachmann sopracitate, la seconda sia stata del tutto cancellata dallo spirito della nazione, mentre la prima domina la scena della politica, dell'economia e del sociale.

Si direbbe cioè che si stia svolgendo da anni una lotta di tutti contro tutti per la conquista dell'egemonia e del potere, il suo rafforzamento e la sua estensione, senza più alcun disegno del bene comune. Una lotta che esclude e non include, nella quale ciascuno dei protagonisti si sente depositario della verità e della legalità; ciascuno le plasma a proprio piacimento e se ne vale come armi contundenti; ciascuno si esprime in termini ultimativi chiedendo una resa o la cancellazione degli altri.

Quando un Paese in tempi di tempesta dà questo spettacolo di sé, vuol dire che siamo arrivati ad un punto di svolta estremamente rischioso. Ho usato fin qui il verbo al condizionale, sembrerebbe, si direbbe, ma si tratta di un'inutile cautela: la situazione di pericolo e di fragilità che stiamo attraversando richiede il verbo all'indicativo: il pericolo c'è, è evidente e palpabile.

Quando un terzo della generazione giovane è escluso dal lavoro; quando le diseguaglianze di reddito e di ricchezza sono arrivate a livelli intollerabili; quando la distanza tra Nord e Sud raggiunge livelli del 40-50 per cento per quanto riguarda l'occupazione, il reddito, le infrastrutture, la criminalità, gli sprechi amministrativi, l'assistenza sanitaria, l'efficienza educativa, l'economia sommersa; quando tutto questo avviene e si aggrava giorno dopo giorno senza che la classe dirigente se ne dia carico e vi ponga riparo, ebbene, occorre che l'allarme sia lanciato affinché gli uomini e le donne, i vecchi e i giovani di buona volontà si uniscano scrollando dalle loro spalle indifferenza e delusione e prendano in mano il proprio destino e quello della comunità, parlino tra loro e si ascoltino. Per risalire la china in cui siamo precipitati, "abbiamo bisogno gli uni degli altri se vogliamo che qualcosa vada a buon fine".

* * *

Il Risorgimento, quel tratto di storia patria che ebbe come prologo la repubblica napoletana del 1799, continuò con i moti carbonari del 1821, con la fondazione della Giovane Italia del '30, con i moti del '31, con le Cinque Giornate milanesi del '48 e poi con la prima guerra d'Indipendenza, la repubblica di Roma del '49, l'insurrezione di Venezia, la sconfitta di Novara, la guerra del '59 in alleanza con la Francia, la spedizione garibaldina del '60 e infine la proclamazione dello Stato unitario nel marzo del '61, fu un esempio della collaborazione degli uni con gli altri affinché qualcosa andasse a buon fine.

Le aspirazioni erano diverse, come è normale che sia. I Savoia e Cavour volevano un regno del nord Italia, i Lombardi volevano l'autonomia e l'indipendenza, Carlo Cattaneo voleva il federalismo dei municipi e gli Stati Uniti d'Italia basato su tre o quattro entità territoriali confederate, Mazzini voleva la Repubblica unitaria in una Europa democratica e pacifica, Garibaldi voleva la rivoluzione popolare, l'indipendenza e l'unità conquistate dal basso, la fratellanza e un'idea di socialismo, ma voleva soprattutto l'Italia unita, fosse pure sotto Vittorio Emanuele.

Cavour era probabilmente il solo ad avere una visione d'insieme e gli strumenti per guidare pragmaticamente quel movimento i cui molteplici fili passavano tutti tra le sue mani. Aveva una diplomazia, un esercito, denaro, spie e una passione. Usò spregiudicatamente Garibaldi, pose il problema italiano nel consesso europeo radunato a Plombiers, usò la contessa di Castiglione e Costantino Nigra per stipulare l'alleanza con Napoleone III, volle il matrimonio tra la figlia del re e Girolamo Bonaparte, mandò i bersaglieri in Crimea. Cercò perfino di utilizzare Mazzini e Cattaneo. Cercò di bloccare l'impresa dei Mille ritenendola prematura, ma quando le Camicie Rosse salparono da Quarto fece di tutto perché la squadra navale inglese ne favorisse l'arrivo a Marsala. Alla fine mise in marcia l'esercito verso il Sud e lo fece seguire dai plebisciti di annessione.

Certo, fu un'annessione cui seguì l'atroce guerra civile del brigantaggio e del borbonismo cattolico. Atroce da ambo le parti, con un solco sanguinoso che inquinò la raggiunta unità per molti anni, aggravato da un centralismo sul modello piemontese, dalle tasse e dalla leva militare. Dall'ostilità del Vaticano e del mondo cattolico e dall'assenza delle "plebi" contadine.

La questione meridionale fu posta all'attenzione del Paese pochi anni dopo, da Giustino Fortunato e poi da Nitti cui si affiancò la prima leva del meridionalismo con la grande inchiesta sul Mezzogiorno di Franchetti.

Era un punto di vista documentato, ma difficilmente avrebbe potuto trasformarsi in una questione nazionale: anche il Nord aveva necessità e urgenze di modernizzazione e le fece valere con una forza direttamente proporzionale alle industrie e alle banche che ne rappresentavano il tessuto produttivo e finanziario. I confini territoriali e la grande pianura solcata dal Po e dai suoi affluenti fecero il resto, un polo di attrazione che trasferì dal Sud al Nord risorse, talenti e maggior attenzione dei governi.

Sarebbe fazioso tacere che un movimento di capitali dal Nord al Sud vi fu: la rete dei trasporti, la rete dell'elettricità, capitali e lavori pubblici: lo Stato non lesinò, ma il grosso di quelle risorse fu intercettato dalle clientele meridionali, in gran parte latifondiste e agrarie. L'alleanza politica fu tra la classe dirigente settentrionale e le clientele del Sud. Le plebi - come allora le chiamavano - presero la via della grande emigrazione verso la Francia e verso le Americhe.

* * *

Io credo che il dibattito revisionista sul Risorgimento, che fu aperto a sinistra da Gramsci e dalla parte cattolica da Sturzo, sia stato utile e culturalmente fecondo. I continuatori furono liberali e radicali: Luigi Einaudi, De Viti De Marco, Maffeo Pantaleoni.

Non altrettanto fecondo è stato il revisionismo più recente, che si trasformò in una denigrazione sistematica del moto risorgimentale con una venatura abbastanza evidente anche se dissimulata di nordismo. Fece da apripista al leghismo becero che ormai è un potere in grado di condizionare l'intero assetto politico del paese.

Il leghismo dalle mani pulite rappresenta un fenomeno corruttivo molto profondo: tollera, anzi puntella il potere delle "cricche" con uno scambio politico ormai chiarissimo: fate i vostri comodi nel Centro, nel Sud, nelle istituzioni ma in contropartita riconoscete che il Nord è cosa nostra, il federalismo siamo noi a gestirlo e a farne le leggi e i decreti di attuazione.

Così un partito che vale il 12 per cento in termini nazionali ma il 30 per cento nella Padania, è diventato non solo il possessore della golden share nella politica nazionale, ma la forza che sta costruendo un federalismo secessionista con la complice benevolenza del berlusconismo, tanto più eminente quantitativamente e tanto più fragile come potere forte. C'è da discutere se la Lega sia costola del berlusconismo o viceversa. Propendo per il viceversa: il berlusconismo è nordista non meno della Lega, ma da Torino a Treviso, con la sola eccezione del potere aggregato di Formigoni, è Bossi che governa. Se continua così, Berlusconi diventerà il proconsole di Bossi nell'Italia centromeridionale. Le premesse ci sono tutte e Tremonti ne è consapevole e fa parte del gioco.

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Dice Napolitano che, nonostante queste torsioni costituzionali che deformano il volto della democrazia, il moto risorgimentale sboccato nell'Unità ha di gran lunga migliorato le condizioni non solo del Nord ma anche del Sud. È certamente così in termini assoluti, ma non lo è in termini relativi e infatti è lo stesso Presidente a segnalare - da qualche tempo con accresciuto vigore - quelle criticità. In specie se riguardano i giovani. Se la media nazionale della disoccupazione giovanile segna un pauroso 30 per cento, nel Sud tocca il 40 con punte del 50. Un abisso, nel quale la gioventù meridionale rischia di scomparire diventando un esercito di disperati abbandonato a se stessi, senza futuro e senza presente. La coesione sociale è ormai una lastra di vetro che può infrangersi con conseguenze letali per tutto il Paese.

Proprio mentre si celebra l'unità d'Italia, la separazione tra le istituzioni e il popolo ha superato i livelli di guardia e non è un caso se la sola istituzione che raccoglie il massimo consenso sia proprio quella che ha sede al Quirinale: un'istituzione che però ha il solo potere della parola e della testimonianza, così come si era già visto quando toccò a Ciampi lo stesso compito.

Il Risorgimento può essere interpretato in molti modi, ma ce n'è uno che sottolinea la continuità ideale tra l'unità del paese e i valori culturali della modernità ed ha la sua icona nella bandiera dei tre colori. I tre colori e i tre principi: libertà eguaglianza fraternità.

La rinuncia a quei tre colori e a quei tre principi significherebbe la fine dell'unità perché su di essi si basa il patto costituzionale. Il federalismo agganciato a quei tre principi è un avanzamento; senza di essi ed anche senza uno solo di essi il federalismo disgrega il patto costituzionale, disgrega la convivenza, disgrega l'economia e la coesione sociale.

Facciamo voti perché ciò non avvenga, ma l'esito dipende da ciascuno di noi e dalla sua volontà di battersi affinché quei tre colori e i principi che rappresentano non siano cancellati dalla nostra storia.

(09 gennaio 2011)

 

 

 

 

2011-01-08

UNITA' D'ITALIA

Napolitano: "Anche il Nord

sappia come divenne Italia"

Dopo aver aperto le celebrazioni a Reggio Emilia, il presidente della Repubblica ha visitato Forlì. Accolto da applausi e da grida "Giorgio sei un grande"

Napolitano: "Anche il Nord sappia come divenne Italia"

FORLI' - "Spero che in altre parti del Paese, a Milano, a Venezia, a Verona, si ripetano iniziative come questa affinché queste parti del Paese sappiano come divennero italiane". Lo ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, riferendosi a uno spettacolo-ricostruzione storica, messo in scena al teatro Fabbri di Forlì, che ha ricordato l'adesione della Romagna ai moti risorgimentali e all'Unità d'Italia. "Questa iniziativa - ha aggiunto il capo dello Stato - ha permesso ai romagnoli di conoscere le proprie radici ed ha mostrato il contributo della Romagna al moto risorgimentale".

Il presidente della Repubblica ha preso spunto, elogiandolo, dall'intervento del sindaco di Forlì Roberto Balzani che al teatro Fabbri, dov'era previsto l'incontro con Napolitano, anziché un rituale intervento ha fatto un racconto, con immagini, musiche e interpretazioni sceniche su Come fu che la Romagna divenne italiana. "Un modo - ha affermato Napolitano - di avere coscienza delle proprie radici, del proprio contributo al voto unitario" che ha saputo "far rivivere questa sua storia nel modo più efficace. Un esempio che mi auguro venga seguito altrove".

La visita di Napolitano a Forlì, all'indomani dell'apertura ufficiale delle celebrazioni 1 per i 150 anni dell'Unità d'Italia, è iniziata con un minuto

di raccogliemento davanti al monumeto ad Aurelio Saffi. Sulle note del Silenzio, il presidente si è tolto il cappello mentre due guardie deponevano una corona di fiori. La folla presente nella centralissima piazza Saffi ha salutato la fine della breve cerimonia con un energico applauso e grida tipo "bravo, bravo" e "Giorgio sei un grande".

Quindi, dopo l'iniziativa al teatro Fabbri, il capo dello Stato ha lasciato Forlì per recarsi a Ravenna dove nel pomeriggio proseguiranno le iniziative per la celebrazione dei 150 anni dell'Unità d'Italia.

(08 gennaio 2011)

 

 

 

 

 

 

L'UNITA'

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http://www.unita.it/

2011-03-19

 

 

 

 

2011-03-18

Napolitano commosso: "Serve umiltà" VIDEO

Cota contestato. Per Berlusconi inno di fischi

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Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inaugurato, davanti all'ingresso del Teatro Regio, tra l'applauso caloroso dei torinesi, la statua di Camillo Benso, conte di Cavour, realizzata dall'artista Fabio Viale. L'opera rimarrà in esposizione fino al 29 marzo, per poi essere trasferita al Quirinale.

"Io credo che tutti, da qualsiasi parte del Paese, abbiamo ieri avvertito che è accaduto qualcosa di importante: abbiamo avvertito uno scatto di sentimento nazionale ed era quello che volevamo suscitare ", lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano intervenendo alla manifestazione per il 150/mo al Teatro Regio di Torino. "Dobbiamo riacquisire un patrimonio storico e ideale che abbiamo un pò rimosso per molti anni. L'abbiamo poco studiato e dobbiamo riscoprirlo". "Chi ricopre ruoli, doveri istituzionali nel nostro paese deve avere umiltà", ha detto un Napolitano commosso a Torino. VIDEO

Alla cerimonia di questa mattina sono presenti diversi personaggi del mondo industriale e politico italiano, tra cui l'amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, in maglioncino blu di ordinanza, il presidente di Fiat John Elkann, il consigliere delegato di Intesa San Paolo Corrado Passera, il presidente del consiglio di gestione di Intesa San Paolo Andrea Beltratti, il presidente di Telecom Gabriele Galateri di Genola, Marco e Francesca Lavazza, Marco Boglione di BasicNet.

Ma anche Enrico Salza, tra i primi ad arrivare al Regio. E ancora, ci sono il segretario del Pd Pierluigi Bersani, accolto da un lungo applauso della folla, i due candidati a sindaco di Torino Piero Fassino e Michele Coppola. In rappresentanza del governo ci sono poi: il sottosegretario alla Difesa, Guido Crosetto, il vicepresidente del Senato Vannino Chiti, il sottosegretario ai Trasporti Nino Giachino.

Ultimo ad arrivare il presidente della Regione Piemonte Roberto Cota. Per gli enti locali presenti il sindaco di Torino Sergio Chiamparino e il presidente della Provincia di Torino, Antonio Saitta.

 

COTA CONTESTATO

Qualche fischio e contestazione per il presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota, durante il suo intervento al Teatro Regio di Torino per l'apertura delle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia, alla presenza del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. "Queste cerimonie possono avere un autentico significato se non vengono utilizzate per fare polemica strumentalizzando dei simboli in un'assurda corsa a chi è più presente". A questo punto dal pubblico si sono levati i fischi e le contestazioni.

 

VIDEO: BERLUSCONI FISCHIATO

VIDEO: I 150 ANNI RACCONTATI DAGLI ITALIANI

VIDEO: NAPOLITANO ALL'ALTARE DELLA PATRIA

Fai sentire che l'Italia è unita: scarica gratis l'Inno di Mameli per il tuo cellulare

18 marzo 2011

 

La piazza lo abbandona, applausi per Prodi di C. Fusani

di Claudia Fusani | tutti gli articoli dell'autore

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berlusconi stanco 304

Lui via dall’aula lungo il corridoio a testa bassa e mascella serrata, davanti Gianni Letta a fargli da apripista e a seguire, nel solco, qualche diligente fanciulla deputata. Il Presidente della Repubblica nella piazza di Montecitorio acclamato e sospinto dai cori "Presidente solo per te", a stringere mani e a gioire di quelle parrucche di stelle filanti bianche rosse e verdi fatte in casa da signore che indossano il tricolore a mò di tunica romana. Gli ha tolto la scena.

Gli ha tolto il bagno di folla. Gli ha tolto anche la canzoncina: ieri per le strade di Roma si sentiva "meno male che Giorgio c’è". Ora, è vero che la festa dell’Unità d’Italia è, come ripete Napolitano, "la festa di tutti gli italiani e le italiane a prescindere dall’idea politica"; che deve essere una giornata che unisce e non divide e quindi un giorno in cui lasciar perdere faccende politiche.

E però ieri è stata la dimostrazione plastica e tangibile di come il premier un tempo più amato dagli italiani sia oggi a rischio di fischi e contestazioni se improvvisa passeggiate per strada. Di come per essere sicuro di evitare il dissenso sia sempre più costretto a mandare videomessaggi con voce registrata o in diretta telefonica.

Per uno come Berlusconi, a cui risulta inconcepibile che non gli si debba volere bene; cultore di una leadership fisica; che ha messo il corpo, se stesso, la sua faccia, anche la sua famiglia, al di sopra di ogni altro impegno politico e che trae forza ed energia dai bagni di folla: ecco, per uno così, essere stato costretto ieri a nascondersi e a lasciare la piazza ad altri, deve essere stato un bruttissimo colpo. Una verità non confutabile.

E passi poi per il Presidente della Repubblica a cui è andato prima l’onere e poi il grande onore delle festa. Bisogna immaginare cosa deve essere stato per Berlusconi sapere che anche Romano Prodi è stato super applaudito ieri.

Più volte: quando è arrivato in piazza Montecitorio, quando ha lasciato il Parlamento e anche in aula. A un certo punto, prima dell’arrivo di Napolitano, si è creato un piccolo capannello proprio davanti al banco del governo: Prodi, Bersani, Di Pietro parlottavano, si tenevano il braccio. Una scena antica. Notata da molti. Anche gli applausi-tutti-in-piedi per i presidenti emeriti Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi sono andati molto al di là del riconoscimento istituzionale: c’era affetto ma soprattutto nostalgia di un altro tempo.

Prodi ha celiato col suo sorriso largo: "Applausi per me? Non ci ho badato". La parola d’ordine ieri era divieto di polemica. Ma la consegna del palazzo non poteva arrivare nelle strade e nelle piazze, tra le famiglie, i ragazzi, adulti qualunque, il paese reale. Non è stato possibile mettere la sordina a chi invocava (signore in piazza di Montecitorio): "Mandate via quel pazzo". O a chi urlava: "Napolitano, sei l’unico". E questo l’ha capito anche Berlusconi

18 marzo 2011

 

 

 

 

2011-03-17

Aiutateci a trovare i Mille di un nuovo Risorgimento

di Jolanda Bufalini | tutti gli articoli dell'autore

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napolitano bandiera italia 304

Oggi troverete su l’Unità tre pagine dedicate ai nostri nuovi Mille, sono stati scelti, secondo sensibilità diverse, da noi giornalisti in redazione, sulla base della nostra esperienza e dei contatti a cui ci porta il nostro lavoro. Oppure ci sono stati indicati da alcuni fra i più prestigiosi nostri collaboratori, nelle pagine di domani troverete le persone indicate da Goffredo Fofi, Vittorio Emiliani, Luigi Manconi che accompagnano con una motivazione le loro scelte. Ancora: abbiamo ricevuto le prime segnalazioni dei lettori. Vi sono anche alcune delle donne, scienziate o imprenditrici, premiate l’8 marzo dal presidente della Repubblica con il titolo di commendatore, che abbiamo cercato e intervistato.

L’idea su cui ci muoviamo è che, anche in questi tempi difficili, esiste un’altra Italia, che supera le difficoltà, lavora ed eccelle inseguendo un progetto che, se risponde a una passione, magari coltivata per l’intera esistenza, risponde anche ad un beneficio per tutti o per molti,un beneficio alla nostra comunità di nuovi e vecchi italiani, normo-dotati e portatori di handicap, immigrati o radicati nella penisola dalla notte dei tempi. I campi sono i più diversi: ricerca, innovazione, scuola, università, nuove tecnologie, attività di solidarietà, lavoro, impresa, medici e personale di assistenza, ambiente. Abbiamo escluso dalle proposte i politici come tali, anche se è possibile segnalare politici ma per motivi diversi dalla stretta attività politica mentre, ovviamente, l’impegno nei più diversiambiti della società è benvenuto. I Mille che partirono da Quarto erano giovani combattenti, eroi pronti a morire per fare l’Italia. Oggi si tratta di un altro tipo di "eroismo": inseguire, superando ostacoli finanziari o cecità burocratiche, pregiudizi o gelosie professionali, insipienza dei governanti o collusioni con la criminalità organizzata, il sogno di una società meglio organizzata in cui tutti si possa vivere meglio. I nostri Mille come quelli del 1860, non devono essere già famosi, solo conosciuti e apprezzati nell’ambito del loro lavoro, della loro comunità. Noi speriamo che alle proposte partecipino numerosi i lettori de l’Unità e del nostro sito on line, inviando l’indicazione di personaggi all’ indirizzo nuovimille@unita.it per posta elettronica, oppure collegandosi alla pagina facebook dedicata, indicando e documentando i motivi per cui si ritiene una personadegna di essere segnalata. Ci deve essere anche un recapito telefonico e una fotografia di quell’uno/a dei Mille. La redazione raccoglierà le proposte, farà alcune interviste. Metteremo il possibile sul quotidiano di carta, tutto il materiale sarà pubblicato integralmente sull’on line.

17 marzo 2011

 

 

 

 

Unità d'Italia, fischi contro Berlusconi

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berlusconi fini schifani celebrazioni unità italia 640

Deposizione di una corona di alloro sulla tomba di Vittorio Emanuele II di Savoia, primo re d'Italia, stamane al Pantheon. L'evento, che rientra nelle celebrazioni per il 150esimo dell'Unità d'Italia ha visto la presenza del capo dello Stato Giorgio Napolitano, del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi e dei presidenti della Camera e del Senato Gianfranco Fini e Renato Schifani. Alla cerimonia hanno preso parte anche i membri della famiglia Savoia: Vittorio Emanuele con la moglie Marina Ricolfi Doria e il figlio Emanuele Filiberto con la moglie Clotilde Coureau. Alla cerimonia erano presenti anche il ministro della Difesa Ignazio La Russa, il sottosegretario Gianni Letta, tra gli altri la presidente della Regione Lazio Renata Polverini, il sindaco di Roma Gianni Alemanno e il presidente della Provincia Nicola Zingaretti. Applausi per il capo dello Stato al termine della cerimonia. Mentre invece al presidente del Consiglio, in più momenti e luoghi della Capitale, i cittadini hanno riservato molti fischi.

I primi sono arrivati sotto la statua di Giuseppe Garibaldi. Il presidente del consiglio è stato accolto da una serie di urla e di insulti al suo arrivo: "buffone", "bunga bunga", "dimettiti, dimettiti". Un centinaio di persone, assiepato dietro le transenne al Museo della Repubblica romana, al Gianicolo, ha contestato chiaramente il primo ministro, ma pochi minuti dopo, all'arrivo del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sono partiti invece applausi e incitamenti.

Un solo, sparuto incitamento per il presidente del Consiglio: tra la folla al Gianicolo si è levato infatti anche un urlo 'positivo' verso il premier: "Resisti, resisti".

Poi, Berlusconi è arrivato nella basilica di Santa Maria degli Angeli per prendere parte alla messa celebrata dal cardinale Angelo Bagnasco per i 150 anni dell'Unità d'Italia. Al suo arrivo, in piazza della Repubbblica, accompagnato dal presidente del Senato Renato Schifani, il premier è statonuovamente accolto da numerosi fischi dei cittadini che si sono radunati in piazza per assistere alla sfilata delle autorità che partecipano alla celebrazione. Dai commenti della gente è spiccato qualche "vergogna", mentre in chiesa il Cavaliere è stato accolto anche da qualche applauso di incoraggiamento. Diversa l'accoglienza per il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: un grande applauso della piazza e della chiesa ha salutato il suo arrivo. Applausi anche per il ministro dell'Economia Giulio Tremonti al suo ingresso nella Basilica.

17 marzo 2011

 

Italia Unita alle radici della nostra democrazia

di Pierluigi Bersani | tutti gli articoli dell'autore

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Bersani dito puntato

L'anniversario è di tutti, o dovrebbe esserlo. Cominciamo col dire questo. Lo si capirà bene oggi pomeriggio, nell’Aula della Camera, quando il Parlamento in seduta comune ascolterà le parole solenni di Giorgio Napolitano, capo dello Stato e mai come oggi vero garante del patto costituzionale e repubblicano. Ma gli anniversari parlano. Raccontano sempre del clima del paese e dello spirito di un popolo. Fu così un secolo fa, quando i primi cinquant’anni del Regno scontarono la polemica di cattolici, socialisti e repubblicani. E mezzo secolo dopo, a ridosso del boom, con una retorica soppiantata dalla celebrazione di un’epopea diversa, tutta interna al carattere bloccato della nostra democrazia. Erano, quelle di allora, contrapposizioni profonde, ideologiche e per fortuna archiviate. Ma oggi? Su cosa si fonda oggi la celebrazione di una unità che tutti dovrebbero avere compreso e assimilato? Nel bene e nel male l’Italia liberale, e ancora di più quella repubblicana, hanno inteso la patria come coscienza di un passato vissuto, ma soprattutto come la proiezione di un futuro comune. Possiamo dire lo stesso anche noi? Tutti noi? Perché poi si può discutere se il nostro Risorgimento sia stato effettivamente quell’evento fondativo che fu la "grande Rivoluzione" per la Francia o la Riforma per la Germania. Ma certo fa riflettere l’idea che nel 150° della nostra unificazione la guida del paese sia affidata a quanti di quella svolta storica contestano la natura e lo sbocco. Ed è tanto più preoccupante vedere come un tale sentimento, neppure represso, attraversi l’azione del governo e i suoi messaggi di fondo. Peccato. Lo diciamo con la sensibilità e la responsabilità di un grande partito nazionale. Peccato che una parte della classe dirigente non abbia colto la portata morale e il valore simbolico del traguardo che raggiungiamo oggi. Come ha scritto Emilio Gentile, all’origine di quell’espressione – risorgere – vi era la spinta ad affrancarsi da una degradazione civile, individuale e collettiva. Più ancora che un progetto di integrazione dei territori si manifestava l’ansia di "conferire agli italiani una dignità di cittadini". Una novità, e in fondo la più profonda delle rivoluzioni. L’antica nazione culturale affrontava la prova decisiva della sua unità spirituale e politica. Furono vicende drammatiche. Passaggi dolorosi, ma infine fu l’avvio di una parabola storica assolutamente unica che, alternando grandezza e tragedie, si è proiettata sino a noi. Ecco perché c’è qualcosa di imponente non già nella data e non solo nell’anniversario in sé, ma nelle radici di ciò che oggi lo Stato e il popolo italiani sono chiamati a celebrare. Dietro e dentro la ricorrenza c’è l’Italia che ha combattuto per la propria dignità. Ci sono le radici della nostra democrazia. Di una Repubblica sorta sull’onda di una guerra di Liberazione. Vi sono il primo e il secondo Risorgimento. Con le biografie – le immense biografie – di una nazione che ha segnato del proprio destino il destino dell’Europa tutta. Di questo stiamo parlando. Eppure il tempo alle nostre spalle sembra aver incrinato proprio quelle premesse, al punto che la stessa unità del paese ad alcuni non pare più un sacro principio da difendere. E per la prima volta una secessione degli animi vorrebbe anticiparne altre, nelle regole, nei principi, nella forma stessa dello Stato. La destra su questo ha fondato il suo lavorio. Ha negato legittimazione agli avversari e spinto per dissolvere i fattori coesivi. Un’opera tutt’altro che rozza che è transitata dal modo di concepire materie sensibili, il patto fiscale, la sicurezza, le identità dei territori. Da lì, a scendere, lo sfregio delle regole, un Parlamento svuotato di funzioni fino alle conflittualità esasperate verso le istituzioni di garanzia. Hanno cercato di rompere la struttura del paese con un racconto dell’Italia dove via via evaporava l’intera nostra storia e tradizione democratica. A tutto questo noi, in questi mesi, ci siamo opposti e continueremo a farlo. Ma con la stessa determinazione diciamo che siamo i primi a voler fondare una nuova unità dello Stato e un nuovo patto repubblicano che sia finalmente all’origine di una patria comune e di una coscienza civile capace di rispettare sempre le differenze di giudizio e di pensiero ma in una identità democratica condivisa. A partire, ovviamente, da un federalismo che unisce e non divide, coinvolgendo tutte le parti del paese, nessuna esclusa. La nostra sfida è saldare il destino dell’Italia a una nuova Europa e a un mondo nuovo. Un mondo dove molto, forse tutto, è destinato a cambiare. E allora la vera domanda per noi non è cosa siamo stati, ma cosa saremo. Quale paese lasceremo a chi verrà dopo. L’Italia liberale affidò il compito di formare un "carattere italiano" all’esercito e alla scuola. Il fascismo volle militarizzare la questione. La Repubblica visse tra chiese divise e doppie lealtà, ma in fondo trovando nei partiti di massa la spinta per una modernizzazione epocale, seppure depennata da sintomi patriottici, poiché il mito nazionale fu presto soggiogato al primato delle ideologie. La forza del nostro tempo – la speranza di questo 150° - è nella possibilità di combinare in forme nuove democrazia, cittadinanza e un’etica pubblica rigenerata. Ce la possiamo fare. Davvero. Ce lo dicono le piazze che in questi mesi si sono riempite di giovani, donne, lavoratori. Ce la possiamo fare se contrasteremo quello che Baudelaire, col senno del suo tempo, aveva chiamato "l’avvilimento dei cuori". Ci si avvilisce quando si scopre di essere privi di difese. Esposti al ricatto del più forte. O quando si è convinti di non avere un tempo davanti, ma solo il peso gravoso di molte eredità. Il Partito Democratico è nato per fare l’opposto. Noi siamo nati per restituire speranza, coraggio e fiducia a un paese che lo merita. E anche per questo oggi esporremo il tricolore fuori dalla finestra di casa.

17 marzo 2011

 

 

2011-03-15

Lombardia: c'è l'Inno, e Renzo Bossi va al bar...

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I consiglieri regionali lombardi della Lega Nord, come annunciato, non hanno partecipato all' esecuzione dell'Inno di Mameli che ha aperto stmani la seduta dell'assemblea al Pirellone.

In aula era presente solo il presidente Davide Boni, che, come lui stesso ha spiegato, "ha assicurato la sua presenza per il ruolo istituzionale". Tutti gli altri leghisti, fra cui gli assessori e Renzo Bossi, sono rimasti alla bouvette a prendere un caffè e a fare colazione.

Mentre risuonava l'inno nazionale, come imposto da una legge per i 150 anni dell'Unità d'Italia, che solo il Carroccio non ha votato, tutti gli altri consiglieri regionali, invece, sono stati in piedi dietro i loro banchi, indossando chi una coccarda tricolore, chi una spilla o chi addirittura mostrando una bandiera italiana nel taschino della giacca, come l'assessore Romano La Russa. In aula per l'occasione anche il governatore Roberto Formigoni.

E questo proprio nel giorno in cui il presidente della Repubblica torna a celebrare l'unità d'Italia e il valore della Costituzione che coniugà l'identità nazionale e le autonomie territoriali."La nascita dello Stato unitario - scrive il capo dello Stato - ha consentito al nostro paese di compiere un decisivo avanzamento storico, di consolidare l'amore di Patria, di porre fine a una fatale frammentazione, di riconoscerci in un ordinamento liberale e democratico forte dell'esperienza della lotta antifascista. L'alto dibattito in seno all'Assemblea Costituente ha portato ad identificare - prosegue Napolitano - ideali e valori da porre a base dell'ordinamento repubblicano. Nella Costituzione l'identità storica e culturale della Nazione convive con il riconoscimento e lo sviluppo in senso federalistico delle autonomie che la fanno più ricca e più viva, riaffermando l'unità e indivisibilità della Repubblica". Così Napolitano.

"È gravissimo che i consiglieri regionali lombardi della Lega siano usciti oggi durante l'esecuzione dell'inno di Mameli. È un vero e proprio schiaffo al Paese. Se non si sentono italiani si dimettano e rifiutino il lauto stipendio che gli arriva puntuale a fine mese". È quanto afferma il portavoce dell'Italia dei Valori, Leoluca Orlando, che aggiunge:" Almeno per una volta il pluribocciato 'Trotà, in arte Renzo Bossi, studi e impari le parole dell'inno, visto che ha affermato di non conoscerle, o vada in fabbrica o in altri luoghi a lui più adatti a guadagnarsi da vivere, come fanno tutti i suoi coetanei che non sono figli del senatur".

 

 

FINOCCHIARO: PREMIER INTERVENGA, LEGA HA GIURATO...

"Il gesto dei consiglieri regionali della Lega in Lombardia è inqualificabile. La Lega è una forza di governo con autorevoli ministri che, al momento dell'insediamento, hanno giurato fedeltà alla Repubblica, rappresentata dal Tricolore e dall'Inno, nelle mani del Presidente Napolitano. Dunque, uscire da un consiglio regionale mentre suona l'inno di Mameli alla vigilia del 150^ anniversario dell'unità d'Italia, è un atto grave che sconfessa nella sostanza quel giuramento. Per questo chiediamo al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi di intervenire sul comportamento dei suoi alleati e di stigmatizzarlo senza ambiguità". Lo dice Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al Senato.

15 marzo 2011

 

 

2011-01-08

Il Quirinale: "Il Nord abbia

coscienza di come divenne Italia"

napolitano

Anche il Nord deve avere "coscienza" della propria storia e delle proprie radici, di come "è diventato Italia". Lo dice il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al termine di uno spettacolo-ricostruzione storica al Teatro Fabbri di Forlì, dove il Capo dello Stato si trova per inaugurare le celebrazioni sui 150 anni dell'unità d'Italia.

"Spero che in altre parti del Paese, a Milano, a Venezia, a Verona - ha spiegato il presidente -, si ripetano iniziative come questa affinchè abbiano la coscienza di come divennero italiane". "Con questa iniziativa - ha aggiunto - la Romagna mostra di avere coscienza delle proprie radici, del proprio contributo al moto risorgimentale". L'iniziativa, intitolata 'Come fu che la Romagna divenne italiana', è stata illustrata attraverso una ricostruzione per immagini e cenni storici dal sindaco di Forlì, Roberto Balzani.

Napolitano, dopo aver deposto questa mattina una corona di fiori ai piedi della statua di Aurelio Saffi, ha lasciato Forlì per recarsi a Ravenna dove nel pomeriggio proseguiranno le iniziative per la celebrazione dei 150 anni dell'Unità d'Italia.

7 gennaio 2011

 

 

Dieci idee del PD su federalismo

risorse e riordino dei poteri

A) Con l'Assemblea Nazionale di Busto Arsizio il PD afferma ad alta voce il suo impegno politico e propositivo per una autentica e coraggiosa riforma dell'ordinamento istituzionale, che modernizzi il sistema dei poteri nazionali, regionali e locali e produca una nuova governance trasparente, coerente ed efficace.

Tutto ciò deve procedere assieme al varo del federalismo fiscale ed alla battaglia per modificare l'insostenibile manovra finanziaria varata nel luglio scorso dal Governo.

La nostra critica al Governo Berlusconi non si limita ai soli dati finanziari, anche se il taglio è al di fuori di ogni portata e il patto di stabilità blocca investimenti che oggi sarebbero ossigeno prezioso. Essa riguarda anche la scelta assolutamente negativa di aver separato – concettualmente e di fatto – la partita del federalismo fiscale da quella della riforma delle competenze.

Oltre ad aver svuotato e tradito la prospettiva di un avvio reale del federalismo nel quadro dei principi dettati dalla Legge delega 42/09, la Destra e la Lega hanno la responsabilità di aver lasciato indietro le proposte di riordino e di semplificazione dei poteri decentrati,mortificando una volta di più i valori dell'autonomia e della sussidiarietà.

Quanto più si declama l'imminente magnifico decollo del federalismo, tanto più le cose si bloccano e si impantanano.

Il danno per il Paese è serio. Si rischia alla fine di non avere né il federalismo, sostituito dalle vuote chiacchiere sulla devolution che non riescono più a nascondere l'affermarsi ormai routinario di pratiche centralistiche; né la riforma dello Stato e delle Regioni.

Ciò produce un ulteriore distacco della politica dal Paese reale. Mina la credibilità di un obiettivo, il federalismo appunto, sul quale si è purtuttavia registrata una convergenza di intenzioni proveniente da molti settori della comunità nazionale.

Contro questa deriva il PD si batterà con forza e spirito innovatore, avanzando al tempo stesso le proposte necessarie a superare lo stallo ed a far ripartire nel Parlamento e nel Paese un autentico processo riformatore. (vedi a tal proposito la proposta sul federalismo fiscale contenuta a pag 5 e seguenti del documento "Fisco 20,20,20: la road map per liberare i produttori, la progressività, il federalismo") B) La prima cosa da fare è rimettere sui giusti binari la riforma autonomistica, guardando ad essa non solo come un passaggio ineludibile sul cammino del riassetto politico-istituzionale. E del risanamento della finanza pubblica Essa è anche uno strumento essenziale per la ripresa economica, per una più forte competitività del sistema Italia, per assicurare la coesione sociale.

Per il PD il punto politico fondamentale è innanzitutto affermare l'idea di una riforma che non sia mera redistribuzione di ruoli e competenze tra i diversi livelli di governo, né un'operazione di semplice maquillage organizzativo.

E' molto di più di tutto questo. E' in realtà una delle prime e più concrete azioni che possiamo assumere per il rilancio economico, l'ammodernamento dell'Italia, il rafforzamento di un forte spirito civico.

Serve allora un disegno organico e coerente, che veda insieme Riforma dello Stato (nei suoi rami alti) e riordino dei poteri regionali e locali; federalismo fiscale e Codice delle Autonomie; rivisitazione delle competenze e certezza delle risorse.

Poi si potrà anche procedere per gradi e per passaggi successivi. Ma una visione d'assieme ci vuole. Non si può più procedere alla cieca o sotto l'impulso di spinte particolaristiche.

Noi saremo il Partito di questo sforzo culturale e politico coerente, rigoroso, urgente.

Il Partito del vero autonomismo, perché preoccupati del funzionamento e dell'unità di tutto il Paese.

Guardiamo alle esigenze di un Nord dinamico e potenzialmente competitivo con le aree più forti d’Europa e ci preoccupiamo di tenere agganciato al paese un Mezzogiorno in crescenti difficoltà.

In gran parte del Mezzogiorno i Comuni sono in primissima linea per garantire, in condizioni talvolta drammatiche il rapporto di fiducia tra cittadini e Istituzioni. Uno Stato più efficiente e moderno deve rispondere alle esigenze di tutela della legalità e di contrasto alla criminalità organizzata. E nella Repubblica "multilivello" dobbiamo pensare a rafforzare l’azione degli Enti Locali nelle zone più difficili del paese con meccanismi di sostegno "fra pari" ( diffusione delle migliori pratiche tra Comuni, fra Provincie e fra Regioni) e di affiancamenti propriamente federali (non solo poteri sostitutivi ma strumenti di governance condivisi) C) Sul piano pratico il Governo ha mancato del tutto. La riforma delle Autonomie è lungi dal giungere in porto.

Gli obiettivi più volte sbandierati, riordino delle competenze, semplificazione dei livelli amministrativi, risparmio virtuoso della spesa aggregata, sono stati tutti disattesi.

Al di là di qualche fiammata demagogica, che non ha esitato a cavalcare le più negative campagne di delegittimazione dei poteri locali e regionali, i risultati sono nulli. E’ il Federalismo delle chiacchiere, non dei fatti concreti.

Il varo della Carta delle Autonomie è fermo al Senato, avendo il Governo preferito – per le esigenze elettoralistiche della Lega Nord – dare la precedenza a provvedimenti – bandiera sul federalismo fiscale, peraltro del tutto vuoti e contraddittori.

E lo stesso discorso vale per il Senato delle Regioni, indispensabile luogo di sintesi e composizione di un assetto "federale": è tutto fermo.

La vicenda della annunciata soppressione delle Province è finita nel grottesco di mirabolanti annunci seguiti da proposte timidissime, peraltro abbandonate subito per le resistenze degli eletti locali della Destra. Lega in primis.

Il progressivo spegnimento delle Comunità montane (avvenuto per asfissia, facendo mancare totalmente le risorse) lascia del tutto irrisolti non solo il tema di chi svolgerà le funzioni fin qui esercitate dalle stesse ma soprattutto il bisogno che resti comunque in essere una politica pubblica, nazionale e locale, per la montagna.

Così può dirsi per altri aspetti qualificanti: il varo delle Comunità metropolitane, fermo al palo nonostante per questa via si possano superare 9 Province; un effettivo sostegno alle Unioni di Comuni ed alle diverse esperienze di gestioni associate; la ricerca di nuove vie per assicurare la partecipazione civica dopo la sostanziale cancellazione degli strumenti di decentramento circoscrizionale; ecc...

Paradossalmente le poche cose positive che il percorso del Federalismo ha fin qui acquisito (la miglior scrittura della legge delega 42/09 e gli utili aggiustamenti al decreto sul federalismo demaniale) si debbono all’impegno fattivo e coerente dei parlamentari del PD presenti nella Bicamerale e nelle Commissioni di merito. Purtroppo questo contributo non è stato valorizzato quanto meritava dalla maggioranza.

Insomma, un disastro. Un disastro per i servizi, falcidiati dai tagli con conseguenze pesanti sulla qualità della vita e sul reddito delle famiglie. Vedremo presto il prezzo alto che il paese paga a questa linea recessiva. E un disastro istituzionale, reso più grave dal continuo annunciare riforme che poi non si avviano mai.

E' indispensabile ripartire col piede giusto e rimettere, in modo credibile e senza ambiguità, questo tema in cima all'agenda delle riforme.

D) Il PD presenta con questa Assemblea Nazionale il quadro degli obiettivi e criteri essenziali che devono presiedere al realizzarsi di questa riforma. E che diventano per il Partito linee guida impegnative sulle quali mobilitare coerentemente tutte le proprie forze. Sono dieci i punti politici da cui ripartire, per un'innovazione indispensabile e non più rimandabile. Li elenchiamo di seguito, chiamando il Partito tutto e con esso l'insieme dei nostri interlocutori politici, sociali e culturali ad una elaborazione e ad un'azione comuni.

1. Partiamo dai cittadini

La riorganizzazione dei poteri non è finalizzata ad un nuovo equilibrio interno ai poteri della Repubblica ma ad offrire a cittadini, comunità ed imprese servizi e prodotti migliori, di maggiore qualità e dal prezzo equo.

La riforma autonomistica è tutt'altro che un derby fra gli amministratori dello Stato e quelli delle Autonomie.

Bisogna mettere al centro della riforma il cittadino, il suo bisogno di regole, di semplicità, di partecipazione. E’ l’occasione per migliorare le istituzioni e, al tempo stesso, per coinvolgere i più ampi strati della cittadinanza, ed in particolare i giovani, le donne, il volontariato.

Ciò significa cambiare l'ottica della riforma, mettere da parte ogni autoreferenzialità ed ogni vischiosità conservatrice. E' questa la lezione delle poche vere esperienze di successo nella riorganizzazione dei servizi: la priorità è alla qualità dei risultati, all'appropriatezza nelle prestazioni, alla soddisfazione degli utenti.

2. Impossibile difendere tutto com'è

Le Istituzioni che fronteggiano la globalizzazione, la crisi economica mondiale, le nuove questioni di fondo del pianeta (clima, migrazioni, cibo, rivoluzione numerica) non possono essere le stesse del dopoguerra, quelle uscite dalla sconfitta del fascismo. Bisogna innovare, pena una crisi di autorevolezza della democrazia locale.

Siamo contro lo smantellamento indiscriminato della presenza pubblica, specie quella locale. Contrasteremo la riproposizione, oggi davvero anacronistica, di ricette neoliberiste, di mera privatizzazione dei servizi, peraltro prive di autentico contenuto liberale.

Ma è impossibile stare fermi e difendere tutto com'è. Per il PD la via è chiara: non si salverà la giusta e necessaria funzione pubblica se non rinnovandola, qualificandola, correggendone i limiti e le storture.

3.Lo Stato dimagrisca a Roma e nei territori

A Roma e nei territori lo Stato deve riorganizzarsi e dimagrire notevolmente. Esiste una grande quantità di uffici, sedi decentrate, rappresentanze varie di ministeri, agenzie statali, enti parastatali che assorbono risorse ingenti in modo improduttivo e talvolta si sovrappongono alle competenze regionali e locali.

E' grave che questo tema non sia mai stato affrontato dal Governo, il quale ha risposto sempre con un sordo muro di gomma alle istanze locali. Come se la razionalizzazione e le esigenze di risparmio si ponessero solo per le Autonomie e non per lo Stato! Invece di proporre ministeri disseminati per il paese la Lega dovrebbe misurarsi con il concreto obiettivo di snellire lo Stato, Ministeri e Agenzie comprese

4. Un nuovo rapporto tra Stato, società e mercato

La riconsiderazione sul perimetro d'intervento pubblico nell'economia e nella società italiane non può avvenire per via ideologicamente demolitoria né, surrettiziamente, attraverso i tagli finanziari lineari, concentrati peraltro sulle Autonomie.

Il PD è consapevole che va costruito oggi un nuovo e più fecondo rapporto tra Stato, società e mercato. Stiamo su questo punto senza remore ideologiche e però rigettiamo altre ideologie, presentate come "riformatrici" e modernizzanti ma in realtà pesantemente responsabili della crisi finanziaria sociale del mondo di oggi.

L'Italia delle Autonomie propugnata dal PD è quella che unisce il meglio del pubblico, del privato e di quanto espresso dalla società civile organizzata, e che mette al centro le domande vecchie e nuove dei cittadini, a cominciare da quelli meno protetti.

5. Superiamo duplicazioni e confusioni

La riforma deve ottenere il superamento delle duplicazioni, delle sovrapposizioni di competenza, della confusione di ruoli tra Stato, Regioni ed Enti locali. Purtroppo ancora siamo lontani da questo traguardo.

Alla base della nostra proposta vi è l'impegno a definire con chiarezza "chi fa cosa", cancellando le zone d'ombra, le posizione di rendita, i poteri di interdizione.

Non inseguiamo l'ideale astratto e non praticabile di liste rigide di competenze separate tra i diversi livelli istituzionali. I poteri concorrenti non sono una maledizione se ben congegnati e gestiti nell'ottica della leale cooperazione interistituzionale.

Ma una maggiore chiarezza è oggi indispensabile. Anche per ridurre il vasto conflitto che negli anni si è aperto davanti alla Corte, il che spesso diventa alibi per non risolvere limpidamente il tema dell'assunzione di responsabilità verso il cittadino.

6. No alla frammentazione, sì all'unione delle forze Vogliamo favorire davvero e non a parole la scelta delle Unioni di Comuni (e per i territori montani delle unioni di Comuni Montani, art. 44 della Costituzione), delle gestioni associate obbligatorie di servizi (per superare il limite della facoltatività e della instabilità della governance locale), delle dimensioni metropolitane o di area vasta, incluse le unioni di Comuni e di Comuni Montani, come ottimali per l'esercizio di funzioni pregiate.

Il pulviscolo e la frammentazione amministrativa e gestionale vanno superati. E deve risultare chiaro che la messa a fattore comune dei poteri per un governo più efficace e "risparmioso" è l'altra faccia o l'altra possibilità rispetto alla possibile riduzione dei livelli istituzionali previsti dalla Costituzione.

Ineludibile è il risultato da raggiungere, condizione per la ripresa di un rapporto positivo e di fiducia con i cittadini.

7. Distinguiamo poteri legislativi e funzioni amministrative

Proponiamo che si lavori ad una chiara distinzione tra le funzioni legislative, di alta programmazione e di controllo, che spettano alla Regione; e quelle amministrative, di gestione diretta dei servizi, che appartengono all'Ente locale.

Ciò comporta che le Regioni, anello sempre più strategico di un sistema collocato nella dimensione europea, devono specializzarsi e rapidamente concentrarsi nel fare leggi, piani e programmi, controlli sui risultati e sulla coerenza delle scelte locali.

Va quindi chiusa, ove ancora esiste, l'esperienza di Regioni che gestiscono i servizi, fatta eccezione per le materie o le situazioni in cui risulti evidente, anche nel confronto con gli Enti locali, che la funzione collocata altrove perderebbe efficacia.

Discorso complementare vale per gli Enti locali. Vanno valorizzate l'autonomia e la pratica della sussidiarietà; e va stimolato il dinamismo degli amministratori che cercano, nel concreto, soluzioni innovative alle questioni spesso inedite che cambiano l'agenda del governare.

Vanno peraltro previsti oculati poteri sostitutivi ove la situazione non presenti alternative praticabili.

Per quanto attiene l’ente intermedio il PD ritiene che le sue funzioni mantengano ancora oggi attualità e che si debba semmai aprire una approfondita riflessione, guardando alle migliori esperienze e europee sulla forma più innovativa e capace di dare risultati.

8. Semplifichiamo gli strumenti del governo locale Insistiamo per una forte semplificazione dei vari livelli e strumenti di governo delle politiche locali: agenzie, società, consorzi, ambiti ottimali, ecc... Forte è l'aspettativa dei cittadini per un'effettiva razionalizzazione e per la riduzione degli Enti competenti sulle materie di più immediato impatto sociale.

In questa direzione il PD avanzerà le sue specifiche proposte, in modo convinto e motivato, avendo ovviamente cura che per questa via non si perdano acquisizioni recenti che non hanno perso d'importanza: distinzione tra controllore e controllato, flessibilità e velocità d'intervento nell'organizzazione del servizio, possibilità di sperimentare forme virtuose ed innovative di relazione tra pubblico e privato.

9. Assicuriamo la dimensione ottimale dei servizi

La dimensione dei servizi e della loro gestione deve essere quella ottimale dal punto di vista della qualità del risultato per i cittadini.

Ciò significa, in generale, la necessità di andare oltre la scala municipale o locale, promuovendo livelli di programmazione e quindi di gestione più ampi e razionali. In particolare per i servizi più importanti per i cittadini (acqua, assistenza sociale, trasporti, casa, gas, rifiuti) è logico considerare che il livello dell'area vasta o quello regionale siano quelli più congrui.

Questo approdo è necessario anche per prepararsi in modo intelligente alla fase assai prossima, quella delle gare internazionali per l'aggiudicazione dei servizi, nelle quali i nostri territori non possono essere visti solo come territori di caccia per società europee e mondiali più forti e patrimonializzate.

10. Rigore e sobrietà nella politica e nella P.A.

Il sistema delle Autonomie che risulterà da questa riforma dovrà essere meno costoso di quello che si è consolidato fino ad oggi, senza far mancare le risorse per i servizi essenziali.

Noi difendendo strenuamente il valore e la dignità delle Istituzioni, degli amministratori e dei lavoratori pubblici, della rappresentanza politica democratica contro ogni campagna populistica e strumentale. Proprio per questo il PD propone senza esitazione l'esigenza di sobrietà e di rigore nell'uso delle risorse. E con essa l'urgenza di individuare soglie oggettive di riferimento (nazionali ed internazionali) cui agganciare i limiti massimi di spesa per il governo locale, per la rappresentanza, per l'amministrazione attiva.

E proporremo anche meccanismi di responsabilità individuale e collettiva in caso di sforamento di questi tetti.

 

 

 

"Costruiamo una Nuova Italia mite e civile"

di Bruno Gravagnuolo | tutti gli articoli dell'autore

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"Il dibattito odierno sul Risorgimento è surreale e strumentale. Si nega il valore storico dell’unità italiana, mirando alla frantumazione territoriale e corporativa. Oppure c’è indifferenza, nell’assenza di una religione civile all’altezza di un paese moderno".

Parla dell’oggi Giovanni De Luna, 67 anni, salernitano, storico contemporaneo a Torino, e studioso di Lega, antifascismo e Novecento di massa (Il corpo del nemico ucciso, Feltrinelli). La sua tesi suona: l’Ottocento è lontano. E l’ identità italiana va costruita su nuovi paradigmi di cittadinanza. Non più su quello classico dello "stato-popolo-nazione". Vediamo in che senso.

Professor De Luna, tra apatia istituzionale, boicottaggio della Lega e disinteresse, l’anniversario dell’Unità d’Italia non pare coinvolgere gli italiani. Come mai? "Intanto c’è grande differenza con i precedenti anniversari. Nel 1911 ci si specchiava nello sviluppo industriale dell’era giolittiana, e nell’orgoglio dinastico dell’Italia sabauda assurta a potenza. Nel 1961 c’era il boom economico di un paese ricostruito dopo la guerra, e la fierezza di Torino divenuta metropoli. Due celebrazioni che alimentavano ottimismo e anche dibattiti storiografici molto accesi, sui limiti del Risorgimento dall’alto, etc. Stavolta, 150 anni dopo, c’è una crisi gravissima che travolge ogni possibile orgoglio. E poi c’è al governo la Lega che contesta l’Unità d’Italia in sé, una cosa senza precedenti".

Non esiste più uno straccio di borghesia nazionale con ambizioni europee e che tenga al "valore Italia"? "C’è stata una deriva mercantile totale del sentimento nazionale, visto al più come mero passaporto per il benessere, così come fu per i tedeschi dell’est dopo il crollo del Muro. Come se l’essere italiani fosse un logo, una tessera "spesa amica", per accedere ai consumi. Il mercato ha strutturato e saturato ogni emozione, e se l’Italia non è una cosa che si mangia...".

Non è che nel Risorgimento non vi fosse il mercatismo, accusato anzi di travolgere il meridione... "Certo, ma il dibattito sul Risorgimento riguarda solo uno spicchio della nostra storia. Ci sono stati il fascismo, le guerre, la prima repubblica e poi la cosiddetta seconda. Nessuno si interroga sullo straripante Novecento e ci si accapiglia sull’Unità d’Italia solo per demonizzarla, come fomite di tutti i mali successivi. Hanno inciso sul paese molto più il fascismo, peculiarità italiana, e la violenza di massa di due guerre mondiali".

Davvero il Risorgimento, censitario e classista, non anticipò nessuno dei mali a seguire? "Sì, ma è come confrontare capre e cavoli. L’Ottocento non dice più nulla all’oggi. Salvo, ovviamente, prendere atto delle tante anime risorgimentali: neoguelfa, mazziniana, sabauda, repubblicana, monarchica. Come per la Resistenza: radicale, azionista, moderata, comunista. Discussione sacrosanta, che non revoca in dubbio il valore positivo dell’Unità d’Italia, che tutte quelle anime perseguivano e che tale resta".

Cosa ci abbiamo guadagnato e ci guadagniamo con quel valore? "Senza il Risorgimento saremmo restati un’espressione geografica, una congerie di staterelli tagliata fuori dalla competizione internazionale: politica, militare ed economica. Ci voleva uno stato per l’accumulazione industriale. Oggi il problema è un altro. È la religione civile che manca. E per colpa di una classe dirigente che negli ultimi venti anni non ha costruito nessuna etica civile".

Ha vinto la religione incivile del populismo privatistico? "Appunto: tutti figli del benessere, la ricchezza come unico riferimento. Nutrito di rancore e aggressività. Competizione e maledizioni. Eccolo il fallimento. Con una eccezione: il Quirinale. Unico luogo coesivo di religione civile, con limiti e affanni. E senza partecipazione vera. In più, con un sistema politico privo di interesse al riguardo. Dall’aziendalismo di Berlusconi, all’etnicismo leghista, alla fragilità di una sinistra che ha smesso di avere un’idea di nazione, dopo aver buttato a mare il suo passato ingombrante".

Più che un vuoto, c’è stata una catastrofe identitaria? "Crollato il patto della memoria, stabilito tramite l’antifascismo nel dopoguerra, non è rimasto nulla. La politica non è stata capace di recintare alcuno spazio pubblico della memoria. Con l’eccezione della Presidenza della Repubblica, da Ciampi a Napolitano. Troppo poco".

Non c’è confronto con altri paesi. Ad esempio con gli Usa, che celebrano convinti il loro stato nazione... "Negli Usa il valore della religione civile americana è persino sacrale, basta ascoltare il linguaggio di Obama".

Restando all’identità, lo storico Alberto Maria Banti ha contestato come criptorazzista la retorica risorgimentale. Basta dunque col popolo-nazione? "Ripeto, l’Ottocento è lontanissimo e una certa eredità nazionale identitaria non è più spendibile. Lo stato-nazione è imploso, incapace di fare religione civile, e non solo in Italia. Anche Francia e Spagna non riescono più a governare unitariamente la memoria, tra querelle sul colonialismo e patti di pacificazione sul Franchismo che saltano. Occorre trovare altri valori per ricostruire un Pantheon repubblicano".

Da dove ricominciare, visto che Ciampi e Napolitano non bastano? "Non credo alla memoria condivisa, ma a una tavola di valori repubblicani universali. Purtroppo l’unico valore proposto al momento è la memoria delle vittime: della mafia, della Shoah, foibe, terrorismo, catastrofi naturali. Ma le vittime non pacificano. Gridano rancore, vendetta, sovrastandosi con la voce a vicenda. Qui il fallimento della nostra classe dirigente: l’incapacità di costruire un’alternativa".

Allora, se le cose stanno così, hanno ragione quelli che vogliono rottamare un’identità nazionale ormai inutile e invisibile? "Inutile nella sua dimensione ottocentesca, non in quella post-novecentesca. Che deve confrontarsi con l’integrazione dei cittadini non italiani. Problema ignoto allo stato-nazione risorgimentale. Goffredo Mameli può rappresentare un valore per i cittadini extracomunitari? Semmai vanno recuperate le virtù positive di Mameli. L’eroe dolce e tollerante descritto da Garibaldi, non il guerriero nazionale".

Anche gli Usa includono nel nocciolo ideologico "wasp" il pluralismo etnico, non le pare? "Loro hanno il giorno del Ringraziamento e la festa di San Patrizio per gli irlandesi...".

La Lega nella Provincia di Padova cancella 25 aprile e Primo Maggio, e include la Festa di San Marco. "Cancellano le date più inclusive e fanno capire bene chi vogliono includere: la loro gente".

In conclusione, si può vivere senza un’idea d’Italia pur nell’eclisse dello stato-nazione? "No, ma ci vuole una nuova costellazione valoriale. Lontana dalla retorica nazionale ottocentesca e dalla temperie vittimaria delle catastrofi di massa novecentesche, che hanno inciso sulla nostra identità ben più degli anni risorgimentali. E in tal senso, penso alla virtù civile della "mitezza", come la evocava l’ultimo Bobbio. Significa essere contro prepotenza e arroganza e per l’inclusione fraterna. Esempi? Tanti: Colorni, Willy Jervis, Pietro Chiodi, laici o valdesi, gente perseguitata ma non vittimista. Patrioti repubblicani e italiani davvero diversi".

8 gennaio 2011

 

 

 

Lega vuole paragonare i partigiani ai fascisti

di Paola Benedetta Manca | tutti gli articoli dell'autore

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Erigere una lapide "a perenne ricordo di tutti i Caduti modenesi della Guerra Civile 1943-45". Questa proposta, che ieri ha scosso la città di Modena, proviene da quattro consiglieri provinciali della Lega Nord: Denis Zavatti, Stefano Corti, Lorenzo Biagi e Livio Degli Esposti. La "guerra civile" a cui si riferiscono è quella contro l’occupazione dei nazisti in Italia e la Repubblica di Salò, prima della Liberazione.

Nella categoria dei "caduti", dunque, rientrano a pieno diritto non solo sacerdoti, contadini, avversari politici giustiziati dai partigiani (o da chi si dichiarava tale) ma anche nazi-fascisti, repubblichini e collaborazionisti filo-nazisti.

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8 gennaio 2011

 

 

 

 

 

 

 

il SOLE 24 ORE

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2011-03-19

 

 

 

 

2011-03-18

Napolitano a Torino: no a indifferenza per la repressione in Libia

di Nicoletta CottoneCronologia articolo18 marzo 2011

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Argomenti: Presidenza della Repubblica | Gabriele Galateri | Torino | Andrea Beltratti | Corrado Passera | Intesa Sanpaolo | Palazzo Madama | Guido Crosetto | Piero Fassino

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 marzo 2011 alle ore 11:49.

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Giorgio NapolitanoGiorgio Napolitano

L'Italia non può rimanere indifferente alla repressione della libertà in Libia, non può lasciar calpestare il risorgimento arabo. Lo ha detto il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, al teatro Regio di Torino, in occasione del primo appuntamento della due giorni torinese per festeggiare i 150 anni dell'Unità d'Italia. Napolitano ha ricordato che l'Italia nelle prossime ore dovrà prendere decisioni impegnative, difficili, su quello che sta succedendo in Libia. "Se pensiamo a che cosa è stato il movimento risorgimentale come movimento liberale e rinnovatore non possiamo ammettere - ha aggiunto il capo dello Stato - che vengono calpestate le speranze di un risorgimento anche nel mondo arabo".

Bagno di folla per il capo dello Stato

" Presidente ci difenda". Napolitano, accompagnato dalla moglie, signora Clio, è stato accolto da un boato della folla e da un lungo applauso all'arrivo al Teatro Regio di Torino. Napolitano ha inaugurato, davanti all'ingresso del teatro, la statua di Camillo Benso, conte di Cavour. Una autentica ovazione ha accolto il capo dello Stato all'interno del teatro dove, tutti in piedi, hanno applaudito Napolitano per oltre tre minuti. Il capo dello Stato ha poi visitato la grande aula, ricavata all'interno di Palazzo Madama, in cui è stata riprodotta l'Aula del Senato Subalpino del 1848, divenuta dal 1861 al 1864 l'aula del primo Senato del Regno d'Italia. Ha visitato poi il museo multimediale dedicato a Torino.

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I festeggiamenti per i 150 anni dell'Unità d'Italia

Fratelli d'Italia

Le donne che hanno reso grande l'Italia

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Napolitano e Berlusconi al belvedere del Gianicolo

Il videomessaggio di Barroso per i centocinquant'anni d'Italia

Intervento del Presidente Napolitano alla Seduta comune del Parlamento in occasione dell'apertura delle celebrazioni del 150° anniversario dell'Unità d'Italia

documenti

* Il discorso del Presidente Napolitano

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Richiamo all'orgoglio nazionale

"Sento il bisogno di richiamare la necessità stringente di coesione nazionale", ha detto il capo dello Stato. Che "significa avere il senso della patria e della costituzione, della costituzione come quadro di principi e di regole per il nostro vivere comune. Coesione indispensabile per far fronte alle prove che ci attendono". Napolitano ha esortato a "riacquisire un patrimonio storico e ideale che abbiamo un pò rimosso per molti anni. L'abbiamo poco studiato e dobbiamo riscoprirlo". E ha ricordato che ieri, in occasione della Festa per i 150 anni dell'Unità d'Italia, "tutti abbiamo percepito uno scatto di sentimento e consapevolezza di orgoglio nazionale, cosa che volevamo suscitare".

Decisione saggia la limitazione a due mandati per i sindaci

Napolitano ha definito "una decisione saggia" la limitazione a due mandati per i sindaci. Quando fu approvata la riforma che introdusse l'elezione diretta "ero presidente della Camera. Ricordo che ebbi all'inizio delle perplessità su questa limitazione. Poi ho capito che la ragione era quella che il sindaco dotato di un mandato popolare non esagerasse troppo, non incombesse per troppi anni". Il capo dello Stato ha anche affermato che il "senso di umiltà deve guidare chiunque assolva doveri istituzionali".

Chiamparino: capo dello Stato garante della Costituzione

"Siamo lieti di poterle testimoniare la gratitudine profonda per il suo ruolo di garante della Costituzione, di riferimento morale di questo nostro tempo incerto e simbolo altissimo dell'unità del nostro paese", ha detto il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, rivolgendosi

al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano nel corso della cerimonia inaugurale dei festeggiamenti a Torino per l'Unità d'Italia.

Contestato un passaggio del discorso di Cota

Il presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota, ha invitato a non "strumentalizzare" le celebrazioni per l'Unità d'Italia, suscitando una reazione della platea del Teatro Regio con "buuu" e brusii di disapprovazione. "Ritengo che queste cerimonie - ha detto Cota - possono avere autentico risultato se non vengono utilizzate per fare polemica, strumentalizzando dei simboli, in un'assurda corsa a chi è più presente. Questo atteggiamento è un segnale di debolezza da parte di chi lo assume".

Molte le personalità presenti

Numerose le personalità presenti alla cerimonia di questa mattina: l'amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, il presidente di Fiat John Elkan, il consigliere delegato di Intesa San Paolo Corrado Passera, il presidente del consiglio di gestione di Intesa San Paolo Andrea Beltratti, il presidente di Telecom Gabriele Galateri di Genola, Marco e Francesca Lavazza, Marco Boglione di BasicNet, Enrico Salza. E ancora il segretario del Pd Pierluigi Bersani, i due candidati a sindaco di Torino Piero Fassino e Michele Coppola, il sottosegretario alla Difesa, Guido Crosetto, il vicepresidente del Senato Vannino chiti, il sottosegretario ai Trasporti Nino Giachino. Presenti anche i vertici delle istituzioni locali: il presidente della Regione Piemonte Roberto Cota, il sindaco di Torino Sergio Chiamparino e il presidente della provincia di Torino, Antonia Saitta.

 

Berlusconi contestato in piazza a Roma

di Luca OstellinoCronologia articolo18 marzo 2011Commenti (11)

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Argomenti: Governo | Riccardo Muti | Giorgio Napolitano | Angelo Bagnasco | Giulio Tremonti | Angelino Alfano | Santa Maria degli Angeli | Roma | Silvio Berlusconi

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 marzo 2011 alle ore 07:52.

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"È stata una giornata magnifica, io ne sono contento". Silvio Berlusconi affronta l'ultima tappa della lunga giornata romana di celebrazioni per i 150 anni dell'unità d'Italia – la rappresentazione del Nabucco, diretta da Riccardo Muti – ignorando le contestazioni con cui è stato accolto in serata anche all'ingresso del teatro dell'opera, dopo i molti fischi e i pochi applausi che hanno scandito dalla mattina le sue apparizioni pubbliche ai diversi appuntamenti dedicati ai festeggiamenti.

Dall'Altare della patria al Gianicolo, passando per la messa celebrata dal cardinale Angelo Bagnasco alla basilica di Santa Maria degli Angeli fino alla seduta comune del Parlamento convocata in Aula alla Camera, l'atteso 17 marzo è trascorso in un clima di festa, macchiato però dalle polemiche per le contestazioni al presidente del Consiglio e per la scarsa, anche se ampiamente annunciata, partecipazione della Lega. Per Berlusconi, la giornata non era iniziata male. Anzi. A piazza Venezia, per l'omaggio al Milite Ignoto, l'accoglienza della gente dietro le transenne è piuttosto buona: alcuni lo incitano ad andare avanti, altri scattano foto.

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Il premier si lascia andare anche a qualche battuta. In particolare, assicura che andrà avanti. "Resto per difendermi; non lascio il paese in mano ai comunisti", dice sorridendo.

Al Gianicolo, invece, l'atmosfera inizia a cambiare. In particolare, emerge la netta differenza tra l'accoglienza riservata a Giorgio Napolitano, salutato con applausi e bagni di folla, e la reazione delle persone assiepate dietro le transenne quando appare Berlusconi. Partono così i primi fischi e cori. Soprattutto all'uscita, sul presidente del Consiglio si riversa una pioggia di critiche: qualcuno gli urla "dimissioni, dimissioni", un altro "bunga-bunga".

Solo un signore lo incoraggia: "Resisti, resisti". Ma è nell'appuntamento successivo, la messa a Santa Maria degli Angeli, che la contestazione sale ancora di tono. A piazza della Repubblica, la piccola folla che sfida la pioggia inizia a fischiare e a urlare all'indirizzo del Cavaliere, mentre una piccola minoranza applaude. Anche qui risulta più che evidente il contrasto con il calore dimostrato al capo dello Stato. Applausi anche per Giulio Tremonti e Angelino Alfano.

Dentro la basilica tornano a sentirsi applausi, ma anche fischi, Calderoli sostiene che qui Berlusconi è stato "il più applaudito", mentre fuori dal portone qualcuno continua a gridare e invitare il premier alle dimissioni. Tanto che il presidente del Consiglio e il suo staff decidono di lasciare la basilica, al termine della cerimonia, da un ingresso laterale, passando dalla sagrestia. Tutte le altre autorità escono, al contrario, dall'ingresso principale, tra gli applausi della gente.

"Peggio per lui", dichiara laconicamente Bossi. A chi ha avuto modo di parlargli, Berlusconi non ha nascosto di essere stato molto colpito e dispiaciuto. Il premier si sarebbe mostrato rammaricato perché ciò è avvenuto nella giornata di festeggiamenti solenni per i 150 anni dell'unità d'Italia. "Almeno oggi, avrebbero potuto evitare...", si sarebbe sfogato. Il suo ottimismo non è però scalfito. Resta convinto che il centro-destra prevarrà anche nelle prossime elezioni. "Come nel '94 non lasceremo il paese ai comunisti", ribadisce.

 

"Con Costituzione e unità si vince"

Dino PesoleCronologia articolo18 marzo 2011

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Argomenti: Politica | Silvio Berlusconi | Pattuglia Acrobatica Nazionale | Piemonte | Gianni Letta | Umberto Bossi | Roberto Calderoli | Roberto Maroni | Chiesa cattolica

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 marzo 2011 alle ore 06:44.

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ROMA

Nel corso della sua storia, il nostro paese ha affrontato e vinto sfide decisive, come nel secondo dopoguerra quando riuscì a riemergere dalle macerie del conflitto mondiale o negli anni Settanta con la lotta allo stragismo e al terrorismo. Anche questa volta ce la potremo fare, contando sulle nostre energie migliori, ma a una condizione: che operi nuovamente "un forte cemento nazionale unitario, non eroso e dissolto da cieche partigianerie, da perdite diffuse del senso del limite e della responsabilità".

Giorgio Napolitano è giunto alla conclusione del suo appassionato discorso alle Camere riunite per celebrare il centocinquantenario dell'unità nazionale, quando traccia la strada, l'unica che giudica percorribile: ritrovare quella coesione nazionale che finora è mancata. "Non so quando e come ciò accadrà. Confido che accada. Convinciamoci tutti, nel profondo, che questa è ormai la condizione della salvezza comune, del comune progresso". L'aula lo applaude a lungo, a sorpresa dai banchi si leva un accenno di inno nazionale. Pochissimi i parlamentari leghisti presenti, mentre nei banchi del governo siedono come annunciato Umberto Bossi, Roberto Calderoli e Roberto Maroni. "Non so quanti fossero, chiedete a loro", risponde Napolitano ai giornalisti che sollecitano un suo commento a proposito dell'atteggiamento della Lega. Al termine della cerimonia, incontro nella sala del governo con il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, i presidenti Renato Schifani e Gianfranco Fini.

La cerimonia ha inizio alle 16,30 con Fini che definisce le celebrazioni del centocinquantenario "un preciso dovere civile di tutti gli italiani". Poi Schifani, che ricorda come l'idea di nazione e di Europa "si sostengano reciprocamente". Napolitano si rivolge direttamente ai cittadini, agli insegnanti, ai "tanti soggetti pubblici e privati" che hanno raccolto l'appello a celebrare l'anniversario, in particolare i piccoli comuni, "fulcro dell'autogoverno democratico e di ogni assetto autonomistico". Orgoglio e fiducia: ecco quel che occorre. Per evitare "l'orrore della retorica" non vi è che affidarsi all'evidenza dei fatti. Il primo punto fermo: la mancata risoluzione della questione meridionale è li a dimostrare che quel percorso unitario non si è ancora compiuto pienamente. Non per questo si può negare la portata storica dell'unificazione, "per le condizioni in cui si svolse, per i caratteri e la portata che assunse, per il successo che la coronò superando le previsioni di molti e premiando le speranze più audaci".

Se così non fosse stato, l'Italia sarebbe ai margini della storia e della modernità. In poche parole, nulla "può oscurare il dato fondamentale dello storico balzo in avanti che la nascita del nostro Stato nazionale rappresentò per l'insieme degli italiani". Napolitano rilegge Mazzini che nel 1845 parlò di otto stati divisi senza bandiera, nome politico e voce tra le nazioni d'Europa. Poi l'appassionata e puntale ricostruzione dei principali eventi che culminarono nell'epopea risorgimentale, sotto la guida di Mazzini, Cavour, Garibaldi, Cattaneo. "Una formidabile galleria di ingegni e di personalità". Si trattò di un'"opera ciclopica", scrisse Gaetano Salvemini. Entriamo nel Novecento, con il dramma della guerra mondiale, il ventennio fascista, e nuovamente il riscatto, la resistenza, la liberazione e la nascita della Repubblica sotto il segno della Costituzione. Napolitano cita l'articolo 5 della Carta che nel fissare il principio assoluto dell'unità e indivisibilità del paese, riconosce in pieno il ruolo delle autonomie locali. E non è un caso - sottolinea - che "l'unica rilevante riforma" della Costituzione decisa finora sia stata quella del titolo V. Il punto di arrivo del federalismo è il rafforzamento dell'unità nazionale, "non il suo contrario". Per questo occorre porre al centro "delle nostre preoccupazioni" il divario tra Nord e Sud. È tempo di una profonda riflessione critica, di "un esame di coscienza collettivo", cui nessuno può sottrarsi. Al pari dell'altra grande questione, quella sociale, soprattutto per quel che riguarda le prospettive di occupazione "per una parte rilevante delle giovani generazioni". Ecco alcune delle grandi sfide che ci attendono. Occorre "grande spirito di sacrificio e slancio innovativo", come quando "con intelligenza, moderazione e capacità di mediazione" si affrontò il conflitto con la Chiesa cattolica . Il "forte cemento unitario" emerso nelle prove più difficili sarebbe stato impensabile senza quella identità nazionale condivisa, scolpita nella Carta del 1948".

 

 

La Lega in ordine sparso

Lina PalmeriniCronologia articolo18 marzo 2011

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Argomenti: Partiti politici | Matteo Salvini | Luis Durnwalder | Silvio Berlusconi | Lombardia | Dino de Rubeis | Giorgio Napolitano | Roberto Cota | Michaela Biancofiore

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 marzo 2011 alle ore 06:43.

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ROMA

Una celebrazione a metà, con ministri e sottosegretari presenti a Montecitorio – cinque in tutto – ma con le assenze in massa dei parlamentari. In realtà, in Aula i deputati padani erano due, Stefano Allasia – "scelto perchè sono piemontese" – e Sebastiano Fogliato (probabile sottosegretario all'Agricoltura nel rimpasto): 2 su 85. Una mossa studiata ad arte per restare nel solco della propaganda leghista anti-unitaria ma anche per rispettare un protocollo istituzionale oggi indispensabile per il Carroccio. E non solo perchè Roberto Maroni è il ministro dell'Interno – e la sua assenza sarebbe stata uno strappo senza precedenti – ma perchè il partito di Umberto Bossi non vuole compromettere il rapporto con il Quirinale. La ragione vera di quella presenza ieri, sia pure ai ranghi ridotti della squadra di governo leghista, ha questo significato: mantenere buone e distese relazioni con Giorgio Napolitano. Non è un caso se Umberto Bossi, presente alle celebrazioni di Montecitorio, abbia tenuto a sottolineare il "bel discorso" del presidente della Repubblica aggiungendo che "lui è una garanzia". Meno accorto è stato quando ha parlato di Silvio Berlusconi e dei fischi che ha ricevuto il premier nelle celebrazioni della mattinata a Roma: "Peggio per lui".

Stesso spartito per Roberto Maroni che nel suo commento serale ha parlato solo e unicamente del capo dello Stato e del suo "apprezzamento per il discorso del presidente che "nella ricostruzione del Risorgimento non ha omesso il riferimento alle spinte federaliste". Certo, al Carroccio interessava piegare il discorso di Napolitano tutto sul versante delle autonomie locali e della loro importanza, come si è affrettato a dire Maroni, ma il Quirinale è un interlocutore politico troppo prezioso per la Lega per far calare il gelo. Questa è la sostanza che il Carroccio ha voluto proteggere, il resto è la consueta e prevedibile propaganda padana. Fatta di mancati applausi all'inno – anche a Montecitorio – dello snobismo verso le coccarde che il Senatur dice di usare "sull'albero di Natale" mentre sfoggiava il simbolo di San Patrizio. Già perchè la Lega preferisce la festa irlandese ma questo è ancora folklore.

Ma insomma quelle assenze parlamentari erano per farsi notare di più? "Ma no, molti parlamentari sono sindaci o presidenti di provincia, sono amministratori locali e quindi avevano la necessità di essere nei territori più che a Roma. Forse qualcuno ha sottovalutato la nostra esigenza di essere nei luoghi". A parlare è Giacomo Stucchi, deputato di Bergamo – provincia molto influente nella geopolitica leghista – e probabile prossimo capogruppo leghista alla Camera. Anche lui sminuisce ma chiarisce che "dai capigruppo Reguzzoni e Bricolo è stata lasciata una partecipazione libera" e, dunque, nessuno si è presentato. Chiaro che invece è stata una scelta concertata, come accade per tutte quelle che riguardano la Lega, e che l'unico segnale che andava dato era verso Napolitano.

 

 

2011-03-17

 

 

 

Napolitano: "Divisi saremmo stati spazzati via"

di Luca OstellinoCronologia articolo17 marzo 2011Commenta

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Argomenti: Governo | Silvio Berlusconi | Barack Obama | Ufficio Stampa | Giorgio Napolitano | Marco Reguzzoni | Pierluigi Bersani | PDL | Lorenzo Cesa

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2011 alle ore 09:32.

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Napolitano: "Divisi saremmo stati spazzati via"Napolitano: "Divisi saremmo stati spazzati via"

Auguri a tutti gli italiani senza distinzione, nemmeno politica. Dal palco allestito ieri sera in piazza del Quirinale per la "Notte tricolore", Giorgio Napolitano avverte che "ognuno ha le sue idee, discutiamo e battagliamo, ma ognuno ricordi che è parte di qualcosa di più grande, la nostra nazione, e se saremo uniti sapremo superare le difficoltà che ci attendono". Al termine di una giornata di durissime polemiche, che ha avviato le celebrazioni per i 150 anni dell'unità d'Italia in un clima di contrasti e divisioni, l'unico a mettere tutti d'accordo, come è spesso accaduto, è il presidente della Repubblica.

Proprio per il rispetto dovuto a quel "galantuomo" che è Napolitano e che, "richiamandosi al federalismo" dimostra "di essere un esempio da seguire", Umberto Bossi sarà oggi pomeriggio a Montecitorio alla solenne seduta congiunta del Parlamento, affiancato dai ministri Maroni e Calderoli e, probabilmente, dai governatori. Questo nonostante il leader della Lega abbia continuato fino all'ultimo ad alimentare la "suspance" su quanto avrebbe fatto il giorno dopo. In una nota diffusa in serata l'ufficio stampa del senatur non prevedeva per oggi alcun impegno.

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Saranno sicuramente assenti i capigruppo del Carroccio di Camera e Senato Marco Reguzzoni, che resterà con le sue figlie, visto che "gli asili saranno chiusi", e Federico Bricolo. Per garantire una rappresentanza del partito, come per la festa del 2 giugno, una piccola pattuglia di parlamentari leghisti parteciperà, però, alla cerimonia, mentre il resto del movimento trascorrerà la giornata di oggi sul territorio, per dimostrare la contrarietà al giorno festivo. Di fatto, la Lega, come partito, diserterà la festa. La scelta di Bossi, destinata astutamente ad accontentare al tempo stesso governo e base leghista, ha però creato non pochi imbarazzi a Silvio Berlusconi e al resto della maggioranza e sollevato le durissime reazioni dell'opposizione, che ha chiesto al premier di renderne conto.

Berlusconi si prepara così alle celebrazioni del 150esimo anniversario dell'unità di Italia con un'ulteriore grana. In un messaggio pubblicato sul sito del governo, e chiaramente indirizzato agli alleati lumbard, il premier ha spiegato che "nel programma delle celebrazioni abbiamo previsto delle iniziative che consentiranno di dare valore anche alle differenze e far sì che ogni frammento dell'universo italiano trovi il modo di valorizzare se stesso.

Tutto questo però nel più rigoroso rispetto dell'unità dello stato nazionale, nella consapevolezza che questa unità è il frutto più alto di queste diversità". In completa sintonia con il capo dello Stato, che in serata ha spiegato che "se fossimo rimasti divisi in otto Stati come eravamo nel 1860 saremmo stati spazzati via dalla storia", il Cavaliere ha quindi sottolineato che "senza la memoria del nostro passato, della nostra storia, della nostra cultura, delle vicende storiche che hanno portato all'unità d'Italia saremmo tutti più deboli".

Le parole del premier non riescono a evitare la defezione del grosso dei parlamentari leghisti alle celebrazioni di oggi. L'opposizione, con Massimo D'Alema, parla così di "scandalo intollerabile" e accusa il premier, mentre di "maggioranza finita" parla Pierluigi Bersani. La critica che brucia di più al Pdl sembra però essere quella dei centristi che, con Lorenzo Cesa, osservano come una parte della maggioranza nutra ancora un sentimento secessionista.

In serata intanto Napolitano ha ricevuto dal presidente Usa, Barack Obama, comunicazione dell'ufficiale proclamazione del 17 marzo 2011 "Giorno della celebrazione del 150esimo Anniversario dell'unificazione d'Italia". Con questo gesto, si legge in una nota del Quirinale, Obama ha voluto anche "onorare la continua amicizia tra i due popoli".

 

Europa e coraggio, i perché di una festa

di Emma MarcegagliaCronologia articolo17 marzo 2011

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Argomenti: Imprese | Montedison | Asia | Giuseppe Taliercio | Carlo Ghiglieno | Piero Coggiola | Sergio Gori | Antonino Polifroni | Gennaro Musella

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2011 alle ore 09:18.

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Europa e coraggio, i perché di una festa. Nella foto il Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia (Imagoeconomica)Europa e coraggio, i perché di una festa. Nella foto il Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia (Imagoeconomica)

Non si possono avere dubbi. Sì, l'anniversario dell'Unità italiana merita di essere celebrato. Tanto che Confindustria sin dall'anno scorso ha deciso di unire in una medesima cornice il festeggiamento dell'Unità nazionale e il suo centenario. E proprio questo spirito fu colto e apprezzato dal videomessaggio del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, alla nostra assemblea annuale del maggio scorso. Le sue parole sono state il miglior modo per unire idealmente il nostro centenario alla cornice nazionale in cui esso viene a cadere: i 150 anni dell'Unità d'Italia.

Il Capo dello Stato in questi mesi ha sovente richiamato l'intero Paese a rinnovare nel centocinquantesimo dell'Unità il valore profondo della nostra esperienza nazionale. Dai moti risorgimentali al compimento politico, amministrativo e istituzionale dello Stato Unitario, anelito popolare e lungimiranza delle classi dirigenti dell'epoca seppero insieme gettare in pochi decenni una radice profonda. Superando secoli di divisione e frazionamento che avevano allontanato il nostro Paese dalla scena della storia, l'Italia venne restituita alla possibilità di mettersi in pari con chi l'aveva preceduta nella realizzazione di un grande Stato nazionale, presupposto per la modernità e la crescita non solo economica, ma innanzitutto sociale, civile e culturale.

All'Unità italiana, i ceti imprenditoriali offrirono un apporto molto rilevante. L'unificazione del Paese, sin dai primi studi giovanili di Cavour e dalle sue esperienze in Francia e Gran Bretagna, non era solo un progetto di espansione dinastica e dello Stato sardo, ma la realizzazione di un più vasto mercato, la condizione per ottimizzare nuove tecniche agricole, l'espansione delle seterie e del tessile, una più ampia base per la manifattura agli inizi, l'abolizione di infiniti ostacoli daziari e protezionistici nel mercato interno. Tra i fondatori di Confindustria, un secolo fa, molti erano gli ex patrioti, che giovanissimi avevano impegnato la propria vita e spesso i propri averi, al servizio dell'Unità.

Era ex garibaldino Giovanni Battista Pirelli, il pioniere della gomma italiana. Aveva partecipato 18enne alle Cinque giornate di Milano, Giuseppe Candiani, e aveva combattuto nelle prime due guerre d'Indipendenza, prima di diventare ai primi del 900 guida della maggior azienda chimica italiana. La storia è inevitabilmente fatta di riletture critiche e continue revisioni. Nessuno può negare che nel processo unitario vi furono contraddizioni e anche generose illusioni, se pensiamo ai persistenti e gravi divari che a tutt'oggi restano da colmare nella diversificata realtà del nostro Paese e soprattutto al Sud. Ma niente di tutto ciò può mettere in discussione il valore dell'Unità.

 

 

La storia del tricolore

Cronologia articolo3 marzo 2011

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Argomenti: Società dell'informazione | Carlo Alberto di Savoia | Repubblica Cisalpina | Fratelli Bandiera | Questo

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Questo articolo è stato pubblicato il 03 marzo 2011 alle ore 11:31.

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La prima bandiera italiana con lo stemma della Casa Reale di Sardegna, Torino, Museo del RisorgimentoLa prima bandiera italiana con lo stemma della Casa Reale di Sardegna, Torino, Museo del Risorgimento

di Andrea Curiat

Verde, bianco, rosso. L'Italia compie 150 anni, ma la storia del tricolore è ancora più antica. "La bandiera della repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni". Questo recita l'Articolo 12 della nostra Costituzione, come stabilito il 24 marzo del 1947 dall'Assemblea Costituente. Una decisione salutata da applausi "vivissimi, generali, prolungati". Difficile comprendere realmente l'emozione di quel momento senza conoscere la storia che ha reso la bandiera il vero simbolo dell'unità del popolo italiano.

Il modello di bandiera con tre fasce di uguali dimensioni è figlio della Rivoluzione Francese e dello stendardo del 1790. Non è un caso che in Italia sia stato portato dalle truppe napoleoniche che attraversarono il paese tra il 1796 e il 1799, disgregando - seppur temporaneamente - il precedente sistema di stati sovrani in cui era divisa la penisola. Le effimere repubbliche giacobine che ne presero il posto adottarono tutte il modello di bandiera tripartita, seppure in fogge e colori diversi. In questo contesto compare per la prima volta l'insieme di bianco, rosso e verde fra le truppe della Legione Lombarda che affiancarono l'esercito di Bonaparte. Il bianco e il rosso venivano dallo stemma comunale di Milano (come il blu e il rosso della bandiera francese erano i colori simbolo di Parigi), mentre il verde era il colore della guardia civica milanese.

foto

Fratelli d'Italia

Uomini e battaglie che hanno fatto l'Italia

I presidenti d'Italia

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Dalla Legione Lombarda i colori passarono in eredità alla più ampia Legione Italiana, che includeva le truppe emiliano-romagnole, e infine alla bandiera della Repubblica Cisalpina, adornata al centro da uno stemma raffigurante un turcasso contenente quattro frecce, circondato da un serto di alloro e ornato da un trofeo di armi.

Il Congresso di Vienna e la Restaurazione posero termine alle brevi vite della Repubblica Cisalpina e delle sue consorelle nella penisola. Ma il tricolore riemerse tra le fila dei ribelli durante tutti i moti d'indipendenza, dal '31 sino al '48, sventolato dai fratelli Bandiera come dai seguaci del Mazzini. Lo stesso Carlo Alberto di Savoia, nel proclamare la prima guerra d'indipendenza il 23 marzo del 1848, annunciò ai cittadini: "per viemmeglio dimostrare con segni esteriori il sentimento dell'unione italiana vogliamo che le Nostre Truppe portino lo Scudo di Savoia sovrapposto alla Bandiera tricolore italiana".

Dopo la proclamazione del Regno d'Italia 150 anni fa, nel 1861, sino alla nascita della Repubblica, nel 1946, il tricolore divenne la bandiera simbolo dell'unità dello Stivale: per consuetudine prima, per legge nel 1925. Al centro della fascia bianca, all'epoca, campeggiava ancora lo scudo dei Savoia circondato d'azzurro e la corona reale: venne eliminato solo in seguito al referendum istitutivo della Repubblica.

Un dossier completo sulla storia del tricolore è reperibile sul sito web del Governo italiano.

 

 

Nelle parole degli italiani la fierezza del vero made in Italy

Cronologia articolo17 marzo 2011

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Argomenti: Cinema | Giorgio Napolitano | Giuseppe Verdi | Rita Levi Montalcini | Armani | Sofia Loren | Roberto Benigni | Italia | IPR

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2011 alle ore 09:20.

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Sondaggio: la fierezza del vero made in ItalySondaggio: la fierezza del vero made in Italy

di Andrea Curiat

Il 90% degli italiani ritiene che il 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia sia una data da festeggiare. I personaggi storici che rappresentano al meglio il Paese? Su tutti, Garibaldi (secondo il 95% degli italiani), Giuseppe Verdi (per il 92%), e poi, a pari merito, Dante, Leonardo e Michelangelo (per il 91%). Tra le personalità di spicco dei nostri giorni, grande consenso sul presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (81%), sul comico toscano Roberto Benigni (80%) e sullo stilista Giorgio Armani (74%).

Tra i simboli dell'Italia al femminile spiccano invece personalità della politica come Rita Levi Montalcini (90%), del cinema come Sofia Loren (86%) e del mondo della musica come Mina (79%). Sono i risultati di un sondaggio condotto da IPR Marketing per Il Sole 24 Ore in occasione del 150esimo anniversario dell'Unità nazionale, su un campione di 1.000 adulti selezionati per sesso, età e area di residenza in modo da essere rappresentativi della popolazione italiana.

documenti

* Il sondaggio sull'unità d'Italia

Secondo Antonio Noto, direttore di IPR Marketing, "l'analisi restituisce il quadro di un'Italia che è al tempo stesso emozionata dalla ricorrenza e timorosa per il futuro. Il 61% degli italiani è contento di vivere nel Belpaese, e il 53% esprime un grado di soddisfazione compreso tra il 6 e 7 su una scala dall'1 al 10. Dal sondaggio, però, emerge anche che il 48% degli italiani non consiglierebbe a un amico che vive all'estero di investire in aziende italiane. Il 60% non prevede di acquistare un'auto o di effettuare un investimento finanziario nel corso del prossimo anno, mentre il 70% eviterebbe di comprare casa o di avviare un'attività imprenditoriale di qui ai prossimi 12 mesi".

Ma ci sono anche altri segnali contrastanti. Dovendo indicare le tre cose per cui vale la pena essere italiani, il 63% cita il patrimonio artistico e culturale del Paese, il 45% il mangiar bene e la buona cucina mediterranea, il 29% la bellezza del territorio. Questi stessi fattori, insieme alla moda, sono quelli che meglio rappresentano in positivo l'Italia all'estero. "La cosa interessante - rileva Noto - è che in queste ultime due classifiche la democrazia e la classe politica italiana compaiono agli ultimi posti, e con percentuali davvero marginali".

 

 

Una vera prova di dialogo ma restano due incognite

di Massimo BordignonCronologia articolo17 marzo 2011

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Argomenti: Federalismo

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2011 alle ore 08:50.

L'ultima modifica è del 17 marzo 2011 alle ore 09:30.

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La nuova versione del decreto legislativo sul federalismo regionale e provinciale dovrebbe sottotitolarsi "prove tecniche di dialogo". Il ministro Calderoli ha accolto molte delle proposte dell'opposizione, oltre a recepire per intero i cambiamenti decisi con l'accordo dello scorso dicembre con le regioni. Le modifiche sono tante e di rilievo. Intanto, l'anno zero del federalismo regionale è ora fissato al 2013, riportando a quella data tutti quegli interventi che nel testo originario avvenivano in anni diversi.

 

Così nel 2013 sarà definita la nuova aliquota base per l'addizionale regionale all'Irpef, che dovrebbe compensare le regioni per l'abolizione dei trasferimenti (anche se l'autonomia regionale su questo tributo dovrebbe essere riattivata a partire dall'anno in corso), verrà fissata la nuova compartecipazione regionale all'Iva con i nuovi criteri di riparto, partirà il nuovo fondo perequativo che dovrebbe finanziare per intero le funzioni fondamentali delle regioni e parzialmente le altre. Come richiesto dall'opposizione, è ora anticipata in questo decreto anche l'introduzione della Conferenza permanente, la nuova commissione intergovernativa che dovrebbe presiedere all'attuazione del federalismo, è meglio precisato il sistema di finanziamento delle future città metropolitane, è definita una metodologia per la definizione dei fabbisogni anche nel campo dell'assistenza (la Sose si occuperà anche di questo), è migliorato il sistema degli incentivi per le regioni efficienti.

Scompaiono anche previsioni palesemente incostituzionali, quali il fatto che l'autonomia tributaria delle regioni si potesse esercitare su tutti gli scaglioni di reddito solo per i lavoratori autonomi, o palesemente insostenibili, quali il fatto che l'esercizio dell'autonomia tributaria regionale non avrebbe comunque dovuto modificare la pressione tributaria per ciascun contribuente. Infine, dulcis in fundo, è prevista dal 2012 anche la revisione dei tagli dei trasferimenti decisi l'anno scorso (per oltre 6 miliardi) per regioni e enti locali, purché questi ultimi rispettino i patti di stabilità interna e compatibilmente con "gli obiettivi di finanza pubblica assunti in sede europea". In sostanza, una promessa molto attesa dagli enti locali, anche se non si sa quanto effettivamente realizzabile.

Nel complesso, si tratta dunque di un deciso miglioramento rispetto al testo precedente. E tuttavia restano ancora immodificati i nodi più problematici del provvedimento. Come nella versione precedente, i costi standard per la sanità (e in prospettiva per le altre funzioni fondamentali) non giocano in realtà nessun ruolo nel riparto delle risorse, né nell'immediato né in futuro, così che non si capisce bene come potrebbero davvero stimolare quella ripresa di efficienza per le regioni che rappresentano il motivo per la loro introduzione.

Rimane inalterato anche il problema della "sovranità limitata" che il governo sembra disposto a concedere alle regioni, come se anche in un testo che in teoria dovrebbe introdurre il federalismo fiscale si mantenesse comunque una sorta di sfiducia profonda nella capacità delle autonomie territoriali. Così, per esempio, le regioni possono ridurre l'Irap, ma solo se non aumentano l'addizionale Irpef più dello 0.5% - e non si capisce bene perché. Ancora, le regioni devono abolire (sempre dal 2013) gli attuali trasferimenti regionali a province e comuni del loro territorio e sostituirli con compartecipazioni e con fondi di riequilibrio, uno per i comuni e l'altro per le province. Ma per qualche ragione non sono libere di definire le risorse che finanzieranno questi fondi, con l'effetto paradossale che se le risorse fissate ex ante nel decreto si riveleranno insufficienti, alcuni comuni e province di troveranno necessariamente penalizzati, senza di nuovo che se ne capisca bene la ragione.

Infine, resta il problema che i vari vincoli politici hanno finito con il sovraccaricare il ruolo dell'Irpef rispetto agli altri tributi nel nuovo sistema di finanziamento degli enti locali. Il problema principale dell'Irpef come tributo regionale, oltre al fatto di pesare in modo sproporzionato sui redditi da lavoro dipendente e assimilati, è che la sua base imponibile è fortemente sperequata sul territorio. E la previsione del decreto di concentrare l'autonomia regionale solo sugli scaglioni più alti, per quanto comprensibile sul piano distributivo, finirà necessariamente per esacerbare ulteriormente il problema, perché la distribuzione del reddito negli scaglioni più alti è molto più sperequata di quella del totale del reddito Irpef.

 

 

Centocinquant'anni di Unità d'Italia. La trappola di credere che non siamo una nazione

di Stefano FolliCronologia articolo17 marzo 2011Commenta

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Argomenti: Italia | Centocinquant'

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2011 alle ore 08:13.

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La trappola di credere che non siamo una nazioneLa trappola di credere che non siamo una nazione

È singolare che qualcuno si preoccupi di un eccesso enfatico nelle celebrazioni dei 150 anni dell'Unità. A dire il vero in tali manifestazioni non si scorge traccia né di enfasi né di retorica. Non solo per l'ottimo lavoro svolto dal comitato presieduto da Giuliano Amato (e prima di lui da Carlo Azeglio Ciampi), ma soprattutto perchè l'atmosfera di questo 17 marzo è tale da suggerire una generale sobrietà.

Si è detto che il modo giusto di celebrare consiste nel riflettere sull'identità italiana, sulle sue opportunità e i suoi limiti. Ma non è ciò che sta accadendo? In una nazione che troppo spesso è priva di memoria e non crede nel futuro, quasi vivesse in un eterno presente, il centocinquantenario ha spinto molti a riflettere. Forse è la prima volta che accade. Nel 1911 i primi cinquant'anni furono festeggiati - mentre le nostre trupe occupavano la Libia - nel registro glorioso di un'Italia che si pretendeva grande fra i grandi nel concerto europeo.

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Uomini e battaglie che hanno fatto l'Italia

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Nel 1961 il centenario coincise con il miracolo economico al suo culmine. L'espansione non era più militare, bensì industriale e di costume. Oggi invece c'è un declino da contrastare, meglio se con ottimismo e tenacia. C'è un paese che tende a lacerarsi da mantenere unito. L'anniversario rappresenta una discriminante. Si tratta di guardare al passato per ritrovare il senso di una storia nazionale, ma al tempo stesso siamo consapevoli che l'Italia del 2011 non può fare a meno di proiettarsi nel futuro, rimuovendo gli ostacoli che bloccano la strada.

Del resto, il passato divide meno di quanto si creda. Nonostante certi sforzi degni di miglior causa, il "revisionismo" risorgimentale non convince; più che altro perchè non poggia su alcuna novità frutto di ricerca, ma ripropone vecchi e arcinoti motivi polemici. Le opere revisioniste che hanno invaso le librerie non aiutano in nulla o quasi la comprensione dei fatti così come si sono svolti.

Del Risorgimento e dei suoi attori sappiamo pressochè tutto, semmai ce ne dimentichiamo. Conosciamo anche le contraddizioni o se si vuole gli errori commessi in certi casi dalla classe dirigente post-unitaria. Tutto è stato già scritto con l'autorevolezza dei grandi storici. Chi irride al processo di riscatto nazionale, alle sue forme e ai suoi protagonisti, in realtà asseconda obiettivi politici che nulla hanno a che fare con l'analisi storica. Quindi il problema non è "ridiscutere" il Risorgimento, bensì evitare le trappole. La principale consiste nel credere che non siamo una nazione. Questo è il punto su cui occorre fare chiarezza in occasione del 17 marzo. Il futuro ha diversi volti, a seconda di quale idea d'Italia si affermerà nei prossimi tempi.

Tutti dicono "federalismo", la parola magica del centocinquantenario. Ma è evidente che il federalismo (fiscale, amministrativo, soprattutto istituzionale) ha un senso solo se poggia su di un forte senso nazionale. Nel federalismo l'identità è più solida, non più debole. Chi sostiene il contrario sta truccando le carte. Negli Stati Uniti l'altra faccia dell'impianto federale è un patriottismo talmente vigoroso che talvolta è sfociato nel nazionalismo. Viceversa, in Belgio si è arrivati a un passo dalla secessione.

Cosa vuol dire? Che le polemiche sul passato sono folkloristiche, ma possono diventare pericolose quando nascondono l'intenzione di dividere gli italiani, lasciando filtrare l'impressione che l'Italia non è mai veramente nata e anzi è una costruzione artificiosa. Finchè permane questa ambiguità, alimentata in particolare dalla Lega, il futuro è incerto. Il 17 marzo sarà un successo se sapremo riconoscere questo nodo cruciale e scioglierlo. Poi ben venga il federalismo, se vuol dire nel tempo maggiore efficienza delle amministrazioni locali e regionali, minor debito, uno Stato meglio articolato e più moderno.

Oggi rispondere agli interrogativi del 17 marzo significa uscire dalla gabbia di questo eterno presente grigio e pervasivo, così da riannodare senza imbarazzi i fili del passato, cioè di una storia nazionale che riguarda il Nord come il Sud. E' una memoria che non può essere rimossa o peggio rinnegata perchè tutti pagheremmo un prezzo altissimo a un tale assurdo ripudio.

Speciale Centocinquant'anni d'Italia

 

 

 

 

 

Al Gianicolo Napolitano scopre una targa della Costituzione. Contestati Berlusconi e La Russa

di Nicoletta Cottone e Claudio TucciCronologia articolo17 marzo 2011

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Argomenti: Governo | Forze Armate | Pattuglia Acrobatica Nazionale | Vittorio Emanuele II | Camera dei deputati | Senato | Aviazione Militare | Gianfranco Fini | Roma

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2011 alle ore 11:09.

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Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano alla cerimonia per i 150 anni dell'Unita' d'Italia al Pantheon, Roma, 17 marzo 2011. Dietro di lui: il premier Silvio Berlusconi e il presidente del Senato Renato Schifani (ANSA / ALESSANDRO DI MEO)Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano alla cerimonia per i 150 anni dell'Unita' d'Italia al Pantheon, Roma, 17 marzo 2011. Dietro di lui: il premier Silvio Berlusconi e il presidente del Senato Renato Schifani (ANSA / ALESSANDRO DI MEO)

Cerimonie ufficiali per festeggiare il 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia. Ecco il racconto degli avvenimenti della giornata.

Ore 11,26 - Berlusconi: "vado avanti, non lascio il paese ai comunisti"

"Vado avanti. Non lascio il paese ai comunisti". Con questa battuta il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi ha scherzato, stamane, con un gruppo di persone che lo ha applaudito al suo arrivo alla cerimonia per i 150 anni dell'Unità d'Italia all'Altare della patria. "Resto per difendermi", ha detto il premier.

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Ore 10,19 - Al Gianicolo cori contro Berlusconi e La Russa

"Dimettiti, dimettiti": questo il coro che un centinaio di persone, assiepato dietro le transenne, ha riservato al premier Berlusconi, al museo della Repubblica romana, al Gianicolo. Ci sono fischi, anche se qualcuno urla al premier per incoraggiarlo: "resisti, resisti". Pochi minuti dopo, all'arrivo del presidente della Repubblica, Napolitano, sono partiti invece applausi. All'uscita dal museo in Porta San Pancrazio dura contestazione contro il ministro della Difesa, Ignazio La Russa: fischi e richiesta di dimissioni. Molte persone hanno invece tentato di stringere la mano al Capo dello Stato, Giorgio Napolitano.. Una signora, professoressa di storia, é riuscita a donargli una confezione di confetti tricolore. A chi augura al capo dello Stato di poter "campare 150 anni", Napolitano risponde scherzando: "Anche qualcosa di meno...".

Ore 10,12 - Venti salve di cannone al Gianicolo

Ventuno colpi a salve sparati dai cannoni, bagno di folla e applausi per l'arrivo del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano al belvedere del Gianicolo, dove è stata scoperta una targa della Costituzione. Il Capo dello Stato è stato accompagnato dai presidenti di Camera e Senato, Gianfranco Fini e Renato Schifani, dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e dai rappresentanti delle amministrazioni locali. Sventolano molte bandiere tricolore. Napolitano ha salutato molti ragazzi che indossavano magliette tricolore o che stavano coprendosi con la bandiera dell'Italia dalla pioggia che è iniziata a scendere, lungo il tragitto verso la statua dedicata a Garibaldi al centro del belvedere del Gianicolo. Cortesia istituzionale da parte del premier, Silvio Berlusconi, che ai cronisti che gli chiedevano un commento sulla festa dell'unità d'Italia ha risposto: "oggi non rilascio dichiarazioni, lasciamole fare al presidente Napolitano".

Ore 9,50 - Applausi per Napolitano al Pantheon

Dopo la prima tappa al Milite ignoto, il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, accompagnato

dal ministro della Difesa, Ignazio La Russa, dai presidenti delle Camere, Schifani e Fini, e dal presidente del Consiglio, Berlusconi, è giunto al Pantheon, dove ha reso omaggio alla tomba di Vittorio Emanuele II, primo re d'Italia. Anche qui il Capo dello Stato, come già era accaduto a Piazza Venezia, all'uscita dal mausoleo, è stato accolto da molti applausi e grida di "viva l'Italia".

Ore 9,45 - Manifesto di contestazione al Pantheon

Fuori programma al Pantheon, durante le celebrazioni per il 150esimo anniversario dell'Unità d'italia. Subito dopo l'ingresso delle autorità, da un balcone di piazza della Rotonda é stato infatti issato un grosso manifesto con la scritta "io non festeggio genocidi, la vita é bella", fatto togliere, un po' bruscamente, da un uomo della sicurezza dopo pochi minuti. Poco prima dell'arrivo del presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, invece, un solitario contestatore ha fischiato l'ex erede al trono Vittorio Emanuele.

Ore 9,15 - Le Frecce tricolori sorvolano l'Altare della Patria

Il cielo della Capitale si é colorato del tricolore più lungo del mondo. Sopra l'Altare della patria, infatti, sono passate le Frecce tricolori, la pattuglia acrobatica nazionale dell'Aeronautica militare. Le frecce sono decollate dall'aeroporto di Pratica di mare e hanno sorvolato piazza Venezia in concomitanza della deposizione della corona di alloro al sacello del Milite ignoto da parte del presidente della Repubblica Napolitano.

Ore 9 - Napolitano depone una corona al monumento del Milite ignoto

Accolto dal ministro della Difesa Ignazio La Russa, il Presidente della Repubblica Giorgio

Napolitano è giunto alle 9 all'Altare della Patria, a Roma, per l'avvio alla cerimonie ufficiali per il 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia. Presenti le massime cariche dello Stato: i presidenti di Senato e Camera Renato Schifani e Gianfranco Fini e il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Dopo l'alzabandiera e l'esecuzione dell'inno d'Italia, Napolitano e La Russa hanno passato in rassegna le forze armate. Infine, il saluto alle alte cariche dello Stato. Il capo dello Stato ha deposto una corona di fiori ai piedi del monumento al Milite ignoto.

 

2011-03-15

Napolitano: con il federalismo l'Italia sarà più ricca e più viva

di Claudio TucciCronologia articolo15 marzo 2011Commenti (5)

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Argomenti: Federalismo | Giorgio Napolitano | Italia

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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2011 alle ore 10:58.

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L'Italia è "più ricca e più viva" con il federalismo: lo scrive il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, nel messaggio inviato alla Conferenza dei presidenti delle assemblee legislative delle regioni e province autonome, in occasione delle assemblee straordinarie che oggi 15 marzo prendono avvio per il 150esimo anniversario dell'unità d'Italia. "Nella costituzione l'identità storica e culturale della Nazione convive con il riconoscimento e lo sviluppo in senso federalistico delle autonomie", sottolinea Napolitano, senza per questo che venga meno il principio "dell'unità e indivisibilità della repubblica".

L'anniversario dell'unità d'Italia, ha ricordato ancora il capo dello Stato, rappresenta il "momento ideale per richiamare alla memoria dei cittadini, delle forze politiche e dei responsabili delle istituzioni regionali e locali gli eventi fondamentali che hanno condotto alla nascita del nostra Stato unitario, e per rafforzare la consapevolezza delle responsabilità nazionali che ci accomunano".

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La costituzione garantisce unità e autonomie

"La nascita dello Stato unitario - ha proseguito Napolitano - ha consentito al nostro paese di compiere un decisivo avanzamento storico, di consolidare l'amore di Patria, di porre fine a una fatale frammentazione, di riconoscerci in un ordinamento liberale e democratico forte dell'esperienza della lotta antifascista". Il capo dello Stato ha ricordato anche l'alto dibattito in seno all'assemblea costituente che "ha portato a identificare ideali e valori da porre a base dell'ordinamento repubblicano. Nella Costituzione l'identità storica e culturale della Nazione convive con il riconoscimento e lo sviluppo in senso federalistico delle autonomie che la fanno più ricca e più viva, riaffermando l'unità e indivisibilità della Repubblica".

Mettere a frutto le risorse e le potenzialità dei territori

Di qui l'invito di Napolitano a mettere a frutto "le risorse e le potenzialità dei territori" e portare avanti "la riflessione sul contributo delle comunità regionali e locali al moto unitario" per "ancorarle in modo profondo e irreversibile al patto che ci lega, ai valori e alle regole della Costituzione repubblicana". "Certo che le celebrazioni corrisponderanno validamente a questi fini - conclude Napolitano - vi ringrazio fin d'ora per la vostra partecipazione ai comuni festeggiamenti e per l'importante contributo delle assemblee da voi presiedute".

 

 

2011-01-08

Bossi: festeggeremo una volta approvata la riforma federalista

Luca OstellinoCronologia articolo08 gennaio 2011

Questo articolo è stato pubblicato il 08 gennaio 2011 alle ore 08:13.

ROMA

"Festeggiare i 150 anni dell'Unità d'Italia? Sì, ma dopo che sarà approvato il federalismo". Per Umberto Bossi sarebbe stato molto più semplice e "politically correct" accogliere senza "puntualizzazioni" di sorta l'invito di Giorgio Napolitano a non ritrarsi dalle celebrazioni della ricorrenza unitaria, anche perché evitarle, secondo il capo dello Stato, non gioverebbe alle "legittime istanze federaliste". Ma Bossi ci ha abituato al suo essere il più delle volte "politicamente scorretto" e dissacrante, in particolare quando gli si chiede di recitare e rispettare il suo ruolo istituzionale di ministro di uno Stato centralista contro cui combatte da sempre.

"Se non si attua il federalismo - ha spiegato ieri il leader della Lega - vorrebbe dire che 150 anni sono passati invano. Perché celebrarli senza il federalismo, con tutto ancora centralizzato a Roma, sarebbe una cosa negativa", ha aggiunto Bossi, avvertendo che "il federalismo è una speranza e che bisognerebbe almeno arrivare a realizzare il progetto di Cavour". Parole che, comunque, rieccheggiano quelle dello stesso Napolitano, che ha ricordato la figura di Cavour, sottolineando come unità nazionale e coesione sociale non significhino centralismo e burocratismo. Lo schema di forte centralizzazione nell'organizzazione politico-territoriale e amministrativa non fu affatto opera di Cavour, che pensava piuttosto a tre grandi formazioni statali nella penisola: del nord, del sud e del centro, ma dei governi immediatamente successivi.

Le parole di Bossi non hanno nulla di sorprendente. Il senatur non può tra l'altro dimenticare la base leghista (che ieri su Radio Padania ha avuto anche accenti polemici nei confronti del capo dello stato), il suo elettorato, alla cui crescita non sono estranei i 50 miliardi di euro che ogni anno passano dal Nord al Sud, come risulta dalle stime (per difetto) del libro di Luca Ricolfi "Il sacco del Nord". Contro il leader della Lega c'è stata comunque una levata di scudi "bipartisan", con duri attacchi da parte di Fli, Idv, Udc e Pd. Il fatto che Bossi non senta la necessità di sottolineare in ogni momento il carattere solidale da dare al federalismo italiano – necessità di cui Gianfranco Pasquino, anche lui come Ricolfi non sospettabile di simpatie leghiste, non capisce la ragione – è un altro motivo di dure accuse alla Lega. Meno polemiche ha provocato Roberto Calderoli. "Io trovo bello che il presidente Napolitano abbia fatto espressa menzione al federalismo, che rappresenta il futuro, e abbia anche ricordato che la Costituzione fa argine a ritorni del nazionalismo". Questo, ha aggiunto il ministro leghista, "non è il momento delle polemiche visto che si sta delineando il cammino delle riforme. Noi pensiamo al futuro, ovvero a trasformare in senso federale l'Italia. Per questo siamo grati al presidente Napolitano". "Ogni parola del capo dello stato – ha concluso – è una sorpresa positiva".

 

 

 

 

Napolitano: anche il Nord ricordi come nacque l'Italia. "Su Battisti non ci siamo fatti capire"

Cronologia articolo8 gennaio 2010Commenta

Questo articolo è stato pubblicato il 08 gennaio 2011 alle ore 12:37.

"Mi auguro che l'esempio di Forlì venga seguito anche altrove, in tutte le parti del paese, come Milano, Venezia e Verona, affinché, al pari della Romagna, sappiano come divennero italiane". Con queste parole il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in visita nella città romagnola per le celebrazioni del 150esimo dell'Unità d'Italia, ha auspicato una riscoperta delle radici storiche locali e della coscienza unitaria in tutte le parti del paese.

Vi spiego perché adesso il 150° dell'Unità diventa un passaggio politico delicato (di Stefano Folli)

Il presidente della Repubblica ha preso spunto, elogiandolo, dall'intervento del sindaco di Forlì Roberto Balzani che al teatro Fabbri, dov'era previsto l'incontro con Napolitano, anzichè un rituale intervento ha fatto un racconto, con immagini, musiche e interpretazioni sceniche su "come fu che la Romagna divenne italiana". "Un modo - ha detto Napolitano - di avere coscienza delle proprie radici, del proprio contributo al voto unitario" che ha saputo, secondo il presidente, "far rivivere questa sua storia nel modo più efficace. Un esempio che mi auguro venga seguito altrove".

Balzani, nella sua rappresentazione, ha ripercorso alcune tappe del Risorgimento romagnolo che sono sfociate poi nel processo che ha portato all'unità d'Italia, a cominciare dalla grande fuga di Garibaldi che, attraversando queste terre, creò un grande sentimento patriottico. Ed ha ricordato e tratteggiato, tracciando anche un quadro dei caratteri regionali, figure significative di patrioti romagnoli, come Piero Maroncelli, Leonida Montanari, Primo Uccellini, Aurelio Saffi, Felice Orsini e Luigi Carlo Farini.

"Su Battisti non siamo riusciti a farci capire"

Giorgio Napolitano ritiene che la mancata estradizione di Cesare Battisti sia dovuta anche all'incapacità della cultura e della politica italiana di trasmettere il significato vero degli anni del terrorismo in Italia. "Non siamo riusciti a far comprendere anche a paesi amici vicini e lontani cosa hanno significato", ha detto in un intervento fuori programma nella sala preconsigliare del comune di Ravenna, dove si è recato in visita dopo Forlì.

Napolitano ha preso spunto dal commosso ricordo di Arrigo Boldrini e Benigno Zaccagnini, commemorati da Sergio Zavoli come due grandi figli di Ravenna, due persone provenienti da culture e storie diverse fra i quali si era istaurata una grande amicizia umana e politica.

Napolitano si è chiesto se non corriamo il rischio che si disperda la memoria e la consapevolezza dei rischi che corse l'Italia negli anni della lotta al nazifascismo e dall'attacco terroristico alla Repubblica. "Questo rischio esiste ed è grave. Vicende tristi dei giorni scorsi - ha detto - ci inducono a pensare che non siamo riusciti a far comprendere anche a paesi amici vicini e lontani cosa abbia significato per noi quella vicenda del terrorismo e quale forza straordinaria sia servita per batterlo. Forse è mancato qualcosa nella nostra cultura e nella politica, qualcosa in grado di trasmettere alle nuove generazioni cosa accadde davvero in quegli anni tormentosi (il riferimento in particolare al sequestro di Aldo Moro, ndr) che Benigno Zaccagnini superò con straordinaria tempra, dolore e coraggio".

Orlando (Idv): la Lega smetta di offendere l'unità

Il giorno dopo le polemiche scaturite dalle affermazioni del leader della Lega Nord Umberto Bossi sulle celebrazioni dell'Unità d'Italia, Leoluca Orlando, portavoce dell'Idv, torna sul tema: "Dopo le parole di Napolitano ci auguriamo che non si ripetano più quei tentativi, antistorici e dannosi, di attentare all'unità del nostro paese. Se la Lega ha veramente a cuore un federalismo che si ispiri agli ideali di responsabilità e unità - prosegue Orlando - colga l'occasione e ascolti il monito del Capo dello Stato. Bossi e i suoi la smettano di assumere comportamenti che sono offensivi verso quanti, dal sud al nord, vivono l'orgoglio di essere italiani". "L'insistenza della Lega ad avere atteggiamenti di offesa verso la bandiera e l'unita rende assolutamente irricevibile qualunque tipo di federalismo", conclude.

Borghezio: Napolitano "non si allarghi troppo"

Ma a intervenire nel dibattito è anche Mario Borghezio, eurodeputato leghista: "Il galantuomo Napolitano ha certamente tutto il diritto e il dovere istituzionale di celebrare l'Unità d'Italia nel 150/mo anniversario. Quando però, come ha fatto imprudentemente oggi, esorta le città del nord ad unirsi al suo entusiasmo unitario rischia di superare indebitamente le sue prerogative, in quanto tale pressante invito contrasta palesemente con le scelte, quanto meno molto critiche verso l'unitarismo statuale, che liberamente e democraticamente la maggioranza degli elettori del nord ha fatto con il voto, reiterato e convinto, alla Lega Nord per l'indipendenza della Padania". Nella nota Borghezio aggiunge: "Detto con il massimo rispetto e garbo dovuti "non si allarghi troppo, signor Presidente", e tenga conto che per noi del nord lo stato unitario rappresenta storicamente soprattutto tasse, sprechi, clientelismo, assenteismo pubblico, parassitismo e, non raramente, anche mafia".

 

 

 

150 candeline per ricordare a tutti che siamo Stato noi

di Michele AinisCronologia articolo8 gennaio 2011

Questo articolo è stato pubblicato il 08 gennaio 2011 alle ore 10:23.

Se 150 anni vi sembran pochi, forse non avete tutti i torti. Se l'unità nazionale è ancora una creatura acerba, nonostante abbia un secolo e mezzo di vita sul groppone, dev'esserci pure una ragione. Intanto si moltiplicano gli effetti di questa condizione, ciascuno può stilarne un inventario. La reazione scomposta del ministro Bossi alle parole pronunciate ieri dal presidente Napolitano sulla necessità di rispettare il tricolore. Il caso Battisti, con la sua coda di reazioni goffe e tardive da parte del governo, mentre i partiti inscenavano proteste davanti a pochi passanti infreddoliti (a Firenze cinque in tutto), e badando bene a non confondere le truppe. Insomma uniti sì, ma senza esagerare. La commistione fra pubblico e privato, riassunta dalla doppia residenza da cui governa Berlusconi: in quella pubblica (palazzo Chigi) incontra gli ospiti stranieri, in quella privata (palazzo Grazioli) riceve i suoi ministri, mentre ai sindaci tocca viaggiare fino ad Arcore, com'è successo a Renzi. La sfiducia nelle istituzioni del paese da parte delle stesse istituzioni: l'ultimo episodio si deve al ministro Bossi, che ha trovato un arredo di microspie sotto i tappeti, e tuttavia non ha sporto denuncia perché si sa, non serve a nulla.

Ma almeno in questo il sentimento del popolo votato riflette quello del popolo votante. Un anno fa l'Eurispes stimava al 39% il grado di fiducia che gli italiani accordano alla Repubblica italiana. Basso, ma pur sempre un po' di più rispetto all'anno prima. Invece nel corso del 2010 l'ago del sismografo è precipitato sottoterra. A giugno la Fondazione NordEst ha registrato un calo di fiducia degli imprenditori su tutte le grandi istituzioni, dal governo (23 punti in meno) alle regioni (quelle meridionali vengono bocciate da 3 persone su 4). A settembre la Confesercenti ci ha raccontato che peggiora anche il tasso di gradimento dell'opposizione (un misero 11%), dei sindacati (15%), delle banche (9%). A novembre l'Indice di fiducia dei lavoratori dipendenti sulle istituzioni nazionali e sovranazionali si è fermato al 23%. Senza contare le accuse solitarie, come quella del presidente dell'Associazione caduti di Piazza della Loggia, che ha dichiarato tutto il suo disappunto nei riguardi dello stato, dopo l'ennesimo processo per strage concluso con un'assoluzione.

Eccolo infatti il solo afflato unitario di cui siamo capaci: un sentimento di ripulsa, una scomunica corale verso tutto ciò che è pubblico, di tutti. Qui davvero non c'è troppa differenza fra i milanesi sondati dall'Istituto Piepoli, che nel 2011 punteranno sulla famiglia per difendersi dalle angherie di stato; i napoletani intervistati dal Mattino, che dopo mesi di monnezza nelle strade pensano che il sindaco sia una figura inutile, una poltrona da abolire; o magari il 71% di sanniti che diffida dei controlli sulla sicurezza alimentare, come attesta un'altra indagine appena divulgata.

Hanno (abbiamo) tutti torto? Può darsi, anche se a dicembre Transparency International ha misurato un milione d'italiani coinvolti in fatti di corruzione, per ottenere permessi o per le utilities, per prestazioni sanitarie o giudiziarie, per ogni servizio erogato dallo Stato. Naturale che poi 4 italiani su 5 ritengano corrotto il Parlamento, non meno che la stampa, la tv, le imprese.

C'è allora una lezione che dovremmo rammentare, nell'anno del nostro compleanno collettivo. Lo Stato è una finzione del diritto, un'entità astratta senza gambe, né muscoli, né denti per sorridere. Eppure questa finzione plasma l'identità di un popolo, o meglio la rende possibile di fatto, perché trasforma il popolo in un'istituzione. Siamo noi, lo Stato. Siamo noi, le istituzioni che bruceremmo volentieri in un falò. Sicché c'è del paradossale nella malattia che ci contagia, nel malanimo verso lo Stato, e dunque verso l'unità degli italiani. Perché altro è denunciare un'ingiustizia o un disservizio, altro è al limite la rabbia; altro è la sfiducia, il disinteresse, il divorzio fra popolo e Palazzo.

Può aiutarci una norma scritta sessant'anni addietro, per ritrovare il filo di quest'unità perduta? È una norma sconosciuta ai più: l'articolo 54 della Costituzione. In primo luogo pone ai cittadini "il dovere di essere fedeli alla Repubblica"; ma se tua moglie, ormai, non la guardi più neppure in faccia, difficilmente le sarai fedele. In secondo luogo reclama "disciplina ed onore" nell'esercizio delle funzioni pubbliche, dunque nel mestiere cui si dedicano i nostri governanti; i quali tuttavia, negli ultimi anni, devono essersi distratti, oppure non hanno tempo da sprecare in codici e pandette. E invece no, troviamolo un po' tutti questo tempo. Anche se 150 anni ci sembran pochi.

michele.ainis@uniroma3.it

 

 

 

 

Ora il 150° dell'Unità diventa un passaggio politico delicato

di Stefano FolliCronologia articolo08 gennaio 2011

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Questo articolo è stato pubblicato il 08 gennaio 2011 alle ore 10:13.

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Fino a ieri il 150esimo anniversario dell'unità d'Italia poteva essere visto in due modi: come un'occasione da passare sotto silenzio e contro cui avviare addirittura un blando boicottaggio (linea leghista); oppure come un evento di scuola, da rievocare con la dovuta dose di retorica per archiviarlo appena possibile (posizione più o meno dichiarata di un ampio arco politico).

Giorgio Napolitano ha scelto una terza via e ora il 150esimo rischia di porre qualche scomodo interrogativo ai vari attori e comprimari del palcoscenico politico. La terza via del presidente riguarda il rispetto dovuto al Tricolore in quanto vessillo nazionale. Proprio chi crede nel federalismo e quindi nel rinnovamento istituzionale dovrebbe aderire con convinzione ai valori dell'Unità, simboleggiati dalla bandiera. Il federalismo, in sostanza, ha bisogno di una solida cornice unitaria.

Il sottinteso è fin troppo chiaro. Chi non rispetta il Tricolore manifesta il suo disprezzo verso l'Unità. Ma chi non crede all'Unità non vuole nemmeno un autentico federalismo e il rinnovamento istituzionale: vuole una forma di secessione, più o meno mascherata. Napolitano questo non lo ha detto, ma era la preoccupazione implicita nel suo discorso di Reggio Emilia. La città dove nel 1797 il Tricolore sventolò per la prima volta come bandiera della Repubblica Cispadana.

Repubblica Cispadana... L'area geografica e quel nome così evocativo dovrebbero suggerire qualcosa ai leghisti. Purtroppo essi tendono invece a crogiolarsi in un revisionismo anti-risorgimentale alquanto sconfortante. E anche poco utile, visto che ormai il federalismo fiscale, salvo clamorosi colpi di scena, è alle porte. Quindi anche l'affermazione di Bossi ("festeggeremo l'anniversario dopo che avremo superato il centralismo") sembra un gioco di parole. In realtà la Lega è a un passo dal vincere la sua battaglia (semmai si tratterà di capire in seguito se il federalismo funzionerà, se servirà a razionalizzare le spese, se cambierà in meglio la vita dei citadini).

Che senso ha quindi ostentare fastidio verso la bandiera nazionale, come accade spesso negli ambienti del Carroccio? La risposta è solo una: lo spirito anti-unitario serve alla Lega, ai vari livelli, per mantenere la compattezza dell'elettorato. Come è noto lo stesso Bossi, in anni ormai lontani, ma non remoti, usava insultare il Tricolore. Ma proprio questa esigenza dimostra l'ambiguità del federalismo nella concezione leghista: uno strumento per rafforzare l'unità del paese o per prepararne la divisione?

L'uscita di Napolitano è destinata a fare chiarezza sul nodo politico, nell'interesse stesso della Lega. Il partito rappresenta ormai una porzione talmente ampia dell'elettorato settentrionale che può solo trarre maggiore forza da una prova di maturità. Tanto più che il capo dello Stato non ha riproposto vecchi stereotipi. Al contrario, a Forlì si è spinto a parlare di "vecchie tare che ci siamo portati dietro". E della necessità di "superare il vizio d'origine del centralismo statale d'impronta piemontese", attuando il titolo V della Costituzione.

Sarà per questo che la Lega ha tenuto bassi i toni polemici. Anzi, il ministro Calderoli ha persino ringraziato il presidente. L'esponente leghista cammina un po' sulle uova, ma è evidente che il Carroccio non vuole incidenti di alcun tipo prima del "sì" definitivo al federalismo. Ma il punto politico ora è sul tavolo.

 

 

 

 

Richiamo di Napolitano alla Lega

Dino PesoleCronologia articolo08 gennaio 2011

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Questo articolo è stato pubblicato il 08 gennaio 2011 alle ore 08:13.

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ROMA.

L'obbligo di rispettare il tricolore è previsto dall'articolo 12 della Costituzione. Non è un caso, osserva Giorgio Napolitano inaugurando a Reggio Emilia le celebrazioni per i 150 anni di unità nazionale. Riferimento "sobrio, essenziale, ma imprescindibile, una scelta non solo simbolica ma di principio". Poiché - aggiunge - nessun gruppo politico ha mai chiesto che vengano sottoposti a revisione quei principi fondamentali della nostra Costituzione, "ciò dovrebbe significare che per tutti è pacifico l'obbligo di rispettarli". In conclusione, comportamenti "dissonanti non corrispondono alla fisionomia e ai doveri di forze che abbiano ruoli di rappresentanza e di governo". Il presidente della Repubblica parla direttamente alla Lega nord, partito di governo che ha "un significativo ruolo di rappresentanza democratica sul piano nazionale, e in misura rilevante in una parte del paese": il ritirarsi, o il trattenere le istituzioni dall'impegno per il centocinquantenario - osserva - non giova a nessuno. Né tanto meno renderà "più persuasive, potendo invece solo indebolirle, legittime istanze di riforma federalistica e di generale rinnovamento dello Stato democratico". Unità, dunque, coesione per respingere tutti gli "impulsi disgregativi". Parole per nulla attenuate dall'aggiunta fatta in serata a Forlì: "Abbiamo ereditato questo Stato anche con le sue tare. È fondamentale che ci adoperiamo insieme per superarle. Mi auguro che ci ritroveremo tutti in questo spirito".

In altre occasioni, Napolitano ha preso le distanze dalle posizioni della Lega sul centocinquantenario. Ora il ragionamento assume un tono più marcatamente politico. In sostanza, evocando la scommessa del federalismo, il capo dello Stato rinvia abilmente la palla nel campo della forza politica che più di ogni altra si batte perché il percorso avviato con la legge delega del maggio 2009 giunga a compimento. Umberto Bossi subordina la sopravvivenza del governo e della stessa legislatura, ora messa a dura prova per effetto dello scarso margine di cui dispone la maggioranza alla Camera, proprio all'approvazione di tutti i decreti legislativi che attuano la delega. Contrastare le celebrazioni dei 150 anni dell'unità nazionale equivale per il Capo dello Stato non a rafforzare ma a indebolire la svolta federalista. Al contrario, l'unità del paese è la precondizione per un federalismo fiscale solidale e per superare la storica frattura tra il nord e il sud.

La convinzione di Napolitano è che in buona parte del paese sia diffusa questa consapevolezza. Lo ha verificato in presa diretta ieri: l'accoglienza a Reggio Emilia è stata molto calorosa, e un lungo e convinto applauso bipartisan ha accompagnato i passaggi più forti del suo discorso al teatro Valli, anche da parte di esponenti di primo piano del governo, tra cui il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta. "Lo spettacolo che ci è stato offerto, un tripudio di bandiere, è esempio di partecipazione popolare consapevole", osserva il presidente. Poco prima lo storico Alberto Melloni aveva ricordato come proprio Reggio Emilia, 214 anni fa, decise di "iscrivere in un piccolo lembo del territorio italiano il tricolore come bandiera politica". Non si chiede certo - aggiunge Napolitano - di celebrare l'unità nazionale attraverso una "visione acritica del Risorgimento, una rappresentazione idilliaca del moto unitario e tantomeno della costruzione dello Stato nazionale". Quel che è giusto sollecitare è un approccio "non sterilmente recriminatorio e sostanzialmente distruttivo che ponga in piena luce il decisivo avanzamento storico che, al di là di contraddizioni e perfino di storture da non tacere, la nascita dello Stato nazionale unitario ha consentito all'Italia".

Da qui parte l'invito, "il vivo incitamento" a tutti i gruppi politici, a quanti hanno responsabilità nelle istituzioni nazionali regionali e locali, perché nei prossimi mesi, al Sud e al Centro come al Nord, si impegnino "a fondo nelle iniziative per il centocinquantenario". Solo così si renderà "davvero ampia e profonda la proiezione e la partecipazione tra i cittadini, in rapporto ad una ricorrenza da tradurre in occasione di rafforzamento della comune consapevolezza delle nostre responsabilità nazionali".

 

 

 

 

 

 

 

 

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Dal sito Internet di :

WIKIPEDIA 21 aprile dell'anno 753 a.C. (Natale di Roma) http://it.wikipedia.org/wiki/Fondazione_di_Roma

PORTALE ROMA ANTICA http://it.wikipedia.org/wiki/Portale:Antica_Roma

PORTALE STORIA http://it.wikipedia.org/wiki/Portale:Storia

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Fondazione di Roma · Romolo (753-716 a.C.)

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Fondazione di Roma

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Portale:Antica Roma

Voci principali

* Fondazione di Roma (753 a.C.)

* Età regia (753-509 a.C.)

* Età repubblicana (509-31 a.C.)

* Età imperiale (31 a.C.-476)

o Impero romano d'Occidente (395-476)

o Impero romano d'Oriente (395-1453)

La data della fondazione di Roma è stata fissata al 21 aprile dell'anno 753 a.C. (Natale di Roma) dallo storico latino Varrone, sulla base dei calcoli effettuati dall'astrologo Lucio Taruzio.[1]

I Romani avevano elaborato un complesso racconto mitologico sulle origini della città e dello stato, che ci è giunto attraverso le opere storiche di Tito Livio, Dionigi di Alicarnasso, Plutarco e quelle poetiche di Virgilio e Ovidio, quasi tutti appartenenti all'età augustea. In quest'epoca le leggende riprese da testi più antichi vengono rimaneggiate e fuse in un racconto unitario, nel quale il passato mitico viene interpretato in funzione delle vicende del presente.

I moderni studi storici e archeologici, che si basano sia su queste ed altre fonti scritte, sia sugli oggetti e i resti di costruzioni rinvenuti in vari momenti negli scavi, tentano di ricostruire la realtà storica che sta dietro al racconto mitico, nel quale man mano si sono andati riconoscendo alcuni elementi di verità.

Indice

[nascondi]

* 1 La leggenda

o 1.1 Il viaggio di Enea: da Troia al Latium vetus

o 1.2 Da Ascanio a Romolo

o 1.3 Le figure di Enea e Romolo nelle fonti greche

o 1.4 Altre leggende sulla nascita della città

o 1.5 Origine del nome nella letteratura antica

* 2 Teatro naturale: dove nacque Roma

* 3 Documentazione archeologica e storica

o 3.1 Media-tarda età del bronzo: XIV - XI secolo a.C.

o 3.2 La fase protolaziale e le comunità albensi: X-IX secolo a.C.

o 3.3 Verso la nascita della città: VIII secolo a.C.

* 4 Note

* 5 Bibliografia

o 5.1 Fonti primarie

o 5.2 Fonti storiografiche

* 6 Voci correlate

La leggenda [modifica]

Il mito racconta di una fondazione avvenuta ad opera di Romolo, discendente dalla stirpe reale di Alba Longa, che a sua volta discendeva da Silvio, figlio di Lavinia e di Enea, l'eroe troiano giunto nel Lazio dopo la caduta di Troia.[2] Plutarco racconta che:

" Il primo a diffondere tra i Greci la versione più attendibile sulle origini di Roma, la più degna di fede e meglio documentata, fu Diocle di Pepareto, con il quale concordò su moltissimi particolari Fabio Pittore. "

(Plutarco, Vite parallele, Romolo, 3, 1; trad. di Marco Bettalli.)

Il viaggio di Enea: da Troia al Latium vetus [modifica]

Enea fugge mentre Troia brucia Federico Barocci - 1598 - Galleria Borghese - Roma.

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi le voci Guerra di Troia e Eneide.

Come si racconta nell'Eneide, Enea, figlio della dea Venere, fugge da Troia, ormai presa dagli Achei, con il padre Anchise e il figlioletto Ascanio. Il viaggio che Enea percorre prima di raggiungere le coste del Latium vetus (antico Lazio) è lungo e pericoloso. Egli, infatti, per volere di Giunone, che si era adirata con lui, è costretto ad approdare a Cartagine dove, una volta accolto dalla regina della città, Didone, se ne innamora e rimane per un intero anno a regnare al suo fianco. Ma per ordine del Fato e di Giove, Enea è costretto a ripartire, prende la via dell'antico Lazio. La disperazione di Didone, nel vedere l'amato allontanarsi la porta a suicidarsi. Dopo nuove peregrinazioni nel Mediterraneo, Enea approda finalmente nel Lazio. Qui, Enea viene favorevolmente accolto dal re Latino e da sua figlia Lavinia. Enea, innamoratosi di lei, deve però affrontare Turno, re dei Rutuli, a cui il padre l'aveva inizialmente promessa in moglie. Sarà l'uccisione del giovane cortigiano latino Almone (Eneide), avvenuta in una rissa coi Troiani, a fornire a Turno il pretesto di un intervento armato.

Al termine di una dura e sanguinosa lotta che vede i contendenti, Turno da una parte ed Enea dall'altra, alleato il primo con il tiranno etrusco Mezenzio e la maggior parte delle popolazioni italiche, il secondo con gli Etruschi ostili a Mezenzio e con alcune popolazioni greche stanziate nella città di Pallante sul Palatino - a proposito di queste popolazioni greche sul Palatino, sia Tito Livio (Ab urbe condita libri, I, 7) che Ovidio (I Fasti, I, 470 e sgg.) narrano di una migrazione dalla regione greca dell'Arcadia, guidata da Evandro - la vittoria arrise ad Enea, che riuscì ad uccidere Turno in combattimento. Così terminò la guerra ed Enea poté sposare Lavinia e fondare la città di Lavinio (l'odierna Pratica di Mare).

Da Ascanio a Romolo [modifica]

La lupa capitolina, Romolo e Remo.

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi le voci Re albani, Ascanio, Numitore, Rea Silvia e Romolo e Remo.

Trent'anni dopo la fondazione di Lavinio, il figlio di Enea, Ascanio fonda una nuova città, Albalonga, sulla quale regnarono i suoi discendenti per numerose generazioni (dal XII all'VIII secolo a.C.) come ci racconta Tito Livio.[3] Molto tempo dopo il figlio e legittimo erede del re Proca di Alba Longa, Numitore, viene spodestato dal fratello Amulio, che costringe sua nipote Rea Silvia, figlia di Numintore, a diventare vestale e a fare quindi voto di castità onde impedirle di generare un possibile pretendente al trono.[4] Il dio Marte però s'invaghisce della fanciulla e la rende madre di due gemelli, Romolo e Remo.[5] Il re Amulio, saputo della nascita, ordina subito l'assassinio dei gemelli per annegamento, ma il servo a ciò incaricato non trova il coraggio di compiere un tale misfatto e li abbandona sulla riva del fiume Tevere. Rea Sivia non subirà la pena di morte riservata alle vestali che infrangevano il voto di castità in quanto di stirpe reale, ma verrà confinata in isolamento dal re. La cesta nella quale i gemelli erano stati adagiati si arenerà, presso la palude del Velabro tra Palatino e Campidoglio (nei pressi dell'attuale foro romano) alle pendici di una delle creste del palatino, il Germalus, sotto un fico, il fico ruminale o romulare[6] , nei pressi di una grotta detta Lupercale[7] dove i due vengono trovati e allattati da una lupa che aveva perso i cuccioli ed era stata attirata dal pianto dei gemelli[8][9] (probabilmente una prostituta, all'epoca chiamate anche lupae, di cui si ritrova oggi traccia nella parola lupanare), e da un picchio (animale sacro per i Latini) che li protegge, entrambi animali sacri ad Ares[10]. In quei pressi portava al pascolo il gregge il pastore Faustolo (porcaro di Amulio) che trova i gemelli ed insieme alla moglie Acca Larenzia (detta lupa dagli altri pastori in quanto dedita alla prostituzione) li cresce come suoi figli.[11][12].

Una volta divenuti adulti e conosciuta la propria origine, Romolo e Remo fanno ritorno ad Albalonga, uccidono Amulio, e rimettono sul trono il nonno Numitore.[13] Romolo e Remo, non volendo abitare ad Alba senza potervi regnare almeno fino a quando era in vita il nonno materno, ottengono il permesso di andare a fondare una nuova città, nel luogo dove sono cresciuti. Lo stesso Tito Livio aggiunge che del resto la popolazione di Albani e Latini era in eccesso,[14] mentre Plutarco aggiunge:

" Decisero dunque di vivere per conto loro, fondando una città nei luoghi in cui erano cresciuti da piccoli. Questa risulta la spiegazione più plausibile. Ma nello stesso tempo la fondazione diventava per loro una necessità, poiché molti servi e altrettanti ribelli si erano raccolti attorno ad essi... "

(Plutarco, Vita di Romolo, 9, 1-2; trad. Marco Bettalli)

Romolo vuole chiamarla Roma ed edificarla sul Palatino, mentre Remo la vuole battezzare Remora e fondarla sull'Aventino. È lo stesso Livio che riferisce le due più accreditate versioni dei fatti:

Romolo e Remo allattati dalla Lupa dipinto di Rubens, ca.1616, Roma, Musei capitolini.

" Siccome erano gemelli e il rispetto per la primogenitura non poteva funzionare come criterio elettivo, toccava agli dei che proteggevano quei luoghi indicare, attraverso gli aruspici, chi avessero scelto per dare il nome alla nuova città e chi vi dovesse regnare dopo la fondazione. Così, per interpretare i segni augurali, Romolo scelse il Palatino e Remo l'Aventino. Il primo presagio, sei avvoltoi, si dice toccò a Remo. Dal momento che a Romolo ne erano apparsi il doppio quando ormai il presagio era stato annunciato, i rispettivi gruppi avevano proclamato re l'uno e l'altro contemporaneamente. Gli uni sostenevano di aver diritto al potere in base alla priorità nel tempo, gli altri in base al numero degli uccelli visti. Ne nacque una discussione e dal rabbioso scontro a parole si passò al sangue: Remo, colpito nella mischia, cadde a terra. È più nota la versione secondo la quale Remo, per prendere in giro il fratello, avrebbe scavalcato le mura appena erette [più probabilmente il pomerium, il solco sacro] e quindi Romolo, al colmo dell'ira, l'avrebbe ammazzato aggiungendo queste parole di sfida: "Così, d'ora in poi, possa morire chiunque osi scavalcare le mie mura". In questo modo Romolo s'impossessò da solo del potere e la città appena fondata prese il nome del suo fondatore. "

(Livio, I, 7 – traduzione di G. Reverdito)

La versione raccontata da Plutarco è molto simile a quella di Livio, con la sola eccezione che Romolo potrebbe non aver avvistato alcun avvoltoio. La sua vittoria sarebbe pertanto stata per alcuni, frutto dell'inganno. Questo il motivo per cui Remo si adirò e ne nacque la rissa che portò alla morte di quest'ultimo.[15] La città, di forma quadrata,[16] fu quindi fondata sul Palatino e Romolo divenne il primo Re di Roma.

Le figure di Enea e Romolo nelle fonti greche [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi le voci Enea e Romolo.

Nell'Iliade, Enea durante il duello con Achille viene salvato dal dio Poseidone, che ne profetizza il futuro regale. Questo vaticinio e il fatto che non ne sia narrata la morte nelle vicende della caduta della città di Troia, permise la creazione delle leggende sulla sorte successiva dell'eroe.

Enea ferito da una fatale freccia, curato dal medico Iapige, sorretto dal figlio Ascanio e assistito da Venere, pittura parietale, I secolo a.C., da Pompei, Napoli, Museo Archeologico Nazionale

Nell'Iliou persis di Arctino di Mileto, della metà dell'VIII secolo a.C., si racconta la sua partenza verso il monte Ida, mentre nell'Inno omerico ad Afrodite, della fine del VII secolo a.C., Enea viene visto regnare sulla nuova Troia ricostruita, al posto della stirpe di Priamo. Anche la città di Ainea nella penisola calcidica si riteneva fondata da Enea e una moneta cittadina della fine del VI secolo a.C. rappresenta la fuga dell'eroe da Troia. Con Stesicoro, nel VI secolo a.C., viene introdotto il viaggio di Enea verso l'Occidente. Il testo letterario non ci è giunto, ma ne rimane testimonianza nelle raffigurazioni con "didascalie" della Tabula Iliaca (rilievo proveniente da Boville nei Musei Capitolini di Roma, databile al I secolo d.C.).

Nel V secolo a.C. i Greci crearono quindi probabilmente la leggenda della fondazione di Roma da parte di Enea: Dionigi di Alicarnasso ci riporta il racconto di Ellanico di Lesbo e di Damaste di Sigeo che avevano preso a modello le altre fondazioni di città greche attribuite agli eroi omerici. Viene anche inventata un'eroina troiana che avrebbe dato il suo nome alla nuova città ("Rome").

La presenza di raffigurazioni del mito di Enea su oggetti rinvenuti in centri etruschi tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C. ha fatto ipotizzare in alternativa che il mito si sia sviluppato in quest'epoca in Etruria.

La relazione di Enea con Lavinia viene introdotta, alla fine del IV secolo a.C., da Timeo di Tauromenio, che, come testimoniato nuovamente da Dionigi di Alicarnasso, racconta di avervi visto con i suoi occhi i Penati troiani. Il legame con Lavinio è testimoniato anche dal poeta Licofrone. Si tratta forse di un mito di fondazione di origine latina o romana, attestato anche archeologicamente: un tumulo funerario, databile in origine al VII secolo a.C., mostra un adeguamento a funzioni di culto proprio alla fine del IV secolo a.C. e corrisponde ad una descrizione di Dionigi di Alicarnasso del cenotafio dell'eroe, costruito nel luogo in cui era scomparso (rapito in cielo) nel corso di una battaglia.

Nel VI-V secolo a.C. lo storico siceliota Alcimo da Messina descrive per primo il mito della fondazione della città, con la lupa che salva ed alleva i due gemelli discendenti di Enea.

Tra il IV e il III secolo a.C. infatti, dopo una lunga elaborazione di molteplici materiali tradizionali, tra cui ebbe forse particolare peso quello di origine gentilizia (le "storie di famiglia" del patriziato), viene a delinearsi il racconto della fondazione della città da parte di Romolo e Remo. Questa"gestazione"della leggenda e la selezione dei materiali della tradizione, fino a quel momento probabilmente trasmessi essenzialmente per via orale, dipende fortemente dal contesto contemporaneo: Roma deve poter essere accolta nel mondo culturale greco, minimizzando invece l'apporto etrusco. La storia arcaica di Roma, a partire dalla sua fondazione viene quindi riferita da Fabio Pittore (che scrive in greco) e sarà ripetuta nelle Origines di Catone, negli scritti di Calpurnio Pisone e negli Annales di Ennio.

Ad Eratostene di Cirene si deve l'invenzione della dinastia regale di Alba Longa, a coprire lo scarto cronologico tra la data della caduta di Troia, agli inizi del XII secolo a.C., e la tradizionale data di fondazione della città, alla metà dell'VIII secolo a.C. Secondo Ennio, Romolo e Remo sono invece figli della figlia di Enea, di nome Ilia. Saranno infine Catone il Censore, Tito Livio, Dionigi di Alicarnasso, Appiano e Cassio Dione a narrare la leggenda così come è conosciuta dell'Eneide di Virgilio. Questi aggiunge tuttavia alle peregrinazioni dell'eroe la sosta presso la regina Didone, che rappresenta la spiegazione mitica dell'ostilità tra Roma e Cartagine.

Altre leggende sulla nascita della città [modifica]

Alcune varianti riguardano gli stessi Romolo e Remo, figli di Enea e Dessitea,[17] nati già a Troia, oppure di Latino, figlio di Telemaco e di Rhome, o ancora di una Emilia, figlia di Enea, e del dio Marte.

Una leggenda racconta infine una diversa versione: sul focolare della casa di Tarchezio, tirannico re di Alba Longa, era apparso un fallo, che un oracolo impose di far unire con una fanciulla vergine. La figlia del re si fece tuttavia sostituire da una schiava, ma venne scoperta dal padre: le due donne furono imprigionate e i gemelli nati da quell'unione furono esposti in una cesta lasciata nel Tevere.[18]

Anche la figura di Acca Larenzia compare in un diverso racconto che ci ha tramandato Plutarco: il guardiano del tempio di Ercole aveva perso una partita a dadi che aveva giocato contro il dio stesso e la cui posta era una donna. Il guardiano invitò dunque Acca Larenzia nel tempio e ve la richiuse. Dopo aver passato la notte con lei Ercole favorì le sue nozze con il ricco Tarunzio, che alla sua morte la lasciò erede delle sue ricchezze: Acca Larenzia le donò quindi al popolo romano. L'episodio spiega in tal modo il culto che le veniva dedicato (festa dei Larentalia), e che forse è dovuto all'antico carattere divino di questa figura.

Secondo Plinio il Vecchio e Aulo Gellio i dodici figli di Acca Larenzia e di Faustolo sarebbero stati all'origine del collegio sacerdotale dei fratres Arvales caratterizzato dall'uso di rituali e formulari nettamente arcaici.

A Pallante, la città sul Palatino sorta nel luogo in cui più tardi sarà fondata Roma, si colloca anche il regno di Evandro, citato nell'Eneide virgiliana. Evandro avrebbe dato ospitalità ad Ercole che conduceva le mandrie sottratte a Gerione per una delle sue dodici fatiche: durante il suo soggiorno tuttavia le mandrie gli furono rubate da Caco, figlio di Tifone, che egli schiantò con un colpo di clava, mentre cercava di impedirgli di entrare per riprendersi la mandria.[19]

Ma il personaggio e la sua città rivestono anche un'importanza che probabilmente esula da quella esclusivamente mitologica. Dal nome di Pallante (o, secondo alcune versioni Pallanteo) potrebbe infatti essere derivato lo stesso toponimo di Palatino. La coincidenza poi che le feste "Palilie" si celebrassero nella stessa data della fondazione di Roma può far pensare ad un'ipotesi di accordo e di spartizione del territorio tra la gente di Romolo, stanziata sul Germalo, l'altura settentrionale del Palatino, e quella di Evandro, stabilitasi sul Palatino vero e proprio, più a sud, riservando alla Velia, l'altura intermedia, il ruolo forse di area cimiteriale, come i reperti archeologici lasciano supporre. Non va neanche sottovalutato il rilievo che assume la figura di Ercole e l'ospitalità offertagli dallo stesso Evandro: Ercole, ladro e assassino (avendo ucciso Gerione per rubargli le mandrie), che cerca rifugio in una regione infestata da ladri (Caco aveva il suo rifugio nel vicino bosco della dea Laverna – vedi anche Porta Lavernalis) è molto simile ai proto-romani, pastori e personaggi comunque poco raccomandabili, riuniti sul Germalo in una comunità rozza e violenta che però è disposta a riconoscere il diritto d'asilo.

Origine del nome nella letteratura antica [modifica]

L'origine del nome della città era incerta anche in età arcaica. Servio, grammatico a cavallo tra il IV e il V secolo d.C., riteneva che il nome potesse derivare da un'antica denominazione del fiume Tevere, Rumon, dalla radice ruo (a sua volta proveniente dal greco ρεω), scorro, cosμ da assumere il significato di Città del Fiume. Ma si tratta di un'ipotesi che non ha riscosso molto successo.

Enea alla corte del re Latino, olio su tela di Ferdinand Bol, 1661-1663 ca, Amsterdam, Rijksmuseum.

Gli autori di origine greca, primo fra tutti Plutarco, tendevano naturalmente ad autocelebrarsi come i civilizzatori e i colonizzatori del bacino del Mediterraneo, e quindi insistevano sulla lontana origine ellenica della città. Una prima versione fornita da Plutarco vede la fondazione di Roma dovuta al popolo dei Pelasgi, i quali una volta giunti sulle coste del Lazio, avrebbero fondato una città il cui nome ricordasse la loro prestanza nelle armi (rhome).[20] Secondo una seconda ricostruzione dello stesso autore, i profughi troiani guidati da Enea arrivarono sulle coste del Lazio, dove fondarono una città presso il colle Pallantion a cui diedero il nome di una delle loro donne, Rhome.[21] Una terza versione sempre Plutarco offre altre ipotesi alternative, secondo le quali Rome poteva essere un mitico personaggio eponimo, figlia di Italo, re degli Enotri o di Telefo, figlio di Eracle, sposò Enea o il di lui figlio, Ascanio.[22] Una quarta versione vede Roma fondata da Romano, figlio di Odisseo e di Circe; una quinta da Romo, figlio di Emazione, giunto da Troia per volontà dell'eroe greco Diomede; una sesta da Romide, tiranno dei Latini, che era riuscito a respingere gli Etruschi, giunti in Italia dalla Lidia ed in Lidia dalla Tessaglia.[22] Un'altra versione fa della stessa Rome la figlia di Ascanio, e quindi nipote di Enea. Ancora una Rome profuga troiana giunge nel Lazio e sposa il re Latino, sovrano del popolo lì stanziato e figlio di Telemaco, da cui ebbe un figlio di nome Romolo che fondò una città chiamata col nome della madre.[23] In tutte le versioni si ritrova la stessa eponima chiamata Rome, la cui etimologia proviene dalla parola greca rhome con il significato di "forza". Le fonti citano anche altri possibili eroi eponimi come Romo, figlio del trioiano Emasione, o ancora Rhomis, signore dei Latini e vincitore degli Etruschi.

Secondo altre interpretazioni di un certo interesse, il nome ruma sarebbe di origine etrusca, in quanto non ne è stato trovato l'etimo indoeuropeo (e l'unica lingua non-indoeuropea della zona era appunto l'etrusco). Il termine sarebbe entrato come prestito nel latino arcaico e avrebbe dato origine al toponimo Ruma (più tardi Roma) e ad un prenome Rume (in latino divenuto Romus), dal quale sarebbe derivato il gentilizio etrusco Rumel(e)na[24], divenuto in latino Romilius. Il nome Romolo sarebbe quindi derivato da quello della città, e non viceversa.

In ogni caso la tradizione linguistica assegna al termine ruma, in etrusco e in latino arcaico, il significato di mammella, come è confermato da Plutarco il quale, nella "Vita di Romolo" racconta che:

Il fico ruminale sul retro di un denario del 137 a.C. circa.

" Sulle rive dell'insenatura sorgeva un fico selvatico che i Romani chiamavano Ruminalis o, come pensa la maggioranza degli studiosi, dal nome di Romolo, oppure perché gli armenti erano soliti ritirarsi a ruminare sotto la sua ombra di mezzogiorno, o meglio ancora perché i bambini vi furono allattati; e gli antichi latini chiamavano ruma la mammella: ancora oggi chiamano Rumilia una dea che viene invocata durante l'allattamento dei bambini "

(Plutarco, Vita di Romolo, 4, 1.)

Questa interpretazione del termine ruma è quindi strettamente collegata con i motivi che hanno portato alla scelta, come simbolo della città di Roma, di una lupa con le mammelle gonfie che allatta i due mitici gemelli fondatori.

Anche sulla lupa sono da fare delle considerazioni: posto che alcuni ritengono che ad accudire i gemelli possa essere stata effettivamente una lupa (in quanto mammifero in grado di avere gravidanze plurigemellari) la quale, avendo perso i propri cuccioli a causa di un predatore, aveva vagato fino a quando, trovati i due neonati, li aveva allevati impedendone così la morte certa, occorre rilevare che il termine "lupa" in latino assume anche il significato di prostituta (da cui, "lupanare", luogo dove si svolge la prostituzione), ed è quindi abbastanza probabile che la "lupa" in questione sia stata effettivamente una prostituta.

Secondo una tradizione diffusa nell'antichità, una città aveva tre nomi: uno sacrale, uno pubblico e uno segreto. Posto che al nome pubblico di Roma era unito quello religioso di Flora o Florens, usato solo in occasione di determinate cerimonie sacre, quello segreto è rimasto ovviamente sconosciuto. Il motivo e la necessità di questa segretezza riporta ad un'altra tradizione diffusa presso gli antichi (ma anche in alcune culture contemporanee non occidentali) e che si ritrova anche nella storia dell'origine della scrittura: il nome di un oggetto o di una entità esprimeva l'essenza e l'energia dell'oggetto o entità che definiva. Nominare qualcosa equivaleva più o meno a renderlo vivo ed esistente e la conoscenza del nome significava, in pratica, avere il potere di influire, in bene o in male, sull'oggetto di cui si possedeva la conoscenza. Nel caso di una città il nome segreto corrispondeva, di fatto, al nome segreto del Nume tutelare e infatti i Pontefici romani, nelle invocazioni, si rivolgevano a "Giove Ottimo Massimo o con qualunque altro nome tu voglia essere chiamato". In base a questo principio negli assedi veniva evocato il dio protettore della città assediata, promettendogli riti e sacrifici migliori, affinché abbandonasse la tutela della città nemica, e per questo motivo i romani conservarono con estrema cura il nome segreto della loro città.

Teatro naturale: dove nacque Roma [modifica]

Roma nell'anno della sua fondazione, nel 753 a.C.

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi le voci Roma quadrata e Septimontium.

Certamente la natura del luogo dove sorse il nucleo iniziale di Roma, lungo la sponda sinistra del fiume Tevere, ai piedi di numerosi colli (in particolare Aventino, Palatino e Campidoglio) sulle cui sommità sorsero i primi abitati protourbani, non molto distante dal mare, fecero di questo centro il luogo adatto allo scambio di merci (tra cui il sale, di fondamentale importanza) e bestiame tra differenti culture. Coarelli, infatti, racconta del carattere "emporico" del luogo, frequentato da Fenici (fin dai decenni finali dell'VIII secolo a.C.) e da Greci (dal secondo quarto sempre dell'VIII secolo), quest'ultimi identificabili probabilmente con gli Eubei di Cuma. Il guado del Tevere, come pure le vie di transumanza delle greggi e mandria, oltre all'approvvigionamento del sale erano collegati al culto di un Ercole di origine sabina, che aveva nel foro Boario il centro del sistema emporico dell'area.[25]

Potremmo anche aggiungere che Roma sorse in una zona temperata dell'Italia centrale, non troppo lontana dal mare, nei pressi di una grande ansa del fiume Tevere adatta a costituire un buon approdo anche per la vicinanza di un ottimo guado costituito dall'isola Tiberina, la cui buona portata idrica favorì certamente il commercio di mercanzie, su colline salubri e convergenti che si allungavano da nord-est a sud-est come dita di una mano, e costituivano un valido sistema di difesa da attacchi nemici. Questo sistema collinare era per così dire costituito da tre lunghe "dita di una mano": a sud l'Aventino, al centro quella composta da Palatino, Velia ed Esquilino, e più a nord quella di Quirinale e Campidoglio. A queste andrebbero poi aggiunte alcune "lingue" o "dita" più corte del Celio (tra Aventino e Palatino-Velia-Esquilino), del Viminale e del Cispio (tra Esquilino e Quirinale), tralasciando più a nord i montes attuali di Pincio e Parioli. A questi rilievi si interponevano anche alcune valli come la Vallis Murcia (tra Aventino e Palatino, ed occupata più tardi{{cn| dal Circo Massimo) e la valle del futuro Foro romano (tra Palatino, Velia e Campidoglio) che si allungava più a nord nella zona pianeggiante della Subura. Il Pallottino conclude sostenendo che condizioni così "privilegiate" non sono riscontrabili altrove.[26]

Certamente la spinta all'aggregazione fu favorita dalla posizione della città, al crocevia di due importanti vie di comunicazione commerciali. La prima, che dalle città etrusche del nord, tra cui la vicina Veio, arrivava in Campania dove erano state fondate le polis greche, ed utilizzata per lo scambio di materie prime presenti in Etruria contro prodotti lavorati dei greci; la seconda che dai monti della Sabina arrivava al mare, utilizzata soprattutto per il trasporto del sale (tramite la via Salaria e la via Campana).[27]

Il Tevere, inoltre, costituiva il confine naturale tra due differenti culture che, fin dalla fine dell'età del bronzo (attorno al 1000 a.C.), andavano ormai contrapponendosi anche etnicamente: la cultura protolaziale a sud (il Latium vetus dei Latini-Falisci) e quella protovillanoviana a nord (l'Etruria degli Etruschi).[28] E non fu probabilmente un caso che i villaggi della zona che sorsero sui colli attorno al guado dell'isola Tiberina, si aggregarono inizialmente intorno al colle Palatino; questo infatti è vicino al Campidoglio, colle strategico dal punto di vista militare, ma è anche vicino all'isola stessa, ottimo guado tra la riva etrusca e quella latina. Il Palatino era anche un ottimo punto d'osservazione sia verso l'Aventino, probabilmente occupato da popolazioni liguri e/o sicule (comunque di origine pre-indoeuropea)[senza fonte], sia verso il Quirinale, sul quale erano stanziati i Sabini.

Documentazione archeologica e storica [modifica]

Media-tarda età del bronzo: XIV - XI secolo a.C. [modifica]

L'area "sacra" di Sant'Omobono.

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi le voci Età del Bronzo e Area di Sant'Omobono.

Accanto alle fonti letterarie tramandateci, i moderni ritrovamenti archeologici hanno dimostrato la natura "emporica" del primitivo centro preurbano di Roma, trattandosi di un'area racchiusa da un lato dalla sponda sinistra del fiume Tevere e dall'altro dai tre vicini colli dell'Aventino, Palatino e Campidoglio, identificabile con il cosiddetto Foro Boario.[29]

I reperti più antichi, che appartengono alla media età del Bronzo, sono quelli trovati nei pressi della chiesa di Sant'Omobono, sotto al colle del Campidoglio, a ridosso dell'ansa del fiume Tevere nella zona del Foro Boario (all'incrocio tra l'odierna via L. Petroselli ed il Vico Jugario). Si tratta di frammenti di ceramica appenninica, databili intorno al XIV-XIII secolo a.C.[30] e di ossa di animali. A partire da questo momento nuove tracce di vita andranno ad estendersi prima nell'area del foro romano, dove sono stati trovati resti di insediamenti risalenti all'XI secolo a.C. e corredi funerari risalenti al X secolo a.C. Qui si formò, infatti, progressivamente nei pressi del guado del Tevere una struttura emporica (orrea ) di scambio e approvvigionamento, sotto la protezione dell'Ercole italico, protettore del bestiame transumante.[30]

La fase protolaziale e le comunità albensi: X-IX secolo a.C. [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi le voci Protolatini, Latini, Latium vetus e populi albenses.

Successivamente le testimonianze archeologiche si diffusero al vicino colle Palatino, dove sono stati rinvenuti i resti di una necropoli (risalenti al sempre al X secolo a.C.), nella sella compresa tra le due cime del colle, il Germalo e il Palatino. E ancora sul Palatino sono stati trovati resti di insediamenti che si riferiscono al IX secolo a.C.[31]

Verso la nascita della città: VIII secolo a.C. [modifica]

Segni di capanne sul Palatino risalenti all'VIII secolo a.C.

Un elemento di particolare rilievo nei ritrovamenti dell'area di S. Omobono è dato dal fatto che insieme ai reperti del XIV secolo sono stati ritrovati anche resti, di indubbia provenienza greca, risalenti all'VIII secolo, quindi esattamente coincidenti con l'epoca della fondazione di Roma. Tale circostanza è pertanto una conferma archeologica della realtà storica degli indizi che hanno poi contribuito a generare la tradizione mitologica sulle origini leggendarie della città.

Diverse teorie e studi cercano di collegare questi reperti; si tratta di ritrovamenti in un'area molto ristretta e che attestano la presenza di abitati nella zona del Campidoglio, Foro, Palatino in un'età anche antecedente a quella che la tradizione tramanda come data di fondazione della città.

La tradizione che racconta che Roma è stata fondata con un atto di volontà di Romolo, sembra avere un fondamento di verità soprattutto in seguito alla scoperta, ad opera dell'archeologo italiano Andrea Carandini, di un'antica cinta muraria (che potrebbe essere l'antico "muro di Romolo") costituita da un muro a scaglie di tufo, con alla sommità incastri e tracce di una palizzata e vallo risalente al 730 a.C., eretto sul Palatino nel versante volto verso la Velia dietro la basilica di Massenzio alla base nord-orientale del colle Palatino.

Tale cinta muraria potrebbe essere la conferma del tradizionale racconto sulla fondazione di Roma[32] ed è quasi contemporanea a una fibula di bronzo dell'VIII secolo, raffigurante un picchio che acceca Anchise, il padre di Enea, punendolo per essersi unito a Venere. Secondo lo storico Tacito, infatti, il "solco primigenio" tracciato da Romolo sul Palatino, primo nucleo urbano della futura città di Roma, avrebbe incluso l'Ara massima di Ercole invitto, monumento non solo già esistente attorno alla metà dell'VIII secolo a.C.,[19] ma costituente uno dei quattro angoli della città quadrata. E sempre Tacito aggiunge che il Campidoglio e la sottostante piana del Foro romano furono aggiunti alla Roma quadrata da Tito Tazio.[33].

Quest'ipotesi è stata ulteriormente confermata dalla scoperta nel 2005 di un grande palazzo ad architettura a capanna nell'area del tempio di Vesta che potrebbe essere il palazzo dei primi re di Roma. Muro, antico palazzo reale e primo tempio di Vesta fanno parte di un complesso architettonico resalente alla seconda metà dell'VIII secolo a.C. che sembra confermare l'esistenza di un progetto architettonico ben preciso già nella seconda metà dell'VIII secolo, data tradizionale della fondazione di Roma in questo periodo[34].

Un altro gruppo di studiosi non ritiene che Roma sia nata da un atto di fondazione, sul modello delle polis greche nel sud Italia ed in Sicilia, ma piuttosto che la fondazione della città storicamente debba attribuirsi ad un diffuso fenomeno di formazione dei centri urbani, presente in gran parte dell'Italia centrale, e che nella fattispecie comprenda un periodo di diversi secoli: dal XIV secolo al VII secolo a.C. La città si venne quindi formando attraverso un fenomeno di sinecismo durato vari secoli,[35] che vide, in analogia a quanto accadeva in tutta l'Italia centrale, la progressiva riunione in un vero e proprio centro urbano degli insediamenti dispersi sui vari colli. In quest'epoca infatti i sepolcreti collocati negli spazi vuoti tra i primitivi villaggi furono abbandonati a favore di nuove necropoli poste all'esterno dell'area cittadina, in quanto tali spazi sono ora considerati parte integrante dello spazio urbano.

Ed è anche quello che verosimilmente può essere accaduto sul Palatino, che inizialmente era composto da vari nuclei abitativi indipendenti (Palatium e Cermalus) e che si concluse attorno alla metà dell'VIII secolo, corrispondente alla tradizionale data di fondazione del 753 a.C. Il Romolo della leggenda può essere stato, pertanto, il realizzatore della prima unificazione di questi nuclei in un'entità unica. Nei due secoli successivi, tale processo di unificazione fu probabilmente accelerato dall'occupazione etrusca della città andando ad includere ora i famosi "sette colli".

Note [modifica]

1. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 12.2 da LacusCurtius

2. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 3, 2.

3. ^ Livio, Ab Urbe condita libri, I, 3.

4. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 3, 3.

5. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 3, 4.

6. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 4, 1.

7. ^ Varrone, De lingua latina, V, 54.

8. ^ Il Lupercale era uno dei luoghi più sacri dell'antica Roma ed il suo probabile recente ritrovamento sotto il palazzo di Augusto ha una grande importanza storica ed archeologica

9. ^ Livio, Ab Urbe condita libri, I, 4

10. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 4, 2-3.

11. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 3, 5-6.

12. ^ Livio, Ab Urbe condita libri, I, 4, 5-7: Ita velut defuncti regis imperio in proxima alluuie ubi nunc ficus Ruminalis est—Romularem vocatam ferunt—pueros exponunt. Vastae tum in his locis solitudines erant. Tenet fama cum fluitantem alveum, quo expositi erant pueri, tenuis in sicco aqua destituisset, lupam sitientem ex montibus qui circa sunt ad puerilem vagitum cursum flexisse; eam submissas infantibus adeo mitem praebuisse mammas ut lingua lambentem pueros magister regii pecoris invenerit— Faustulo fuisse nomen ferunt—ab eo ad stabula Larentiae uxori educandos datos. Sunt qui Larentiam volgato corpore lupam inter pastores vocatam putent; inde locum fabulae ac miraculo datum.

13. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 7-8.

14. ^ Livio, Ab Urbe condita libri, I, 6.

15. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 9, 5; 10, 1-3.

16. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 9, 4; 11, 1.

17. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 2, 2.

18. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 2, 4-8.

19. ^ a b Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 7.

20. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 1, 1.

21. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 1, 2-3.

22. ^ a b Plutarco, Vita di Romolo, 2, 1.

23. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 2, 3.

24. ^ Gentilizio Rumelna attestato dall'iscrizione sull'architrave della tomba 35 della Necropoli del Crocifisso del Tufo, a Orvieto. Iscrizione databile al VI secolo a.C.: Mi Velthurus Rumelnas.

25. ^ Filippo Coarelli, I santuari, il fiume, gli empori, vol. 13, pp. 129-134.

26. ^ Massimo Pallottino, Origini e storia primitiva di Roma, pp. 61 e 65-68.

27. ^ Filippo Coarelli, I santuari, il fiume, gli empori, vol. 13, pp. 132-134. La via Salaria era destinata a trasportare il sale dal guado del Tevere (dove erano presenti dei depositi chiamati Salinae) alla Sabina, mentre la via Campana dalla foce raggiungeva, costeggiando la riva destra del fiume, il guado nei pressi del Foro Boario. Una Via era il prolungamento e completamento dell'altra, costituendone un sistema unitario.

28. ^ Massimo Pallottino, Origini e storia primitiva di Roma, pp.63-64.

29. ^ Filippo Coarelli, I santuari, il fiume, gli empori, vol. 13, p. 127.

30. ^ a b Filippo Coarelli, I santuari, il fiume, gli empori, vol. 13, pp. 135-136.

31. ^ Renato Peroni, Comunità e insediamento in Italia fra età del bronzo e prima età del ferro, in Storia dei Greci e dei Romani, vol. 13, Einaudi, 2008, p. 11 ss.

32. ^ Andrea Carandini Sulle orme di Schliemann a Roma: alle origini della Città e dello Stato su Archeologia viva, rivista bimestrale.

33. ^ Tacito, Annales, XII, 24.

34. ^ A. Carandini, "Palatino, Velia e Sacra via: paesaggi urbani attraverso il tempo'", in: Workshop di Archeologia Classica, Quaderni, 2004.

35. ^ Massimo Pallottino, Origini e storia primitiva di Roma, Milano 1993, pp.130.

Bibliografia [modifica]

Fonti primarie [modifica]

* Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane. QUI versione in internet

* Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, IX.

* Livio, Ab Urbe condita libri. QUI versione latina in internet

* Plutarco, Vita di Romolo. QUI versione in internet

* Varrone, De lingua latina, V.

Fonti storiografiche [modifica]

* A.A. V.V., La grande Roma dei Tarquini, (in italiano) Roma, L'Erma di Bretschneider, 1990. ISBN 88-7062-684-9

* Giovanni Brizzi, Storia di Roma. 1.Dalle origini ad Azio, (in italiano) Bologna, Pàtron, 1997.

* Andrea Carandini, La nascita di Roma: dei, lari, eroi e uomini all'alba di una civiltà, Torino, 1998.

* Filippo Coarelli, I santuari, il fiume, gli empori, in Storia Einaudi dei Greci e dei Romani, vol.13, Milano 2008.

* Werner Keller, La civiltà etrusca, (in italiano) Milano, Garzanti, 1984. ISBN 88-11-76418-1

* Theodor Mommsen, Storia di Roma antica, (in italiano) Firenze, Sansoni, 1972.

* Massimo Pallottino, Origini e storia primitiva di Roma, (in italiano) Milano, Rusconi, 1993. ISBN 88-18-88033-0

* Renato Peroni, Comunità e insediamento in Italia fra età del bronzo e prima età del ferro, in Storia dei Greci e dei Romani, vol. 13, Einaudi 2008.

* M. Quercioli, Le mura e le porte di Roma, Newton Compton, Roma, 1982.

Voci correlate [modifica]

* Natale di Roma

* Gentes originarie

* Origo gentis Romanae

* Diritto romano

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Storia romana

Età regia Fondazione di Roma · Romolo (753-716 a.C.)

Prima monarchia di Roma: Numa Pompilio (716-673 a.C.) · Tullo Ostilio (673-641 a.C.) · Anco Marzio (641-616 a.C.)

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She-wolf suckles Romulus and Remus.jpg

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Ultima modifica per la pagina: 23:12, 5 gen 2011.

 

 

 

Dal sito Internet di

CRONOLOGIA:

ROMA - MINI CRONO-EXPRESS STORY http://cronologia.leonardo.it/mondo15.htm

 

 

L'Impero Romano nell'anno 105 d.C.

Nel 114-15 con la conquista della Mesopotamia l'Impero raggiunge la sua massima espansione ( cartina )

20.000 - 753 a.C. i Re di Roma 753 - 501 a.C. 500 - 401 a. C.

400 - 301 a. C. 300 - 201 a.C. 200 - 101 a. C. 100 - 1 a. C.

1 d.C - 100 d. C. 100 - 200 d. C. TUTTI I CONSOLI

20.000 - 753 a.C.

in dettaglio vedi anche i "RIASSUNTI DEI VARI PERIODI"

ANNI 20.000 a.C. - La documentazione archeologica consente di iniziare il racconto della nascita di Roma fin dal periodo arcaico, quando una razza indoeuropea presente nella penisola, inizia a modellare quella base di popoli poi considerati e cosiddetti italici.

* Proveniente da una migrazione iniziata in Puglia circa 34.000 anni fa - risalendo la penisola, alcuni gruppi si distribuirono nel primo periodo in tre aree. Una di queste occupò il centro della penisola. Le testimonianze ci giungono da alcuni reperti dell'Uomo del Circeo, dove qui rispetto ad altre regioni, l'industria mesolitica acquisterà una fisionomia molto particolare dovuta all'utilizzazione quale materia prima, di piccoli ciottoli. (Cultura Aurignaciana Circeiana)

Sono popolazioni con piccoli insediamenti sparsi, in prevalenza sugli altopiani tra il Lazio e l'Abruzzo, nella Marsia, e nella conca del Fucino (qui risiedevano ancora prima dell'anno 1000 i Latini dei Colli Albani, prima della loro migrazione) dove si alterneranno in circa 8000 anni, 320 generazioni, all'incirca fino agli....

ANNI 12.000 a.C. - ....quando per le mutate condizioni climatiche sulla penisola comincerà a diradarsi la grande selvaggina. Saranno costretti questi gruppi a spostarsi sulle coste divenendo sempre più terramaricoli; avviandosi in questo modo verso un sistema di vita praticamente sedentario pur rimanendo dei cacciatori. In prossimità del mare o di alcuni laghi, faranno le prime esperienze della raccolta dei molluschi e dei volatili. Una attività economica che per necessità alimentare divenne, soprattutto negli insediamenti costieri, una economia dominante per 9 millenni, divisi in due periodi di 3000 e 6000 anni; quindi circa 120 e 240 generazioni.

ANNI 9.000 - 3000 a.C. - Questa seconda fase corrisponde al periodo che coincide con lo sviluppo della cultura Villanoviana sugli Appennini tosco-emiliani e Romanelliana, sudoriginaria della punta estrema della penisola, in Puglia, ma perdurata in Abruzzo e nel Lazio fino all'arrivo - sempre dalle Puglie, verso il 3000 a.C.- dei primi provetti proto-agricoltori del periodo italico del Neolitico.

* Negli insediamenti, dalle grotte - spesso anche decorate - si passa alle prime costruzioni di capanne con pali, poi in pietra, non isolate ma spesso vicine, dando origine alla formazione dei primi villaggi arcaici. Nel tavoliere pugliese ne sono stati individuati più di mille di questi insediamenti fissi; può essere considerato il primo stadio di una civiltà urbana con forti influssi della civiltà orientale visto che troviamo i primi villaggi molto simili, cioè squadrati, e in alcuni con il confine con muri attorno come fortificazioni; fino allora in queste zone un genere di villaggi e tipo di abitazioni del tutto sconosciute.

* Che l'insediamento sia diventato in parte sedentario, ci sono le testimonianze di una intensa cultura romanelliana ("lavori fatti casa") dove troviamo grattatoi, bulini poliedrici, punte a lama con dorso abbattuto, punte a triangolo, microbulini, e uno sterminato microlitismo di buona fattura. Sono presenti punteruoli, zagaglie, tubi per colore fatti in osso, e sugli stessi, usati per tanti usi, raffigurazioni incise in vari stili. Tutto denota che hanno più tempo a disposizione, che acquisiscono abilità nell'eseguire questi lavori, e che esprimono nel farli anche una certa creatività.

ANNI 3000 - 2000 a.C. - E' l'inizio di un periodo in cui sopraggiungono in Europa intense migrazioni di popolazioni delle grandi civiltà orientali che cambiano nel corso di un breve periodo la fisionomia delle popolazioni su tutta la penisola italica. Le direttrici verso l'Italia sono due: distinte in due periodi. Verso il 2000 a. C. da est e dal centroeuropa danubiano scendono in Italia numerosi gruppi indoeuropei già provenienti dall'area balcanica (foci del Danubio, Mar Nero), mentre circa un millennio dopo, da Sud, dal mare, risalgono le coste italiche altri gruppi di indoeuropei, anche se quest'ultime sono molto diverse dalle prime come cultura: provengono da diverse aree: dall'Egeo, dall'Anatolia, e dalla costa libano-palestinese. Una popolazione con una organizzazione socio-politica molto differente dai primi gruppi pur affini etnicamente; e se da un lato sono più evoluti intellettualmente, dall'altro, dentro queste società, nei loro rispettivi paesi di provenienza, politicamente sono già nate da circa due millenni, le prime lotte intestine per le espansioni e le contese territoriali, che hanno già provocato nei loro antichi territori, la formazione o la distruzione di imperi con alle spalle già due tre millenni di civiltà e una corrispondente ottima organizzazione politica, come i Sumeri, Akkadi, Babilonesi, Cassiti, Assiri, Ittiti, e, ma molto limitati, Egiziani. Questi ultimi pur insediati su un immenso territorio fluviale e con davanti il Mediterraneo non hanno la vocazione nè della navigazione nè dell'emigrazione. Sono tutti Nilo-dipendenti. Di conseguenza una civiltà chiusa, senza sinergie con altre culture, o altre organizzazioni sociali e politiche (pur essendo queste vicine ed alcune quasi a contatto. Quella Trace (di Varna, sul Mar Nero) ad esempio, che oggi come civiltà è indicata più antica di quella egiziana, ebbe indubbiamente già contatti con quest'ultima.

In varie ondate i primi (impropriamente detti danubiani, prealpini palafitticoli) iniziarono a scendere nella pianura Padana espandendosi soprattutto nel Veneto, poi negli Appennini Bolognesi, dopo fino al Lazio; mentre i secondi (giunti via mare) con consistenti gruppi, toccate le prime coste italiche, le Puglie, la Sicilia, la Calabria, la Sardegna, la penisola la risalirono più tardi, navigando nel Tirreno, insediandosi in Umbria e in Toscana (vedi ETRUSCHI ). Dopo circa un paio di secoli, seguì una seconda ondata migratoria, sempre dall'Egeo, che approdò nelle regioni meridionali, creando la cosiddetta Magna Grecia.

Ma prima di parlare di entrambe, ritorniamo al 1500 e ai palafitticoli.

ANNO 1500 a.C. - A Nord della penisola, molto prima dell'età del bronzo (2000-1500 a.C.) sulle colline pedemontane delle Alpi, compaiono in Italia insediamenti di un popolo con le prime abitazioni su palafitte. Inizialmente sui laghi occidentali a nord delle Alpi, poi nell'arco di cinquecento anni si insediano anche nei laghi prealpini. Questi ultimi si stabilirono inizialmente sul lago di Garda (nel vicino Lago di Ledro ci sono ancora i resti di un intero villaggio su palafitte!), successivamente si estesero nei dintorni fino a raggiungere il lago di Viverone nel vercellese, ma soprattutto presenti nelle zone di Peschiera, in Val Camonica, a Mantova e in Veneto in particolare. In quest'ultima regione, l'uomo palafitticolo per motivi che non conosciamo (forse climatici) abbandona la fascia prealpina e trova un rifugio nella pianura veneta; ed è l'unico territorio dove non "ha mai smesso" di dimorare e di.... esercitare per 3500 anni, senza interruzione fino ai nostri giorni, l'arte della palafitticultura: nella laguna, a Venezia! (che é poi l'origine di un singolare e prezioso isolamento nei secoli successivi, favorendo così la nascita di una mentalità molto autonomista che resiste tuttora) (Vedi Storia e Cronologia di Venezia)

Gli abitanti di questa ricca cultura palafitticola (Polada) verso il 1200 a.C. ( a parte l'insediamento nei pressi della laguna) improvvisamente abbandonano la Pianura Padana e incominciano a scendere la penisola, contribuendo non poco a rinvigorire la Civiltà Appenninica villanoviana autoctona e tutte le altre presenti sulla dorsale appenninica. Portandovi non solo un particolare tipo di costruzione (detta cultura terramare, villaggi con solide case rettangolari a struttura lignea) ma anche la loro particolare cultura, rivoluzionaria! Il divario tecnologico della cultura palafitticola con il resto della penisola era molto marcato come vedremo. Ma proprio per questo resta un mistero questa improvvisa scomparsa di insediamenti stabili della terramare e delle palafitte nella zona a nord del Po. Territorio che si spopola (i Celti la invaderanno solo nel V secolo a.C.) e inizia a scendere in questo periodo (1200-1000) a sud del Po provocando un grande mutamento nel quadro dell'Italia protostorica. Assistiamo a un duplice fenomeno: a una grande contemporanea unificazione culturale (Es. la ceramica con le stesse caratteristiche la si ritrova -subito dopo questo periodo migratorio- da un capo all'altro della penisola) ma anche a una improvvisa nascita di culture regionali, che pur grande debitrici a quella sopraggiunta, come se possedesse una creatività e una ingegnosità latente da millenni, esplode e diventa subito distinta, con caratteri propri. Carattere che, anche se poi, dopo la caduta dell'Impero Romano seguiranno i secoli bui, resta latente, e nuovamente riesplode nella Rinascenza come in nessuna altra parte del mondo.

Ma il fattore più importante è che i portatori di questa cultura detta dei "campi di urne", hanno una notevole organizzazione socio-politica. E' una società più articolata, non é più patriarcale (con a capo il vecchio saggio della civiltà contadina) ma è già presente al suo interno una netta distinzione fra contadini, addetti all'artigianato, al commercio e addetti alla difesa. Uno dei maggiori centri di questi ex palafitticoli dopo la fuga dai laghi prealpini sorgerà a Este (cultura atestina) (Interessante il suo museo).

Uniti ai terramaricoli dell'Emilia, si forma una vera civiltà urbana generando una singolare cultura aristocratica cittadina, che nella nella penisola in questo periodo era ancora sconosciuta. Ed é forse la prima vera Italia. L'influenza di queste istituzioni si faranno subito sentire quando a questi popoli, quasi contemporaneamente si affiancheranno subito altri provenienti da sud: etruschi e greci, però più chiusi verso le popolazioni locali, con un tipo esclusivo di politica all'interno della loro società, con la vocazione a non integrarle queste popolazioni locali, ma semmai indirizzati ad esercitare una posizione di forte predominio colonialista. Si comportano insomma come dei padroni ignorando del tutto gli indigeni, o al limite li aggregano come servi.

I primi -gli ex palafitticoli- hanno più disponibilità a coordinare le proprie azioni mantenendo a un livello tollerabile i conflitti, quindi riuscendo a fare delle fusioni con le popolazioni con cui vengono a contatto, mentre i secondi -gli etruschi- operano delle discriminazioni, sono esclusi i locali dalla partecipazione alla vita politica e civile. Gli insediamenti sono tipicamente colonialisti senza riguardo (Vedi Storia degli Etruschi)

 

Questo fenomeno non è di passaggio ma permanente ed è determinante per il futuro della penisola. In Italia nel corso dei successivi secoli interverranno molti cambiamenti nei confini, ma la struttura regionale di molte culture locali non subirà d'ora in avanti più nessun cambiamento. Alcune linee si delineano in una forma permanente; nella cultura, nella etnia, nel linguaggio. Immutabile anche nelle piccole cose, negli utensili, nelle ceramiche, nelle decorazioni, e se si ha occasione di osservare, perfino nell'agricoltura scopriamo ancora oggi che i covoni di fieno nel Friuli, nella Valle Padana, in Toscana, nel Lazio o nelle Puglie hanno uno stile del tutto diverso. Per non parlare di certi rituali del mondo agricolo; anche questi nascono tutti in questo periodo, molto singolari, e sono sopravvissuti nelle varie regioni. Per rintracciarne la provenienza, le origini o la nascita indigena, il miglior testo mondiale resta il "Ramo d' Oro" di Frazer; sono ampiamente riportati i collegamenti con altri paesi e le comparazioni temporali, con lontane località di cui si erano perse le tracce storiche o se ne ignorava perfino l'esistenza (i Fenici ad esempio abbiamo riscoperto la loro esistenza da nemmeno due secoli. Mentre Robert Musil scaraventato nella prima guerra mondiale in un piccolo isolato paese del Trentino, a Palù, dove parlavano una strana lingua, sconosciuta a tutti, arcaica, germanica; dagli oggetti che usavano i contadini, risalì alla loro ignota provenienza; una migrazione dall'alto Reno ai tempi di Druso - Così a Pieve e a Castel Tesino).

* Queste popolazioni palafitticole del 1500 a.C. coltivano grano, canapa, legumi, frutti, e hanno già una buona conoscenza della vite (ricavando perfino un distillato); già presente perfino la tessitura del lino; molti pugnali e asce in bronzo (i primi apparsi in Italia) di eccellente fattura (Quello di "Peschiera" ha la stessa foggia di uno rinvenuto nella "Casa del Mercante d'Olio" a Micene, in una tomba del 1500 a. C.. Possiamo così dunque intuire da dove provenivano). Ma lo straordinario è che si prendevano già cura degli animali; oltre ai cani, gatti e pollame, allevavano cavalli (i primi in Italia), asini, buoi, porci, capre e pecore. Ricavavano in questo modo il ricco fabbisogno alimentare, che non dipendeva più (già da un millennio) da una attività di caccia; infatti, le dispendiose energie, nell'esercitarla infruttuosamente perchè scarsa, furono per necessità tutte riversate nelle attività agricolo pastorale e nell'artigianato, e iniziarono a formare in tal modo dei veri e propri villaggi, con gli abitanti diversificati nelle varie occupazioni e quindi con una ordinata gerarchia nei compiti. Dominante quella della difesa, quindi nascita di gruppi non più di cacciatori di animali, ma cacciatori di uomini, per difendere o attaccare per fare altre conquiste di territori.

Interessanti e preziose sono le testimonianze al Museo palafitticolo di Ledro. Merita veramente un viaggio per chi vuole veramente conoscere gli albori della civiltà sviluppatasi nella penisola italiana, circa 600-800 anni prima ancora dell'arrivo degli etruschi, dei greci e nella valle del Po dei Celti (dai Romani chiamati questi "Galli").

In una forma del tutto autonoma, anche se le radici di entrambe le due civiltà, sono sempre del basso Danubio-Mar Nero-Egeo. Questo è confermato dagli utensili, dalla ceramica, ma soprattutto dalla fusione dei metalli, e per lo stile di vita, decisamente superiore ad ogni altro gruppo presente in questo periodo sulla penisola fino al fatidico anno 1000 a.C.

* A Sud quasi contemporaneamente, numerose migrazioni in ordine sparso di altri indoeuropei stanno risalendo via mare le coste della penisola. Sono strettamente imparentati con i primi (i palafitticoli) ma scissi in epoca remota (forse da 2000 anni e più); sono quindi lontani dalla loro cultura linguistica, ma hanno le stesse conoscenze, anche più raffinate e molto maggiori sulla cultura dei materiali. Entrambi i due gruppi hanno avuto uno sviluppo diverso, anche se provengono dallo stesso ambiente, individuato quello dei palafitticoli sul Mar Nero, nella Tracia o comunque vicini agli epicentri della civiltà anatolica-iranica; mentre gli Etruschi sono originari della Lidia.

Da considerare che il "balzo" degli etruschi e poi dei greci avvenne via mare, quasi improvviso, in pochi settimane di navigazione, quindi fu un immediato insediamento in luoghi con culture ancora arcaiche. Mentre gli altri, i palafitticoli danubiani, con varie tappe via terra, risalendo dal Mar Nero il Danubio, hanno impiegato diverse centinaia d'anni (le testimonianze dei reperti lungo l'intero corso, parlano di circa 1000 anni) per scendere poi -provenienti da nord e da est- nella Pianura Padana, poi in seguito come abbiamo accennato, gradualmente sull'Emilia, infine sull'Umbria e nel Lazio.

* La fusione di questi due gruppi (sull'intera dorsale appenninica) contribuirono in qualche modo - ma possiamo dire anche in fortissima misura - a dare il proprio carattere al Lazio se non proprio etniche, in quelle politiche, tecnologiche, agricole come vedremo in seguito. Dalle modeste condizione di abitanti in arcaici villaggi neolitici, rimasti, come del resto gli altri sulla penisola, esclusi da alcuni millenni dai grandi eventi che invece accadevano dall'Iran all'Egitto, presto, prestissimo, nell'arco di trecento anni il genio di questo popolo residente in zona, di cui conosciamo del periodo mesolitico e neolitico quasi nulla, recupera terreno, si affianca alle altre civiltà, assorbe da queste ogni realtà oggettiva e singolari concetti, e dopo altri trecento anni si innalza verso tutti gli altri alla suprema autorità di un impero ecumenico.

Ma abbiamo corso troppo; ritorniamo al.....

ANNI 1000 - 800 a.C. - Prime spedizioni di Etruschi in Italia. Le fonti egiziane menzionano minacciosi popoli del mare (i Dori), fra i quali i Trs.w, ossia secondo una vocalizzazione del testo consonantico egiziano dei geroglifici, sono i Tyrsènoi (Tirreni), che infestavano l' Egeo come pirati, sia in mare che sulle coste.

* Erodoto già a conoscenza di una teoria diffusissima e già antica, scrivendo nel 450 a.C. sull'origine degli Etruschi, riconnette questo popolo con la Lidia. Una singolare popolazione emigrata per una grave carestia in epoca mitica. Di altre storie ce ne sono tante altre, tutte poco attendibili. Oggi abbiamo l'archeologia! Che in molti casi sono dei veri e propri documenti che "parlano".!

* In effetti oggi sappiamo che -oltre la carestia- c'era ben altro sul mar Egeo e in Anatolia. L'impero Ittita era stato sconvolto ed era in piena decadenza sotto gli Assiri. Nel 1190 a.C. con la distruzione di Hàttusas questo popolo era scomparso del tutto (perfino dagli storici greci, fino al 1900 d.C., quando inizieremo a decifrare le lingue antiche e scopriremo intere biblioteche di tavolette); mentre a Babilonia la fine dei Sumeri era avvenuta pochi decenni prima. Una "rivoluzione" traumatica di civiltà su tutto il Medio Oriente. Altrettanto nel mar Egeo; l'invasione di sconosciuti popoli mise fine nell'arco di un secolo a tutte le antiche civiltà.

* Come se non bastasse, contemporaneamente o subito dopo, una grande peste colpì sia la Frigia che la Lidia. E in un territorio dove non c'era altro che morte e più nessuna speranza di sopravvivere se non come schiavi o servi, chi aveva a disposizione navi emigrò in lungo e in largo nel Mediterraneo. Alcuni si diedero alla pirateria (le cronache egizie che conosciamo oggi, ne sono piene) mentre altri si misero a cercare terre da colonizzare. Nelle immediate vicinanze distrussero e rifondarono alcune città; mentre altri approdarono in Grecia, nel Peloponneso, a Troia, e nelle varie isole greche, spazzando via ogni cosa e insediandosi con una autorità molto diversa dalle precedenti, che modificò non solo il territorio, ma l'economia non ancora a vocazione commerciale; trasformò la società ancora primitiva; cambiò la religione ancora animistica e demonistica con il mondo degli dei; contribuì al successivo sviluppo della coscienza politica greca, allora nel suo primo periodo, ma che inizia una accellerata evoluzione.

* Uno di questi gruppi con una flotta comandata da un capo spedizione proprio con il nome ricordato dagli egiziani: Tyrsènoi , abbandona le acque dell'Egeo (tocca senza dubbio qualche città dei FENICI, allora dominatori del Mediterraneo, con punti d'appoggio già in Sardegna, a Sulci, a Cagliari a Tharros) poi doppiata la Sicilia risale quel mare a cui da' il nome: Tirreno. Indubbiamente dopo varie esplorazioni e vari attracchi lungo le coste, conoscendo questa popolazioni molto bene il minerale ferro (infatti provengono da un territorio con forte influenza ittita) si stanziarono nelle colline metallifere della Toscana. Ma non dimentichiamo che la Sardegna è nel Tirreno, che la capitale della Lidia era all'epoca Sardi, e all'isola danno proprio questo nome; e che l'altare di Monte Accodi in Sardegna ricorda una ziqqurat mesopotamica, e che dentro alcuni antichissimi nuraghi (Serra Ilixi, Sant'Antico) sono stati scoperti lingotti di rame di provenienza egea con segni dell'alfabeto Lineare A, quello che conoscevano solo gli etruschi di quel periodo. - La Sardegna era abitata già da 4000 anni, ma era rimasta sempre (anche perché circondata dal mare) una civiltà molto chiusa verso l'esterno ma anche molto lacerata al suo interno. Un duplice isolamento che ne limitò lo sviluppo. Non ci riuscirono i Fenici, i Cartaginesi, e appena Tirreno toccò terra, non gli rimase altro da fare che rimettersi in viaggio per un altra destinazione, non molto distante: l'isola d'Elba ferrifera, e le colline toscane metallifere. Ed era quello che Tirreno e i suoi cercavano! Forse a bordo si era preso qualche marinaio fenicio che conosceva molto bene i luoghi, sia quelli sardi che quelli toscani.(Questo primo insediamento è datato convenzionalmente nell' 830 a.C.)

Tirreno e compagni possiedono una ricca cultura, del tutto ignorata nell'Italia centrale occidentale. Conoscono benissimo l'agricoltura, l'allevamento stanziale; le attività artigianali della ceramica, quella del rame, del bronzo e del ferro; usano un calendario lunare mesopotamico; conoscono l'alfabeto Fenicio di Ugarit (il n.1). Hanno insomma tutte quelle conoscenze mutuate dalle civiltà orientali, ma da tempo tutte in sfascio: la minoica, la cretese, la micenea, e la sumera che in questo periodo assieme agli ittiti e ai fenici (orientali), stanno entrambi scomparendo, non estinti, ma integrandosi sotto i nuovi padroni: gli Assiri in Anatolia e in Egitto, e i Dori nell'Egeo.

E' una civiltà quella Etrusca che non solo si diffonde territorialmente in un modo abbastanza omogeneo dall'Appennino Tosco-Emiliano fino alla Campania, ma resta anch'essa influenzata dall'altra cultura che sta contemporaneamente scendendo dalle Prealpi e dal Centroeuropa e sta affacciandosi anch'essa ai confini dell'Etruria, con le quali ha in comune una fiorente metallotecnica (che sappiamo ora) proveniente non da Hallstat, ma dal basso bacino danubiano (civiltà indubbiamente entrata dalle Porte di Ferro, a Est di Belgrado, dove il Danubio scende verso il Mar Nero, e dal Mar Nero ovviamente lo si risale fino al Norico.

A Varna proprio sul Mar Nero, si stanno scoprendo ultimamente preziosi reperti che mettono in discussione tutte le altre teorie delle migrazioni del centro Europa, comprese quelle occasionali entrate dall'Adriatico in questo periodo. Ricordiamo inoltre che sui Balcani, a Karonovo e Gradesnica, sono state scoperte le famose Tavolette Tartarie. Un "giallo" nella datazione della scrittura. Queste tavolette sono datate 3500 anni a.C. e anticipano l'invenzione della scrittura fatta dai sumeri o egiziani (tutt'oggi contesa). Altrettanto un sigillo cilindrico in argilla come quello dei sumeri, trovato a Karanovo. Dunque a Varna (in questa contrada ancora senza storia), cioè nell'antica Tracia, le ultime scoperte ci dicono che qui nel 4000 a.C. c'era un area culturale del tutto autonoma dalla Mesopotamia, dall'Egitto, e da Creta; e che addirittura le precede. Era già un centro di una civiltà universale; e le più recenti scoperte stanno confermando che l'origine della civiltà europea risiede senz'altro in Tracia, la vera culla dell'Europa. Tutta la storia scritta impostata sulla tradizione antica (storici come Erodoto, Tucidide, Timeo, Apollodoro) e la stessa storicità dei Dori diventerebbe tutta errata.

Paradossalmente é più esatta (leggendola attentamente) l'Iliade di Omero. Quando parla dell'eroe "trace" Reso, che ha un armatura e un "cocchio tutto d'oro", il "cavallo più bello del mondo" e veloce come il vento; lo fa spuntare fuori come un mitico eroe di tempi remoti. Ma non sbagliava Omero con i "tempi remoti"! Accenna a un "trace", e proprio a Varna è stata scoperta una necropoli con oggetti (monili, scettri ecc. ) in puro oro a 24 carati, e una armilla a lamine d'oro, come quelle della maschera di Agamennone a Micene. Soltanto che il tutto è di 2000 anni prima della caduta di Troia, 1000 anni prima della colonizzazione della Grecia, dell' Argolide, dell'Attica, di Creta, della Tessalia, dell'Elide, e dell'Illiria.

E sempre a Varna scopriamo che non solo 4000 anni a.C. si era sviluppata l'agricoltura e l'allevamento del bestiame, compreso il cavallo; ma che nasce quì la civiltà palafatticola; e la ceramica a stile geometrico e a vivaci colori; e le più antiche pitture su pareti intonacate (mille anni dopo comparvero a Creta); i primi lavori di tessitura del mondo; il culto del toro (che riemergerà mille anni dopo sempre a Creta), che è diffusa già la metallurgia (il bronzo già noto nel terzo millennio a.C.) contemporanea con quella vicina di Hacilar in Anatolia); comparsa di lucerne a triangolo equilatero; e che l'incenerazione dei morti era una consuetudine trace (i famosi popoli dei Campi d'Urne non provenivano dunque dal centro nord Europa, ma dal Mar Nero, da questa antica civiltà che stiamo scoprendo solo ora in Tracia!)

Del resto già Schliemann scoprì, e ne rimase molto sorpreso, che i distruttori di Troia, dovevano essere gli stessi che l'avevano fondata 1500 anni prima. Infatti nello strato I (il più antico) trovò moltissime espressioni della cultura balcanica: proprio quella dei Traci; stile nella costruzione di templi, architettura della casa, ornamenti, ceramica, monili in oro (e ignorava il tesoro di Varna scoperto solo nel 1973). Lo studioso Dimitar Dimitrov avanza l'ipotesi che i troiani siano da annoverare fra i primissimi emigranti traci in Asia Minore nordoccidentale che avrebbero attraversato in una precedente spedizione l'Ellesponto tra il IV e il III millennio a.C. . - E di questa data sono i primi palafitticoli nel centroeuropa e nelle Alpi (350 insediamenti palafitticoli; e che in Tracia, nella zona dell'ultimo tratto del Danubio, erano già presenti nel 4000 a.C., in una zona quasi identica a quella che presentava il Tevere nel 1000-800 a.C. (e i palafitticoli erano abilissimi nelle costruzioni sull'acqua, nella deviazione dei fiumi, nella costruzione di canali per far defluire le acque e prosciugare terreni, e perfino perforare montagne per poi portare le acque in lontanissime città. Sono lavori che iniziano già a Roma solo nel suo primo periodo 1000-750 a.C.).

Sorprende anche che Dionisio (Bacco per i Romani - la vite era presente in Tracia nel 4000 a.C.) e Cibele (culti introdotti ufficialmente poi a Roma nel 205 d.C.) sono entrambi non di origine greca ma trace. Questi riti orgiastici, di vino e sesso, erano così comuni nei Traci (nel senso naturalistico) che in migliaia di monete, ancora nel V secolo a.C., sono raffigurati espliciti coiti in tante posizioni con enormi falli quasi sempre impugnati come un'arma. Da tempo le nuove espressione artistiche erano orientate alla virilità maschile, in reazione a quella fino allora dominante femminile della Grande Madre. Infatti, nel 4000 a.C. in questi luoghi la rappresentazione simbolica della fertilità ha un singolare capovolgimento. Terminano le raffigurazioni femminili; le numerosi Veneri a grandi glutei e grosse mammelle che erano i simboli del culto della fertilità fino allora esaltato dentro una società tutta matriarcale. Del tutto giustificabile questo capovolgimento, perchè prima l'uomo era impegnato nella caccia, mentre la donna curava la casa, il villaggio, l'educazione dei figli, e forse osservando la vegetazione attorno, fu proprio lei a scoprire i segreti dell'agricoltura e a improvvisarsi preziosa coltivatrice di verdure e allevatrice di molti piccoli animali domestici che entrambe andavano a riformare l'intera alimentazione del clan.

Termina dunque questa simbologia tutta femminile e compare nell'arte la figura maschile. L'uomo non più impegnato nella caccia, ma solo nella difesa del villaggio si è trasformato in un guerriero. Ha inizio cioè la società maschilista, con le nuove mansioni e doveri impartite da numerose nuove strutture "politiche" del villaggio, incaricate d'ora in avanti solo a difenderlo il villaggio: cioè nascono i capi militari, funzionari, sacerdoti , fabbricanti di armi, strateghi della guerra. La caccia prima era per la sopravvivenza, ma con l'agricoltura e l'allevamento ora passa in secondo piano. Probabilmente l'uomo ha cercato di riscattarsi dall'umiliazione, quando si è accorto che quelle poche cose che lui procurava -e non sempre- con la sua povera caccia, era solo un "secondo" piatto; e con le loro donne che allevavano molti piccoli animali domestici, non era nemmeno più questo; il loro sempre più scarso bottino era solo un opzional. Proviamo a immaginare questi uomini, che prima erano orgogliosi delle loro cacce, mentre ora si aggirano in casa sfaccendati e annoiati e forse perfino d'impiccio alle loro donne che invece lavorano dalla mattina alla sera, tutte dotate della capacità nel procurare pranzo e cena tutti i giorni con la loro "intuizione" e la loro "creatività" nell'alimentare.

Tutta la mitologia greca, così i famosi tocchi magici dei loro dei nella creazione del grande "miracolo greco" é quindi da rivisitare. Dionisio era trace, e così suo padre Zeus. In lingua trace dio significa proprio Zeus, e Nysos significa giovinetto. Dunque, Dio-nisio é il giovinetto figlio di Zeus. Dei che solo nell' VIII secolo cominciarono a penetrare in Grecia, quando i greci nei primi commerci scoprirono le sponde e le città trace del Mar Nero, e lì scoprirono il mondo degli dei traci; un riflesso della società cavalleresca trace che si presenta a loro come una aristocrazia celeste con tratti umani e una grande libertà morale. Una religione superiore che eclissò quella ancora aborigena animistica com'era fino allora quella greca.

Così Apollo: viveva in Tracia 2000 anni prima di quello greco (ritrovato a Dupljaja nel Banato). Ad Apollonia sul Mar Nero (allora Trace) fondata nel V sec. proprio i greci eressero una statua ad Apollo alta tredici metri (scultore Calamide) ma era in onore del dio trace affinché proteggesse la Grecia. Lo stesso Orfeo e l'orfismo era trace. E lo stesso Monte Olimpo (il luogo degli dei) era trace, perchè posto al confine dell'antichissimo territorio un tempo trace.

(chi sta scrivendo qui, è stato sia sull'Olimpo, che a Dio, (in greco Dion), una città ancora del tutto sconosciuta, enorme, più grande di Atene. Citata da Omero. Da Dio, partì anche per il suo lungo viaggio Alessandro Magno. Flaminio la conquistò e sembra che l'abbia distrutta e spopolata. Dio è poi stata ricoperta dalla sottilissima polvere della terra della Magnesia. Solo oggi ricompare e come grandezza è impressionante.).

Insomma, che questa zona, la Tracia-Dacia sia stata agli albori della preistoria europea, cioè prima della nascita della civiltà egea e il vero centro etnico di tutti i futuri popoli europei antichi e le rispettive culture, l'archeologia e la linguistica, lo stanno sempre di più confermando le nuove scoperte aecheologiche.

Non in secondo piano passa poi la trasformazione civile e politica nata da questo popolo in due periodi distinti, prima nell'Egeo, e con un po' di ritardo a Roma, che seppe però fare ancora meglio perchè aveva la stessa potenzialità umana, ma come popolo non conosceva ancora i grandi eventi traumatici come in oriente. Ovvero l'aggressività e la prepotenza politica. Nè conoscevano quell'arroganza che era già un marchio "di fabbrica" degli Etruschi quando approdarono sulla penisola. Non dimentichiamo che le genti locali gli Etruschi le volevano schiave nel modo peggiore e quando in seguito iniziarono con Roma delle trattative per una unione politica volevano conservare ed estendere anche a Roma questa tracotanza, che non avevano invece i popoli dei Campi di Urne. Di cui non conosciamo nulla perchè non fecero mai parlare di sè; non una aggressione a un villaggio, o un evento di guerra. Eppure erano tanti, la popolazione decisamente superiore ad ogni altro gruppo presente in questo periodo sulla penisola fino al fatidico anno 1000 a.C..

Il "dominio pacifico" di questo popolo aveva già in Grecia (e in seguito in altri paesi) provocato immediati mutamenti politico istituzionali: al vanax miceneo o cretese succedette il basileus, con poteri militari, civili e religiosi; e quando si raggiunse dopo un periodo di animosità uno stabile equilibrio fra invasori e popolazioni soggette, si consolidò la divisione del popolo nelle tribù del territorio. Tutti i cittadini in grado di difendere lo stato, ebbero i diritti e doveri politici. Poi a poco a poco in Grecia, a un consiglio di anziani, capi dei gruppi gentilizi, si sostituì il consiglio dei capi militari (soprattutto per la difesa). Sembra di leggere quello che accadde alla fondazione nel 753 a.C. e più tardi nel 509, a Roma. - Ma che Roma prima ancora della Grecia anticipò, basta leggere le date: Pericle attuò lo stato democratico e le assemblee popolari solo nel 462 ! Quando Roma aveva già una istituzione (nel 509 la Repubblica) così solida, che proseguì senza grandi mutamenti per circa 500 anni; ed era così curata la struttura amministrativa e militare che siamo in grado di elencare con esattezza tutti i consoli eletti dal Senato e dai tribuni della plebe, anno per anno.

Perchè mai? Forse la risposta oggi con le ultime scoperte è molto semplice. Gli "invasori" in Italia, sia quelli provenienti da Nord che dal Sud non erano degli emarginati o dei fuggiaschi nè dell'Egeo nè dell'Anatolia, ma appartenevano agli ultimi discendenti di quella civiltà trace che si era per la seconda volta messa in viaggio.

Quella del Nord però aveva conservato la sua natura e la sua originalità politica perchè in mille anni risalendo il Danubio non era stata influenzata da popoli primitivi, né loro (sui Balcani) avevano influenzati questi, perchè lo spostamento fu continuo; ogni due tre generazioni cambiavano zona; e tracce di questi brevi insediamenti lungo il percorso di tutto il lungo corso medio e alto del Danubio ne hanno lasciate parecchie migliaia.

Quella del sud al contrario (più a contatto con l'area mesopotamica) aveva già da molto tempo introdotto nella sua società la "politica guerriera"; nata originariamente per la difesa, ma consacrata poi alle conquiste. Nascono così regni e imperi, o in continua lotta (vedi l'intero Medio Oriente) o in perenne apatia, chiusura a ogni altra politica sia commerciale che culturale. Come gli Egizi che rifiutarono per tremila anni ogni contatto. Un popolo quello egizio che vive l'intera sua esistenza sulla barca; e che quando la scopre non fa nemmeno uso della ruota, e non mette una sola nave nel Mediterraneo pur avendolo davanti. Dai fenici non imparano nemmeno come si costruisce una nave; né usarono l'alfabeto, e fecero a meno anche della moneta. Invece che ai commerci l'Egitto si dedicò solo nell'arte delle mummie e i relativi sepolcri, con un sistema teocratico che non poteva fare altro che anticipare il medioevo europeo quando lo stesso potere sacerdotale passò in mano a una quasi identica teocrazia. Eppure come abbiamo già letto in altre pagine, avevano anche loro avuto contatti (fra l'altro vicinissimi) innovativi con il mondo iranico mesopotamico nel 3000 a.C., con quello anatolico nel 1500 a.C. e poi con quello fenicio e greco nel 1000 e nel 700 a.C..

I ritrovamenti dei tesori di Varna o di Valci Tran, ci dimostrano un'altra cosa, che il mondo delle grandi civiltà umane nel 4000 anni a.C. non era ancora diviso, né antagonistico; quello dei traci antichi era un centro che riuniva la Grecia continentale ai paesi del Mar Nero in un'unica unità economica e culturale, la differenziazione sorse solo dopo; quando sì iniziò a parlare di popoli ricchi e popoli poveri, popoli civili e popoli barbari. Ovviamente i ricchi divennero quelli che riuscivano a rubare molto agli altri, e altrettanto ovviamente divennero popoli "civili" solo quelli che vincevano per prendersi le grandi miniere d'oro e d'argento che i traci possedevano (oggi non è cambiato poi di molto, nell'era moderna, è ricco chi ha il petrolio o chi si è impossessato dei pozzi di petrolio o delle miniere).

Di questo oscuro periodo sappiamo ancora molto poco. Ma le sorprese non mancheranno in un prossimo futuro.

Quello dei Traci, nel 1500-1300, a sud verso l'Egeo, e a nord risalendo il Danubio, fu l'ultima migrazione. Sappiamo che sul luogo (in Tracia) scomparve del tutto questa millenaria civiltà; poche comunità sopravvissero alla "colonizzazione" greca che raggiunse il suo apice nel VII sec. a. C. Conquiste che provocarono il profondo mutamento socio-economico della Grecia. Nel VI - V sec. a. C., i greci con le "conquiste", assoggettando i barbari , "saltando da un 'isola all'altra da una città all'altra, si gonfiarono come ranocchi in uno stagno" scrisse un antico. Nei primi tempi con i Traci fecero del commercio, poi li resero tutti schiavi, legittimando questo comportamento con la dialettica. Del resto la logica di Aristotele ancora nel IV sec. era "La schiavitù è giustificata per natura in quanto corrisponde a una legge naturale, giacchè gran parte dell'umanità (i barbari) é costituita di schiavi nati". La sua logica la mutuarono poi i romani allo stesso modo, e gli schiavi nati furono poi i greci senza distinzione di censo e cultura. Molti filosofi finirono anche loro schiavi, e chissà come conciliarono la frase di Aristotele. Tutto é relativo. Le stesse frasi le dissero pure gli spagnoli e i primi "cristiani" quando sbarcarono in America.

Dopo Alessandro la Tracia diventò solo terreno di lotta tra le monarchie ellenistiche. Gli storici greci (il più attendibile e obiettivo a quanto pare rimane Omero - ma fino a Schliemann e alla scoperta di Troia le pagine del poema sembravano piene di leggenda e non di storia) ci narrano che la Tracia era una zona povera, e ci nascondono ogni cosa, e quando lo fanno, con un senso di superiorità e di autocompiacimento la disprezzano, ci raccontano cioè cose non vere. E così i greci non si appropriarono solo della Tracia ma anche dei loro dei, e scrissero la loro storia, modificando la storia.

Quando vi arrivarono i romani, la Tracia era da alcuni secoli già in totale decadenza, e non potevano certo immaginare che il luogo era quello da dove erano partiti i primi uomini dei Campi di Urne, gli stessi che incontrò ai piedi del Palatino, Romolo, nel fondare Roma. Scrivono gli storici del tempo (30 a.C. - 200 d.C.) che sono stati i romani ad aver introdotto la vite e aver civilizzato la Tracia (le diedero perfino un nome - Romania). Nulla di più falso, perchè scopriamo nell'opera di Omero che le navi quotidianamente portavano a Troia anfore di vino trace, e che la vite non solo era già conosciuta in Tracia 4000 anni prima, ma con un tipo di luppolo fabbricavano già una birra e una specie di whisky.

* Ritorniamo alla civiltà arcaica dell'Italia centrale di questo periodo, soprattutto quella poco lontana dalle sponde del Tevere: i Latini. Circondati a nord e a sud da questi importanti fenomeni geopolitici narrati sopra, il loro territorio prima di ogni altra regione beneficia di entrambe le due invasioni culturali. Ne approfitta per divenire dinamica nella sua struttura e formare i primi nuclei di una società eterogenea anche se una parte Latina - come vedremo nelle continue lotte con i vicini villaggi perfino della stessa stirpe - è renitente alle novità, é chiusa, non vuole rinunciare a una sua vocazione, all'economia agricola-pastorale. (Padova ancora nel 1898 per lo stesso motivo non volle l'insediamento della FIAP, poi FIAT - Ma è un atteggiamento tipico di tutti i proprietari di terreni anche incolti a ogni latitudine). L'altra parte invece, quella più aperta, afferra e vive il proprio tempo, coglie l'attimo. Poi con la scoperta delle nuove tecnologie agricole e idrauliche, e dell'architettura a materiale durevole, fa subito sorgere come in Medio Oriente prima alcuni rustici villaggi, poi in breve tempo (il volano dell'economia dell'indotto comincia a girare a pieno ritmo) innalza la prima autentica città, costruendo le case in mattoni, gli edifici pubblici in pietra, fabbricando dighe, canali, ponti, strade, acquedotti.

ANNO 800 a.C. - Che sia avvenuto qualcosa di strabiliante in questo periodo non lo dice solo la tradizione leggendaria riportata in seguito con l'uso della scrittura nei racconti letterari che ci hanno poi tramandato i primi storici romani, ma ci viene confermata dalle testimonianze che ci giungono analizzando quegli istituti romani che si sono mantenuti dentro un singolare conservatorismo giuridico; che permettono di avere un quadro generale credibile per non dire esatto, anche se le lacune non mancano.

* Ciononostante, di questo primo periodo, pur non possedendo una cronaca scritta, oggi con gli esami archeologici sul sito Roma e Lazio, é confermata una mescolanza dei due popoli appena accennati sulla questione dell'aspetto e sulla formazione definitiva del popolo laziale prima, e in particolare quello latino romano subito dopo.

* Le più singolari di queste testimonianze, sono le inumazioni e le cremazioni (pratica incineratoria). Quest'ultima presente sui luoghi databili all'anno 1500 a. C. Una consuetudine questa del tutto sconosciuta ai latini e nel resto della penisola; quindi praticata solo dalle nuove popolazioni proveniente dal nord, ma che subito dopo non é più predominante, visto che già prima della fondazione di Roma, questa usanza scompare ed è adottata l'inumazione. Significa che gli indigeni riescono sì a mutuare in fretta tutto il bagaglio culturale dei nuovi venuti, ma sono poi loro a far da padroni nel proprio ambiente e a sviluppare in forma autonoma la propria cultura, modificando e arricchendo quella dei nuovi arrivati.

* Il ceppo di questi gruppi che non si lasciano condizionare ma semmai condizionano (diverrà poi una vera vocazione dei romani), sono gli indigeni degli antichi insediamenti posti sui Colli Albani: cioè quello dei LATINI. Una popolazione che sul territorio costituiva il gruppo più importante, e nella zona dove sorgerà poi Roma, possedeva quasi tutta la pianura della valle: 30 chilometri a sud e 30 chilometri a nord fino al Tevere, e a ovest all'attuale Ostia.

* Oltre il Tevere, a nord, il territorio si stava popolando di nuovi arrivi, mentre oltre l'Aniene insediati da alcuni secoli c'erano i Sabini, una popolazione arcaica locale, con rari ma comunque insofferenti contatti con i latini Albani. Quindi il cuore di tutto questo territorio - che si domina efficacemente con un solo incomparabile sguardo dalla cima del monte Soratte - era occupato dai Latini; e anche se non esercitavano questo dominio sull'intera pianura, di fatto erano loro i legittimi proprietari. Una legittimità che si estendeva in una fascia di terra anche al di là dei due fiumi.

Naturalmente questo disinteresse, era dovuto essenzialmente al piccolo numero di abitanti, e durò fino a quando la pianura in questione e le due fasce oltre il fiume, cominciarono ad essere colonizzate illecitamente dai nuovi venuti con lavori di canalizzazione per insediarsi nella piana fertile del Tevere per iniziarne lo sfruttamento agricolo.

Agli insofferenti del villaggio chiuso, questo era un bene, ai conservatori invece sembrò una sciagura nazionale.

* LA REGIONE - Molto particolare questo grande territorio, sia nella parte collinare che in quella attorno al Tevere. Per lungo tempo entrambe erano state ricoperte da uno spesso strato di cenere di origine vulcanica. Eruzioni che per qualche millennio erano state catastrofiche, poi all'epoca della fondazione di Roma, erano cessate da circa duecento anni (forse anche meno). Lo strato superficiale riuscì così a formare il prezioso e caratteristico terreno dell'agro romano; l'ideale per le nuove tecniche delle coltivazioni dei nuovi arrivati. Allo stesso fenomeno post-vulcanico e alla abbondante piovosità che la regione allora godeva, era pure dovuta la fitta vegetazione attorno ai Colli, che ancora ai tempi di Teofrasto (III secolo a.C.) sovrabbondavano di fittissime foreste di faggi con la presenza perfino di alcune sequoia.

(La superficie della provincia di Roma attuale é di 5352 kmq, di cui il 33,2% del territorio è pianeggiante, il 50,6 collinoso, il 16,1% montagnoso. Della superficie totale il comune occupa 1507,60 Kmq e ha due terzi della intera popolazione)

ANNO 790 a.C. - Abbondanti ritrovamenti archeologici ci indicano che l'agricoltura cominciò ad essere subito intensiva dopo i grandi lavori di drenaggio, di canalizzazione e costruzioni dighe. Troviamo quindi in zona le prime colture di grano anche se scadente (farro, miglio, orzo) e alcuni frutti dove primeggia però solo il fico.Ancora sconosciuto l'olivo (quello selvatico proveniente dal sud apparve nel VII secolo). Mentre la vite sicuramente fu portata dalle popolazioni del nord, dai palafitticoli (al Lago di Ledro questa era presente già nel 1400-1200 a.C.). Ma questa non fu molto importante, perchè anche dopo la fondazione di Roma la viticultura non era per nulla intensa; e sebbene i Vinalia compaiono nel calendario di Numa, fino all'epoca repubblicana (509) la vite non era coltivata a grande dimensione. Ci sono "storie" nel periodo del regno che indicano il vino come un medicinale, e ve ne sono altre che accennano a una proibizione (ai tempi di Domiziano, anno 81 d.C.) della coltura della vite e della relativa bevanda

ANNO 780 a.C. - E' un periodo in cui la zona dei Colli Albani è già disseminata di grandi villaggi. Sorgono su alture o sulle pendici per il fatto che i terreni in pianura (che avevano a disposizione, ma che non utilizzavano) richiedevano grandi opere di drenaggio per renderli abitabili e soprattutto coltivabili. Questi villaggi sui colli - non sappiamo con quale istituzione arcaica - (forse come quella ancora vigente oggi in A.Adige, "del Maso Chiuso", unico erede universale é solo il primo figlio, gli altri se vanno d'accordo restano a stipendio o altrimenti vanno via) appropriandosi in tempi lontani di un tratto del territorio avevano dato vita col tempo e col sistema del patriarcato a gruppi familiari sempre più numerosi, un vasto parentado differenziato nelle mansioni e amministrato da una gerarchia sempre più complessa, ristretta a pochi componenti della stessa famiglia.

Infatti, in questo periodo, nel 780 a.C. esiste già una struttura sociale che ha creato al suo interno le prime separazione di classi; di conseguenza anche un genere di aristocrazia che passa dal tipo "feudale campagnolo" in pochissimo tempo a "feudale guerriero", che iniziò (provocata o provocando) subito ad avere anche le prime inimicizie e relative animosità con i vicini nel contendersi qualche bosco o appezzamento di terra. La struttura era quella di una comunità agricola molto arcaica a economia chiusa, ma già all' interno esisteva una specie di "aristocrazia" ereditaria, che possedendo il diretto controllo della terra assumeva nei confronti della popolazione (compresi i numerosi parenti, anche affini - il Maso Chiuso, idem) un atteggiamento autoritario, di sfruttamento dei subalterni, anche se nello stesso tempo - oltre a fornire il necessario per vivere - offriva un rapporto di protezione da eventuali nemici. Che erano prima i paesi vicini, poi più tardi con una politica del tipo "nazionalista", le spedizioni guerresche si organizzarono contro i villaggi di confine e anche in quelli oltre. La nascita di una Lega forse servì proprio a questo: a coalizzarsi. - Nelle guerre che elencheremo più avanti, ne troveremo molte di queste alleanze, e molto spesso anche infide).

ANNO 760 - a. C. -Prima della fondazione di Roma si contano circa 60 di questi villaggi, disseminati su circa mille chilometri quadrati; quindi con una media di circa sedici chilometri quadrati ciascuno. Sono queste "città" che formano le prime unità territoriali dei latini: i pagi, la base della loro struttura sociale che non sappiamo per quale ragione (se per la difesa, se per motivi di culto, o per altri obblighi ignoti) una tradizione vuole poi riunita sotto una Lega politica con a capo Alba Longa, un sito nelle vicinanze di Castel Gandolfo. Anche se una informazione tramandata da Prisciano, colloca la sede di questa Lega Albana, ad Aricia, il luogo dove sorgeva il celebre santuario di Diana; un importante centro di culto riconosciuto da tempi antichissimi (scrive Plinio). Alla fine dell'epoca regia la lega riuniva ancora circa 30 membri di cui Roma ne faceva parte, anche se con una certa insofferenza per via della mentalità arretrata di alcuni aderenti. Nella Lega era forse predominante l'elemento religioso, e nei primi tempi questa componente si rivelò un efficace strumento di coesione politica; anche se la tradizione e la storia ricordano liti e lotte fra gli stessi villaggi latini, oltre che con quelli Sabini e con altri vicini.

Comunque sia, questa Lega riuniva un Capo di ogni villaggio, diciamo "ricco", "aristocratico" , con funzioni di sovrano della collettività; un Rex. eletto con il consenso degli dei: comandante, sacerdote e giudice supremo. Una sovranità, l'auspicium, (l'interpretazione del dovere divino - una unzione che ogni sovrano arrogante esibisce davanti al popolo) che se era accolta dalla plebe ignorante, a nutrire alcuni dubbi erano proprio quelli della sua stessa condizione, quindi spesso contestata questa autorità sia da dispute dinastiche (le congiure una prassi) all'interno della propria famiglia e sia da lotte di altre ricche famiglie - Patres gentium - che ambivano a posizione di prestigio. Dimostrando che a non credere a poteri divini dei loro arroganti congiunti, erano proprio loro, gli aristocratici e i contendenti del potere.

Siamo agli inizi delle prime alleanze di religione e politica per gestire meglio il potere. La prima paventando la punizione divina, l'altra la punizione della legge, quella naturalmente che si è fatta il potente di turno. ("E non c'è una legge che torni comoda a tutti gli ambiziosi del potere". Livio - Chi domina si fa la sua "legge"). Iniziano le alternanze in cui ognuno con ogni mezzo cerca di persuadere gli altri di essere lui il prescelto dalla divinità, ma per convincere che gli dei sono con lui, e lui è un dio, non dimentica di usare la "sua" legge che è poi quella delle sue armi. Chi le ha potenti e ne ha tante, vince e fa la "sua legge". (non è che sia cambiato molto nei tempi moderni; se Hitler non metteva in fuga nel 1938 l'inventore della bomba atomica, l'avrebbe usata lui e avrebbe vinto la guerra; avrebbe poi giustificato il suo uso come fece Truman "per metter fine alla guerra e non causare altri morti").

* A parte la leggenda Romolo, Remo e la Lupa (questa nascerà più tardi), e di altre leggende ancora più antiche, come quella di Enea; la tradizione storica antica (abbastanza più affidabile e realistica) narra che Romolo in una di queste controversie tra "piccoli Reucci di campagna", fu allontanato da Alba Longa dallo zio Amulio, un usurpatore a un trono a cui forse Romolo aspirava. Il nipote abbandonò Alba Longa e scese nella vallata del Tevere, deciso a ritagliarsi uno spazio nei pressi del Palatino; che alla sua base non era affatto disabitato. C'era gente di ogni razza, incluso qualche latino dei Colli, forse nelle stesse condizioni di Romolo, cioè privati di prestigio, di eredità, di prospettive; che avevano preferito uscire dal ghetto patriarcale per lanciarsi all'avventura dei "tempi nuovi". Costoro non aspettavano altro che un capo e una mente dotata di acume politico, come desidera del resto ogni gruppo isolato, di emigranti o colonizzatori, in qualsiasi regione del mondo.

Il Palatino é il Colle che con dieci ettari di superficie si erge e domina -con le sue formidabili rocce- tre lati. Abbastanza largo per ospitare un grande villaggio com'era nelle intenzioni di Romolo. Ma soprattutto sembra luogo ideale per l'insediamento di un villaggio costruito su modello Albano (cioè arroccato) che avrebbe quindi potuto difendersi contro attacchi di nemici. Invece cosa accade, che stranamente non ci sono testimonianze archeologiche di grandi insediamenti sul colle, ma solo alla base, il luogo in cui sorgeranno in seguito i Fori, il Velabro e il Circo Massimo. Questo dimostra che c'era stato un mutamento nella concezione degli insediamenti, forse dovuto proprio ai primi (abusivi) abitanti già sparpagliati sul luogo, che appartenevano ad un altra stirpe, o a una generazione diversa, non certo a quella rintanata nelle impervie montagne o nei colli in mezzo alle impenetrabili foreste; il "nuovo" abitante amava i grandi spazi, la pianura; una natura diversa, di certo più ostile per le piene alluvionali, ma se domate - e i mezzi e le idee ora c'erano - la prosperità non era un miraggio ma una realtà solo da raccogliere, anche a tempi brevi, perchè c'era intelligenza e determinazione e più nulla fu lasciato al caso. E che determinazione!!

* La mentalità era cambiata; gli scambi attraverso il fiume erano divenuti intensi; il commercio stava modificando tutta l'economia; le tecnologie della coltivazioni con il drenaggio e le arature che facilitavano le semine stavano rivoluzionando tutto il territorio. Altro che "coltura eroica", come quella dei terrazzamenti di pochi metri sui Colli. Era inoltre dal fiume che avvenivano i contatti con gente diversa; che portava non solo nuove idee, ma nuove piante, nuovi oggetti, nuovi animali, nuove tecnologie, ma soprattutto dal fiume scendeva quella intraprendenza che è la caratteristica dei colonizzatori; cioè il lavorare sodo. Da quel guado arrivò in questo periodo il primo aratro e la prima scure in bronzo, il primo cavallo, la prima pecora, la prima capra, il primo maiale e il primo tralcio di vite e chissà quante altre cose utili , e quante meraviglie. Possiamo benissimo immaginare quando arrivava un carico sul fiume, quanta curiosità c'era attorno. E le sorprese indubbiamente a quel tempo dovevano essere molte per la gente del posto.

* La posizione dunque era strategica. E saranno proprio questi fattori che contribuirono a trasformare il semplice villaggio di Romolo in una grande città, che alla sua nascita era già un crocevia di tre mondi diversi; due da mille e più anni in continua evoluzione, e l'altro, indigeno, ad assistervi non passivamente. Anzi! A cogliere l'essenziale più che il generale, in tutto.

* La base del colle e l'insediamento del nuovo villaggio, dietro il riparo delle sue rupi, quindi si trovava in una posizione vantaggiosa, in quanto, anche se non proprio da vicino, dominava il fiume nel punto in cui il guado sotto l'Isola Tiberina costituiva il più agevole di tutti gli attraversamenti dalla pianura latina verso nord ovest. Da non dimenticare che proprio alla base del Palatino sul lato sinistro, lungo la Vallis Murcia, esisteva la più antica e anche l'unica via di comunicazione tra il Tevere e i colli Albani (la futura Appia - o via Latina). Il che significa che alcune attività commerciali da e verso il fiume si svolgevano da molto tempo, anche se in una forma molto limitata e solo occasionale. Del resto, lo abbiamo letto, il territorio latino non solo raggiungeva la sponda sinistra del fiume, ma. anche se non l'aveva mai abitata, possedeva una fascia di terreno anche nella sponda destra (quindi a nord) sia del Tevere che dell'Aniene.

* La documentazione archeologica ci testimonia che nella zona, prima della decisione di Romolo di far sorgere qui una nuova città, esistevano già dei piccoli villaggi; costruiti da nuclei familiari di molti elementi ma sicuramente gruppi tra loro separati, come mostra il fatto che tra di essi sono state rinvenute alcune tombe. E mostra (come accade in tutti gli insediamenti di immigrati) che erano formati da popolazioni diverse, perchè i riti funerari erano diversi: ci sono inumazione e ci sono cremazione. Quindi non una presenza compatta di genti latine come nei Colli Albani, ma mista, dovuta a quella - antica o più recente - migrazione disordinata che abbiamo accennato più sopra. Alcune cremazioni ritrovate sul territorio del Foro sono datate 1500 a.C. - 1000 a.C.. Poi da questa data le nuove popolazioni adottarono anche loro la inumazione, e nei villaggi sotto il Palatino si formò un sepolcreto che continuerà fino a VI secolo a. C; cioè fino a quando si prosciugarono e si recuperarono i terreni bassi paludosi a nord del Palatino a mezzo della Cloaca Massima.

* E' questo il periodo dove inizia la vera storia del Foro romano, quando la piazza che vi sorgerà, diventerà il centro del mondo conosciuto, per mille anni.

* L'abilità del fondatore, fu dunque quella di riuscire a unificare questa popolazione eterogenea. La città nacque perciò da un processo progressivo di fusione di gente diversa, che poi prendendo coscienza della propria operosità sentì nascere l'orgoglio di appartenere a questa comunità così apolide (come negli USA all'inizio dell'ottocento). Forse inizialmente mediante una forma di federazione tra i villaggi sparsi, poi quando alcuni interessi che prima erano di un solo gruppo divennero di tutti, e l'integrazione fu una necessità per progredire più in fretta, piano piano la federazione si trasformò in una struttura politica unitaria senza uguali. Avvenne nel giro di qualche decennio, dovuto a un "miracolo" economico e tecnologico che indubbiamente stimolò e coinvolse tutti, vecchi e nuovi arrivati, ma sempre con la predominanza dei latini. Questo perchè dai grandi centri dei Colli Albani, i più intraprendenti (ma altrettanto fecero alcuni Sabini - Appio Claudio migrò a Roma per far fortuna proprio con un gruppo di Sabini) attratti da questa "rivoluzione" politica sociale ed economica (come le migrazioni dalle campagne negli anni '50 e '60 in Italia) scesero in massa nella "nuova città", sottraendo braccia ma anche "cervelli" giovani ai villaggi, lasciando andare in decadenza i centri stessi e insieme anche quella aristocrazia conservatrice che si arroccò nei suoi poderi con le arcaiche tradizioni e istituzioni, osteggiando e perfino"combattendo" la nuova grande città-realtà che cominciò subito a sconvolgere il territorio. Combatteranno invano! Alcuni di questi centri nel corso del sec. VI, sparirono del tutto. Rimasero solo alcuni nomi storici, che Plinio ci ha tramandati ricostruendo la Storia di Roma in un documento compilato per ordine dell'imperatore Augusto. Forse il più attendibile di tutte le altre storie e leggende.

* Plinio ci informa che nel V secolo, di 60 centri erano sopravvissute solo queste cittadine; Tusculum, Nemorensis, Aricia, Ardea, Antium, Satricum, Pometia, Anxur (Terracina), Signa, Ferentinum, Anagnia, Norba, Cora, Velitrae, Antium, Lavinium, Bovillae, Ficana, Marino, Frascati, Ostia, Labici, Gabri, Tibur, Pedum, Praeneste, Circei, Collatia, Antemnae, Ficulea, a nord del Tevere e Atiene, Silva, Fidenae, Ficulea, Nomentum, Crustumenum, Capena, Eretum, Carsioli, Varia.

* Una cosa è certa. Nel momento in cui Roma nasce (c'erano come abbiamo visto tutti gli elementi a favore) cammina subito in fretta verso l' età piena della città e s'inserisce immediatamente in maniera sempre più profonda nel sistema di relazioni commerciali verso l'Etruria in un periodo in cui la cultura, la civiltà, il fasto, la ricchezza e la potenza della aristocrazia etrusca avevano raggiunto il culmine; e stavano quasi avvolgendo e coinvolgendo la stessa Roma. Infatti, dopo pochi decenni inizia il periodo di convivenza con alcuni governanti etruschi e gli effetti di questi rapporti non solo culturali ma anche politici si faranno subito sentire nel 616 quando Tarquinio Prisco inizia la prima dinastia dei re romani etruschi; poi gli effetti si faranno ancora di più sentire politicamente quando l'altro etrusco Servio Tullio nel 577 con una straordinaria lungimiranza politica - che sembrò al momento una megalomania - dentro le mura (le serviane) fece racchiudere i Sette Colli. Per 1000 anni, quelle mura divennero le pareti di uno scrigno; e dentro, a una a una, spuntarono le più belle gemme del mondo create da un popolo singolare, mettendo insieme mille culture per farne una tutta sua; più che con i mezzi a disposizione, le capacità di utilizzarle in un modo migliore.

Sta per iniziare la "grande avventura", sta per sorgere una grande aerea politica, economica e culturale, che anche se dopo mille anni conoscerà il suo crepuscolo, non cesserà mai in futuro nella storia d'Europa e del Mondo, di stupire. Sta sorgendo nel Mediterraneo e nel centro Europa un grande area con un unica valuta e delle insignificanti barriere doganali, il cui commercio non é ostacolato da frontiere ma anzi incoraggiato e facilitato da mille strade, porti e città - sorte proprio per questa sfera d'azione della moneta e dell'economia di mercato - che l'Europa, ancora oggi nel 2000, dopo 2753 anni cerca affannosamente di prendere a modello. Quella moneta si chiamava denario, ma non era solo l'unità di base del sistema monetario romano che era presente in tutto il mondo conosciuto (perfino a Canton - H. Kong - e in Cina ne sono state ritrovate in grande quantità) ma dove questa giungeva, era anche un potente mezzo di sviluppo di una civiltà; la moneta sul diritto recava la testa galeata di Roma e sul rovescio i Dioscuri al galoppo; due appropriati simboli che andranno a creare la leggenda Roma.

Fu un autentico galoppo, e quello che era solo fino allora leggenda, si trasformò in una reale straordinaria millenaria epopea.

QUI INVECE SI PUO' PROSEGUIRE

CON UN BREVE RIEPILOGO DELLE VARIE DATE

ANNO 776 a.C. - In Grecia inizia la I Olimpiade (vedi STORIA DELLA GRECIA ANTICA)

ANNO 770 a.C. - Greci dell'Ubea s'insediano nell'isola di Pitecusa (Ischia)

ANNO 771 a.C. - Coloni greci fondano Metaponto in Lucania.- Altri gruppi fondano nel 760 Zangle (Messina) e nel 750 Reggio Calabria)

ANNO 757 a.C. - Greci dell'Ubea fondano Cuma

ANNO 753 a.C. - Fondazione di Roma, Secondo Varrone; Ennio nei suoi Annales colloca la fondazione nel 875; Fabio Pittore nel 748; l'annalista Cincio Alimento nel 729 e Timeo nel 814 contemporanea alla fondazione di Cartagine

ANNO 740 a.C. - Composizione dell'Iliade omerica

ANNO 720 a.C. - Composizione dell'Odissea omerica

 

I SETTE "RE DI ROMA"

< < QUI TUTTI I CONSOLI ROMANI

(le biografie, scritte da Tito Livio sono nei rispettivi link dei nomi)

 

n° nome origine inizio regno fine regno note

1° Romolo Latino? 753 717 leggendario

2° Numa Pompilio Etrusco 715 673 leggendario

3° Tullo Ostilio Etrusco 672 641 incerto

4° Anco Marcio Etrusco 640 617 incerto

5° L. Tarquinio Prisco Etrusco 616 579 incerto

6° Servio Tullio Etrusco 578 535 -

7° Tarquinio il Superbo Etrusco 534 510 -

 

IN BREVE RIASSUMIAMO

Parlare della storia d' Italia nell' antichità significa parlare della storia di Roma, del suo innalzarsi da modesta città all' incrocio di importanti vie di comunicazione a dominatrice del mondo, del suo instaurare due secoli di sicurezza e di pace dalla Crimea a Gibilterra, dall' Eufrate al Vallo di Adriano, infine a diffondere la cultura classica in tutto il Mediterraneo e in tutto l' Occidente Europeo.

Nessuna altra città è stata così a lungo il centro della storia di un grande impero, prima per il dominio politico, poi nel diritto, per quasi tremila anni una sorgente di espressioni e di diffusione dell'arte, ed infine da duemila il centro della religione cristiana.

Per millesettecento anni Roma restò il fulcro del mondo occidentale. Per questo parlare di Roma significa parlare dell' Italia e soprattutto di noi stessi italiani, che non dimentichiamo, facciamo parte di un popolo che non è solo leggenda, ma da 2800 anni è Storia.

Ce l'avessero tanti Stati !!! Se la sognano !! Da secoli sono sempre frustrati !!!

La stirpe italiana può vantare la nobiltà di Roma immortale, il cui genio non si è spento come quello di Atene, ma è passato a tutti i cittadini d'Italia, alla stirpe italica stessa, degna essa dell'anima di Roma e deve attestare il sopravvivere in noi di questa nobiltà di stirpe, che ci impone doveri di civiltà superiore e di ascensione umana, che a nessun altro popolo incombono come noi, figli di Roma.

(Bossi a questo punto ci appare anacronistico, se non patetico! - E chi scrive qui, non è affatto romano, ma piemontese; un piemontese obiettivo).

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La nascita di Roma sembra avvolta anch'essa nella leggenda, ma solo perchè i Galli nel 390 a. C. incendiarono la città, e la maggior parte delle testimonianze storiche andò distrutta, perciò più tardi fu solamente l'amor di patria ad ispirare numerosi poemi sulla sua fondazione.

Lo studio del passato più accettabile è che da Albalonga, una città che giaceva ai piedi dei monti Albani, una colonia di Latini, intorno all' ottavo secolo a. C. si spostò verso nord-ovest e fondò la città, forse per farne un baluardo contro l' avanzare degli Etruschi o forse perché il destino così voleva.

Il luogo era a circa venti Km dal mare, al riparo dai pirati e molto adatto al commercio interno, perché il sito veniva a trovarsi all' incrocio del traffico fluviale con la strada che collegava il Nord con il Sud.

Il primo colle ad essere abitato fu secondo la tradizione, il Palatino, questo perché un isoletta molto vicina alla base del colle permetteva in quel punto di guadare il Tevere.

Le tre tribù, Latini, Etruschi e Sabini costituirono una federazione e fondendosi formarono la città.

Il primo re fu ROMOLO, egli scelse cento capi famiglia che avevano con lui fondato la città ed erano dotati di capacità per costituire il Senato; questi uomini furono più tardi chiamati patres e i loro discendenti patrizi.

( Secondo le più moderne teorie i patrizi furono invece i discendenti dei Sabini che conquistarono poi Roma ). Possiamo anche sostenere che i patrizi furono i membri di famiglie che per la loro forza economica o militare si assicurarono le terre migliori.

Queste famiglie, i Valerii, i Cornelii, i Fabii, gli Aemilii e i Claudii furono i veri detentori del potere nella città per i successivi cinque secoli dopo la fondazione di Roma.

Il Senato poi si compose di trecento membri.

Dopo i patrizi, anche se molto meno influenti politicamente, venivano gli equites, uomini d' affari spesso ricchi abbastanza per permettersi l' accesso al Senato, dove formavano la seconda parte di quell' ordine chiamato dei patrizi aggiunti.

La plebe era la maggioranza dei cittadini romani, comprendeva artigiani, contadini, commercianti.

Sotto di loro c' erano gli schiavi.

La leggenda narra che Romolo, per procurare mogli per la sua tribù, rapì durante una festa le donne dei Sabini, scatenando così una guerra con Tito Tazio, re della tribù sabina dei Curiti.

La leggenda racconta che furono proprio le loro donne, quando le truppe di Tazio si avvicinarono al Palatino, ad interporsi e a far stringere un armistizio tra i due contendenti.

Romolo rappacificato persuase poi Tazio a dividere con lui il trono e a fondere la sua tribù con quella dei Latini.

Molto probabilmente questa vicenda nasconde semplicemente la conquista di Roma da parte dei Sabini, inconfessata nelle successive narrazioni degli storici di Romani.

Dopo la morte di Romolo e di Tazio i capi delle famiglie si riunirono ed elessero a re il sabino

NUMA POMPILIO

La vera e propria autorità era nelle mani degli anziani senatores, mentre le funzioni del re si limitavano quasi esclusivamente al campo religioso.

Infatti Numa cercò di inculcare il timore negli dei, fingendo persino di avere dei colloqui notturni con la divina Ninfa Egeria.

Egli stabilì un culto uniforme per le tribù di Roma, rafforzando l' unità e la stabilità dello Stato.

Numa, secondo quanto scrisse Cicerone, donò al suo popolo quarant' anni di pace.

Mentre il suo successore, TULLO OSTILIO, riportò i Romani alla loro vita abituale, ricominciando a fare delle azioni belliche contro le città vicine.

Per prima cosa attaccò e distrusse Albalonga, torturando poi a morte il suo re.

Il suo successore, ANCO MARZIO (O MARCIO), continuò la sua politica espansionistica.

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Intorno al 620 a. C. , LUCIO TARQUINIO PRISCO , figlio di Demarcato e di una donna etrusca, emigrò da Tarquinia a Roma, dove conquistò una importante posizione, tale da farsi eleggere re alla morte di Anco Marzio, grazie all' appoggio di una coalizione di famiglie etrusche (616 a. C.).

Sotto Tarquinio Prisco la monarchia accrebbe i suoi poteri a danno dell' aristocrazia aumentando -viste le origini- anche l' influenza etrusca su Roma.

Tarquinio combattè vittoriosamente contro i Sabini, conquistò tutto il Lazio, usò le risorse acquisite per abbellire Roma, ma anche altre città etrusche, come Tarquinia.

Dopo un regno di trentotto anni fu assassinato dai patrizi, che volevano limitare - com'era sempre avvenuto- l' autorità monarchica solo alla sfera religiosa.

La sua vedova, Tanaquilla, riuscì comunque a trasmettere in eredità il trono a suo figlio SERVIO TULLIO ( 578 a. C. ).

Servio è stato il primo re che ottenne il trono per diritto di sangue, senza essere stato scelto dal popolo.

Egli fece circondare Roma da una cinta di mura per difendere la città da razzie, si alleò con la parte ricca della plebe contro i proprietari terrieri, e riuscì così a rafforzare la sua posizione come sovrano.

Divise poi i cittadini in classi in ragione del censo, rafforzando così la classe degli equites (cavalieri).

Al censimento risultarono 80.000 uomini atti alle armi, e possiamo in questo modo calcolare la popolazione di Roma di questo periodo intorno alle 250.000 persone.

Divise i cittadini in 39 nuove tribù, tenendo conto, nella suddivisone, esclusivamente del luogo di residenza, indebolendo così la classe aristocratica, che fondava i suoi poteri sulla nascita.

Alcuni anni dopo un altro Tarquinio lo accusò di regnare illegalmente, allora Servio Tullio si sottopose al giudizio popolare, ottenendo un plebiscito in suo favore.

Fu una delle prime espressioni popolari della futura democrazia romana che però non ebbe fortuna: Infatti Tarquinio lo fece allora assassinare e si proclamò re ( 535 a. C.)

Sotto di lui, noto alla storia con il nome di TARQUINIO il SUPERBO, la monarchia diventò assoluta, distinguendosi anche per numerose crudeltà pur di difendere il suo potere, attirandosi così l'odio di tutti gli uomini potenti della città.

Egli attaccò i Rutili e i Volsci, e mentre si trovava alla testa dell' esercito divenuto ormai pericoloso il Senato lo depose ( 509 a. C. ).

Il motivo della sua cacciata è avvolto nella leggenda, si racconta che il figlio di Tarquinio violentò la moglie di Lucio Collatino, il quale, con il suo amico Lucio Giunio Bruto, riunirono i senatori e li persuasero a bandire i Tarquini da Roma.

Il re deposto corse in gran fretta verso la città, mentre Bruto, raggiunto l' esercito romano, conquistò l' appoggio dei soldati. Tarquinio fuggi al Nord e chiese all' Etruria di rimetterlo sul trono.

I cittadini elessero allora due consoli con uguali poteri da esercitare per un anno.

La tradizione riporta che i primi due consoli....

QUI I NOMI DI TUTTI CONSOLI DI ROMA DAL

509 A.C. AL 69 D.C.

.....furono Bruto e Collatino, quest' ultimo però rinunciò in favore di Publio Valerio, detto poi Publicola, cioè amico del popolo, perché fece votare al Senato diverse leggi poi rimaste fondamentali nella storia Romana, cioè: che qualsiasi uomo avesse tentato di farsi re fosse punibile con la morte senza bisogno di un processo; che qualsiasi tentativo di impadronirsi di una carica pubblica andava punita con la morte; ma lasciò anche la facoltà a qualsiasi cittadino condannato alla sentenza capitale da un magistrato di potersi appellare all'Assemblea, che in questo caso fungeva da supremo tribunale..

509 - Questo cambiamento politico liberò Roma dall' influenza Etrusca e sostituì la monarchia con una Repubblica oligarchica che governò poi Roma fino alla comparsa sulla scena di Cesare.

La situazione politica ed economica dei cittadini più poveri e deboli tuttavia non migliorò, anzi furono costretti a restituire le terre che Servio aveva dato loro e persero quella poca protezione che la monarchia aveva in precedenza dato.

Lars Porsenna, supremo magistrato di Chiusi, raccolse un esercito tra le città confederate dell' Etruria e marciò su Roma. Nel frattempo anche a Roma veniva fatto un tentativo per restaurare sul trono i Tarquini, represso poi nel sangue. Si racconta che tra i cospiratori vi fossero due figli di Bruto, Roma assistettero impassibile alla loro decapitazione.

Nonostante la stoica resistenza, tanto cantata dai poeti latini, Roma si dovette arrendere a Porsenna e consegnare parte del territorio conquistato dai re a Veio e alle città latine depredate nei decenni precedenti.

Porsenna piuttosto magnanimo non pretese la restaurazione dei Tarquini. Roma ne uscì indebolita ma gli effetti della sua rivoluzione rimasero.

prosegui con le varie date dal 753 a. C. in poi

753 - 501 a. C.

vedi anche i "RIASSUNTI DEI VARI PERIODI"

ANNO 753 a.C. - Fondazione di Roma secondo Varrone. Ennio nei suoi Annales colloca la fondazione nel 875. Fabio Pittore nel 748. L'annalista Cincio Alimento nel 729. Mentre Timeo la colloca nel 814 contemporanea alla fondazione di Cartagine.

ANNO 753 a.C. - 21 Aprile - (Secondo i calcoli e la narrazione di Varrone)- Da un avamposto dipendente dalla città laziale di Albalonga in un passaggio obbligato del Tevere, in corrispondenza di un guado sul fiume (il ponte Sublicio della tradizione) nei pressi del colle Palatino, ROMOLO fonda la città di Roma. A capo (rex) della prima comunità che in seguito prenderà il suo nome, Romolo è investito di un autorevole potere religioso e sacrale; ma molto debole invece quello politico, solidamente conservato da una oligarchia patrizia (patres) già presente in precedenza sul territorio, soprattutto nei vicini villaggi dislocati sui colli Albani; anche se una parte di questa aristocrazia (più moderna, più aperta alle novità di quella che si è invece isolata e arroccata sui colli) é già scesa da tempo nella nuova città, ad esercitare tale potere sui gentiles e sul populus.

Con questa iniziale aggregazione avviene subito dopo una ulteriore e progressiva differenziazione economico-sociale tra le due classi, che va a tracciare una più netta divisione tra patrizi e cittadini, e ai margini una sottoclasse, quella della plebe . Una struttura sociale già antica, ma in questa nuova forma é in parte mutuata dagli Etruschi che avevano instaurato da tempo un'economia ancora più marcata dallo schiavismo classico, ma che nella moderna Roma che sta sorgendo, in quella misura inumana non volle mai imitare, nei suoi primi passi ma anche in seguito.

ANNO 753-716. Monarchia di Romolo. In questo periodo Romolo é sovrano, é un energico amministratore, un forte assertore della fusione tra Sabini e Romani (il suo successore Numa, sarà appunto Sabino), è già un governante capace e risoluto nel creare i primi ordinamenti civili per la nuova città. Le più importanti sono: la divisione della popolazione in tre tribù (o meglio centurie), Ramnènsi, Tiziensi e Luceri (Riconducibili questi nomi, secondo Varrone agli etruschi, ma gli studiosi di oggi li attribuiscono ai celti); e la creazione di trenta curiae - una struttura di un assemblea del popolo - che (anche se in una forma diversa) continuò ad esistere nel periodo repubblicano. Questo ordinamento romano - il voto di gruppo - é la più singolare istituzione di tutte quelle fino allora conosciute, e non soltanto nella penisola. Nel corso di due secoli migliorerà ancora.

Alle gentes (così era chiamata la folla campagnola si sostituisce il populus = forza armata inquadrata in una comunità; solo in seguito populus significa tutti i cittadini: cives.

L'assemblea del popolo (Comitia curiata) si articola in 30 curie (curie = Coviria: una comunità solo maschile); i cittadini sono divisi nelle tre circoscrizioni - nelle Tribus dette sopra - costituita da 10 curie.Ognuna fornisce 100 cavalieri e 10 centurie di fanti. - Assistono il re l'assemblea degli anziani (Senatus = Senes: anziani), composta dai capi delle famiglie, e l'Ordine dei sacerdoti. (Re Servio Tullio nel 578 con una grande riforma militare e costituzionale, nel creare i Magister Populi = capo dell'esercito, abbandonerà il principio gentilizio per quello timocratico- cioè il censo, la ricchezza espressa in proprietà terriera, e non la nascita. Il suo motto é: "Ogni costituzione politica é una costituzione militare".

Ma alla caduta della Monarchia, nel 509 a.C. tale riforma sarà ancora modificata, creando i pilastri della più straordinaria istituzione (Senato, Assemblee popolari e Magistratura), poi imitata da tutti i Paesi; e anche se stroncata dopo la caduta dell'Impero Romano, sarà riproposta da tutti gli Stati democratici del mondo fino ai nostri giorni. Da notare che il Dialogo Repubblica di Platone è del 388 a.C., e che lo stato democratico in Atene attuato da Pericle é del 462 a.C.

* Di questo periodo é la leggenda del ratto delle Sabine.

ANNO 752 - In Grecia ha inizio la VII OLIMPIADE ( Iniziata la prima nel 776 a. C. a Olimpia, nell'Elide(Peloponneso)

ANNO 734 - Prime colonie greche. Provenienti dall'Eubea, gli uomini di Teocla sbarcano in Sicilia e fondano Nasso

ANNO 733 - Greci di Corinto, sbarcano in Sicilia e fondano su un'isoletta ORTIGIA (chiamata poi SIRACUSA)

ANNO 717 - (altri 721-718 ?) - Scomparso Romolo, prende il potere NUMA POMPILIO di origine Sabina

ANNO 715-672 - Monarchia di Numa Pompilio. Periodo di pace e di regolamentazione delle norme religiose

ANNO 675 - Compare la prima iscrizione su una fibula" la Prenestina" (forse) la prima e più antica iscrizione latina

ANNO 674 - 673 - Regno di TULLIO OSTILIO. Secondo la tradizione, sotto il suo regno, i romani distruggono Albalonga, la città egemone della Lega Latina. (ma non ci sono testimonianze. Forse fu distrutta da un terremoto)

ANNO 672-640 - Leggenda degli Orazi e Curiazi. Nome di tre leggendari gemelli romani e di tre fratelli albani che decisero col loro combattimento le sorti della guerra tra Roma e Alba. Dei sei sopravvisse solo uno degli Orazi, che permise la vittoria di Roma.

ANNO 670 - In Lidia viene effettuata la prima coniatura di monete in oro.

ANNO 660 - Nella Tomba delle Anatre a Veio compare il più antico esempio di pittura parietale.

ANNO 649 - Gli Etruschi della seconda ondata migratoria introducono l'"alfabeto fenicio n. 2" giunto dalla grecia calcidese a Cuma. Per gli etruschi toscani è ormai troppo tardi. Non così per gli etruschi di Roma; il nuovo inizia a formare la base dell'alfabeto latino; che si diffonde con la stessa velocità della demografia romana. Quando gli etruschi saranno sconfitti e integrati, del loro N.1 non rimase più nulla. Del resto non lo usavano per scrivere testi letterari, nè mai gli etruschi fondarono una scuola. La usavano - e pochissimi erano capaci di farlo- solo per alcune iscrizioni. Dopo nemmeno due secoli gli abitanti romani di origine etrusca non erano già più in grado di leggere le iscrizioni lasciate dai bisavoli. (Come oggi alcuni slavi emigrati in Italia, o alcuni italiani emigrati in America)

ANNO 640 - Fondazione di Ostia, prima colonia romana utilizzata come città portuale. Costruzione sul Tevere del ponte Sublicio. Per l'importanza che assume il ponte nell'economia della città, nasce l'istituzione dei Pontefici, addetti appunto a sovrintendere sia alla costruzione sia alla manutenzione dei ponti. . Sovrintendenza che sarà poi estesa in seguito a tutti i lavori di pubblica utilità.

ANNO 641 - Regno di ANCO MARCIO. E' registrato nei Fasti un trionfo dopo una vittoria sui Sabini e sui Veienti.

ANNO 616 - Regno di TARQUINIO PRISCO. L'iniziatore di una dinastia di sovrani Etruschi; secondo alcuni una pressione degli etruschi per bilanciare la potenza del patriziato latino-sabino divenuto più numeroso, ma le industrie e l'artigianato le avevano in mano loro, e questo era sufficiente per dominare con l'economia anche la politica.

Nel Senato sono ammessi le gentes minori e acquistano potere i comizi curiati. Inizia il periodo di dominazione etrusca su Roma, ma con una popolazione quasi interamente latina che prende tutto quanto è fruibile dalla cultura della civiltà del suo re, la assorbe, l'accresce e la sviluppa in una forma autonoma e anche singolare. Un faro luminoso nel Mediterraneo, ma poi anche in quei territori a nord delle Alpi che presto riceveranno una forte influenza.

Tarquinio secondo alcuni assume un atteggiamento da sovrano orientale con caratteri più militari che religiosi.

ANNO 598 - Sono registrati i Fasti trionfali per Tarquinio PRISCO per una campagna militare condotta sui LATINI. Sui villaggi che stanno contrastando l'espansionismo di Roma, accusata di sconvolgere antiche e consolidate istituzioni.

ANNO 595 - Espansione degli Etruschi in Campania: Centri principali nella zona di Capua sul fiume Volturno e Pompei.

ANNO 588 - Registrati Fasti trionfali per Tarquinio in una campagna militare contro gli ETRUSCHI. Fra questi, vi sono alcuni gruppi ostili che vedono con timore emigrare su Roma molte attività che prima monopolizzavano.

ANNO 585 - Fasti trionfali sono ancora registrati quest'anno per una vittoria di Tarquinio PRISCO sui SABINI

ANNO 578 - Inizia il Regno di SERVIO TULLIO (di Mastarna) tradizionalmente di origine etrusca. Instaura un regime sul censo. Divide la popolazione in 21 tribù. 4 urbane, e 17 rustiche. Successivamente le porta a 31, dividendole in 6 Classi secondo il censo, e 5 con diritto di voto. Divide i cittadini in seniores e juniores, rispettivamente sopra e sotto i 40 anni. Introduzione di una riforma militare e costituzionale (riforma serviana)

ANNO 577 - SERVIO TULLIO costruisce una cinta di mura difensive (mura serviane). Nel progettare con gli architetti il perimetro, con l'intenzione di riunificare tutti i villaggi sorti sui colli attorno al Tevere, racchiude all'interno delle mura i SETTE COLLI. Una cinta di 11 chilometri che includeva un'area di 426 ettari comprendente il Campidoglio, il Palatino, l'Aventino, parte del Celio e dell'Esquilino, il Viminale e il Quirinale. Questo desiderio espansionistico non peccherà certo in sproporzione territoriale; anzi, nel 270 d.C. non era già più sufficiente; di questa data è infatti la costruzione delle Mura Aureliane, 19 chilometri di mura che inglobavano 1373 ettari, con 18 porte principali, e 383 torri.

* (Livio ricorda alcuni lavori di rifacimento di quelle serviane nel 378 a.C. dopo l'incendio gallico; ma forse si trattava di una prosecuzione dei lavori, interrotti nei precedenti anni e che dopo l'assedio e il sacco divennero urgenti far riprendere).

ANNO 564 - I Fasti trionfali registrano un altro trionfo di Servio Tullio sugli etruschi.

ANNO 571 - Sui Fasti trionfali è registrata un'altra vittoria di Servio Tullio, sugli etruschi.

ANNO 560 - In questo periodo a SELINUNTE costruzione del Tempio C, e presso PASTEUM l'Heraion dorico, o Basilica. Entrambi i templi sono ornati da metope scolpite (Quelle del Partenone di Atene sono di 80 anni dopo). Una svolta nell'architettura greca proprio in Italia.

* Un'altra svolta sia in Grecia e subito dopo anche in Italia nell'alimentazione. Introdotto dall'Oriente una novità: il PANE LIEVITATO.

ANNO 550 - 500 - Continua e progressiva infiltrazione e occupazione di popolazione ETRUSCHE, attratte come del resto molti latini dei Colli Albani, dalla grande città moderna Roma, che ha il vento in poppa e sta già facendo parlare di sè.

ANNO 540 - Vittoria degli Etruschi e Cartaginesi (i rapporti quindi con loro c'erano da tempo) sui Focesi ad Alalia.

ANNO 535 - Morte di Servio Tullio; gli succede al trono TARQUINIO IL SUPERBO

ANNO 534 - Inizia con Tarquinio una monarchia dispotica. - Sui Fasti sono registrati due suoi trionfi sui Volsci e sui Sabini.

ANNO 530 - Probabile decreto ufficiale per l'adozione in Roma dell'alfabeto cumano. Il Fenicio N.2

ANNO 525 - Di questa data le pitture delle Tombe delle Olimpiadi a Tarquinia, i sarcofagi fittili degli Sposi a Cerveteri, il Carro bronzeo di Monteleone di Spoleto.

ANNO 524 - Forti migrazioni di Etruschi in ogni direzione. Nascono i centri di Marzabotto, di Felsina (Bologna) e di Spina sull'Adriatico, già centro e città portuale con contatti con i greci e i Veneti della civiltà di Este (atestina). Gli etruschi si spingono con alcuni stanziamenti fino alle porte di Milano, a Melzo. Poi entrano in contatto con la civiltà di Golasecca (liguri, leponzi, camuni).

ANNO 509 - L'immigrazione degli etruschi a Roma è diventato un problema per una eccessiva invadenza. Reazione dei romani, che ottengono leggi per l'estradizione. Gli etruschi sono invitati a lasciare immediatamente Roma.

* E' cacciato da Roma anche re Tarquinio il Superbo. E' COSTITUITA LA REPUBBLICA. A capo di questa sono DUE magistrati detti CONSOLI (inizialmente pretori), scelti annualmente tra i patrizi. Hanno nelle loro mani il potere civile e militare; in pratica sono i comandanti dell'esercito. Viene però contemplata una loro sospensione dalla carica in caso di grave pericolo e sostituiti da un DITTATORE con pieni poteri, ma con un mandato di soli sei mesi. Accanto ai consoli rimane il SENATO formato da patrizi, che resta comunque la più alta autorità della Repubblica.

* I primi consoli sono: L. Giunio Bruto e L. Tarquinio Collatino (che però rinuncia a favore di P. Valerio Publicola).

A QUESTO PUNTO CONVIENE RITORNARE NEI

VARI PERIODI DEI RIASSUNTI

iniziando dall'anno 509 a.C.

le date che seguono sono puramente cronologiche

 

ANNO 509 - Iniziano le lotte tra Roma e gli Etruschi dell'Italia centrale. Registrato un trionfo di PUBLICOLA sui Veienti e Tarquiniesi. - Publicola (secondo la tradizione scritta nei libri Sibillini) per la prima volta celebra i LUDI SECOLARI, cioè cerimonie religiose, accompagnate da spettacoli popolari, gare e feste, da ripetersi ogni 110 anni.

* Costruzione del tempio di Giove Capitolino, forte la presenza dello stile scultoreo della scuola di Vulca in Veio.

* Viene firmato un trattato di pace tra Roma e Cartagine: riconoscimento del monopolio commerciale cartaginese nel Mediterraneo occidentale; e Cartagine si impegna a non intraprendere azioni ostili contro gli alleati di Roma.

ANNO 509 - Si iniziano a compilare le liste dei FASTI CONSOLARI (detti i capitolini). Sono gli elenchi aggiornati anno per anno fino al 398 D.C., con le nomine dei consoli, e con a fianco le loro imprese e i trionfi delle campagne militari.

ANNO 508 - Asdrubale guida i cartaginesi alla conquista della Sardegna. Segna la fine della civiltà plurimillenaria nuragica.

ANNO 508 - A Roma consoli P. Valerio Publicola e T. Lucrezio Tricipitino.- Tarquinio il Superbo con l'aiuto di Porsenna re di Chiusi, tenta inutilmente di riconquistare il trono perduto.

ANNO 507 - Consoli P.Valerio Publicola e M. Orazio Pulvillo.

ANNO 507 - Compare presso gli etruschi e gli italici nella struttura onomastica l'uso del prenome e del nome (es. Mario Emilio) che i romani accrescono aggiungendo il cognomen, ma abbreviano solo con una lettera il prenome (es. M. Emilio Lepido). Le più usate la T (Tito), P (Publio), C (Caio), D (Decimo), L (Lucio), M (Marco), Q (Quinto) ecc.

ANNO 506 - Consoli Sp. LARCIO RUFO e T. ERMINIO AQUILINO. - Gli Etruschi di PORSENNA subiscono una sconfitta dai Latini di Ariccia che si erano alleati con il tiranno di Cuma Aristodemo. Sono gli ultimi Etruschi a lasciare il Lazio dove godevano di fatto ancora una certa supremazia su questo territorio per le molteplici attività che vi esercitavano.

ANNO 505 - Consoli M. VALERIO VOLUSO e P.POSTUMIO TUBERTO. Per entrambi fasti per un trionfo sui Sabini.

ANNO 504 - Consoli P. VALERIO PUBLICOLA e T. LUCREZIO TRICIPITINO. Per entrambi fasti su Sabini e sui Veienti.

ANNO 503 - Consoli AGRIPPA MENENIO LANATO e POSTUMIO TUBERTO. Per entrambi fasti sui Sabini

ANNO 502 - Consoli OPITER VIRGINO TRICOSTO e Sp CASSIO VECELLIO. Per entrambi fasti sui Sabini

ANNO 501 - A Roma consoli POSTUMIO COMINIO AURUNCO e T. LARCIO FLAVIO. Viene fondata Cora, una ex colonia della precedente Lega Latina

ANNO 500 a. C. - A Samo l'architetto Eupalimos nel costruire un acquedotto scava una galleria nella montagna lunga più di un chilometro (1240 metri) e il suo collega Teodoro inventa durante i lavori la livella, la squadra e un oggetto molto singolare: la chiave e la serratura per le porte, oltre che una particolare fusione del bronzo per la fabbricazione di piccoli oggetti.

* La tecnica di questi lavori per gli acquedotti è indubbiamente subito assimilata dagli architetti romani che danno inizio a grandi lavori idraulici: come il prosciugamento dei terreni paludosi (come la Cloaca Massima al Palatino) o per costruire straordinari acquedotti: con buona parte del percorso sotto terra per portare l'acqua a Roma. Sotto l'imperatore Claudio queste opere divennero gigantesche; il suo acquedotto era lungo 69 km; mentre per prosciugare il Fucino fu scavata sotto il monte Salviano una galleria di 5653 metri.

 

 

dal 500 al 400 a.C.

vedi anche i "RIASSUNTI DEI VARI PERIODI"

ANNO 500- a.C. - Annessione di Crustumerium e creazione, nel 495, della tribù Clustumina

ANNO 499 - Consoli T. EBUTIO HELVA e C. VETURIO GEMINO. - Battaglia contro i latini sconfitti poi al lago Regillo.

ANNO 498 - Consoli Q. CLELIO SICULO e T. LARCIO FLAVIO.

ANNO 497 - Consoli A. SEMPRONIO ATRATINO e M. MINUCIO AUGURINO.

ANNO 496 - Consoli A. POSTUMIO ALBO e T. VERGINIO TRICOSTO. - Per sei mesi si registra una dittatura di Postumio

ANNO 495 - Consoli Ap. CLAUDIO SABINO INREGILLESE e P. SERVILIO PRISCO STRUCTO. Viene fondata la colonia di Signia.

ANNO 494 - Consoli A. VIRGINIO TRICOSTO CELIOMONTANO e T. VETURIO GEMINIO TRICURINO. - Per sei mesi é dittatore M. VALERIO MASSIMO che fa registrare nei fasti un trionfo sui Sabini e sui Medulini.

* La lotta tra patrizi e plebei diventa aspra oltre che per i privilegi politici anche per quelli religiosi. I nobili nel praticare il culto di Giove ritengono questa divinità superiore a quella della plebe (Terrae filii), che sono invece (dicono i patrizi) sotto le divinità terrene. Ma il contrasto della plebe sale perché versa in grave difficoltà economiche; e nonostante le promesse dei patrizi non migliora né la loro posizione economica né giuridica. Tali contrasti portano il prossimo anno......

ANNO 494 - ....alla secessione della plebe a Monte Sacro (o AVENTINO) . Promotori Giunio Bruto e C. Sicinio (Dionigi). A fare l'apologia della plebe é MENENIO AGRIPPA. L'invito (ricordato come Legge sacra ) rivolto ai patrizi é quello a riconoscere i rappresentanti eletti dal popolo. Ridiscesi poi dall'Aventino, ritornati in città, ottengono dai patrizi alcune concessioni: la Costituzione dei Comitia tributa e il Concilia plebis tributa. Attribuzioni: difesa dei plebei dagli arbitro del magistrato, diritto di intercessione in caso di punizione o arresto di un cittadino e di sospensione degli atti pubblici dei magistrati e delle deliberazioni del Senato, salvo che in tempo di guerra. Si decide la divisione in 20 tribù e la creazione delle Assemblee per l'elezione del tribuni della plebe, e una organizzazione militare plebea. Questi però stranamente non sono stati aggiunti nelle liste dei consoli e dei fasti. Le fonti sono lacunose. Sembra che i primi due tribuni siano stati C. LICINIO e L. ALBINO (o Livio. Non mancano le reazioni e l'irrigidimento di alcuni patrizi; che faranno nel 485 appello ai coloni delle loro campagne.

ANNO 494 - Fondazione della colonia latina di Velletri (in precedenza stanziamento o un villaggio di Volsci)

ANNO 493 - Consoli POSTUMIO COMINIO AURUNCO e Sp. CASSIO VERCELLINO. Sono loro due a stipulare un trattato tra la Lega Latina e Roma con il Foedus Cassianum:, per una pace perpetua e reciproci buoni rapporti per un'alleanza futura.

* Costruzione del Tempio di Saturno nel Foro forse come sede dell'Erario. Dello stesso periodo il Tempio di Cerere, di Libero Bacco, e Libera Prosperina sull'Aventino.

ANNO 492 - Consoli P. MINUCIO AUGURINO e T. GEGANIO MACERINO. Fondazione della città di Norba (Norma); già città latina, poi città dei Volsci, che ritorna ora latina.

ANNO 491 - Consoli A. SEMPRONIO ATRATINO e Cn. MARZIO CORIOLANO. Quest'ultimo tradisce Roma, e si schiera con i Volsci. la tradizione vuole che sia stata la madre e la moglie a farlo rinsavire, quindi a sventare la minaccia di uno scontro.

* In Sicilia a Gela, Gelone instaura una tirannide. Nell'475 occupa Siracusa e lascia tiranno di Gela il fratello Gerone.

ANNO 490 - A Roma consoli Sp. LARCIO FLAVO ( altri, Rufo) e Q. SULPICIO CAMERINO CORNUTO.

* Guerra Greca-Persiana. - Scontro sull'Ubea. - Battaglia di Maratona al comando di Milziade.

ANNO 489 - Consoli, P. PINARIO MAMERTINO RUFO e C. GIULIO IULLO.

ANNO 488 - Consoli, SP. NAUTIO TUTILO e SESTO FURIO.

ANNO 487 - Consoli, C. AQUILLIO TUSCO e t. SICINIO SABINO.

ANNO 486 - Consoli, PROCULO VERGINIO TRICOSTO RUTILO con SP. CASSIO VECELLINO che fa registrare due fasti trionfale sui Volsci, e gli Ernici. Questi ultimi si schierano poi alleati di Roma

ANNO 485 - Consoli con epilogo tragico. Sono eletti SER. CORNELIO MALUGINESE e Q. FABIO VIBULENO. Irrigidimento dei nobili verso la plebe ma anche lotta tra patrizi. I primi con i loro tribuni minacciano di processo capitale davanti all'assemblea popolare il patriziato. E' messo a morte il console uscente SP. CASSIO VECELLINO accusato di operare per diventare unico regnante

ANNO 484 - Consoli, K. FABIO VIBULENO e L. EMILIO MAMERCO.- Costruzione del Tempio di Castore e Polluce

ANNO 483 - Consoli, L. VALERIO POTITO e M. FABIO VIBULENO

ANNO 482 - Consoli, C. GIULIO IULLO e Q. FABIO VIBULENO

ANNO 481 - Consoli, SP. FURIO FUSO e K. FABIO VIBULENO

ANNO 480 - A Roma consoli, M. FABIO VIBULENO e CN MANLIO CINCINNATO. - Invasione dei Persiani in Grecia. Resistenza eroica di Leonida alle Termopili. Battaglia di Salamina. Sconfitta dei Persiani.

* Gli storici pongono con questa data la fine del periodo arcaico e l'inizio dell' ETA' CLASSICA nelle vicende culturali greche; quelle che andranno a influenzare anche tutto il mondo romano dei prossimi secoli

ANNO 479 - Consoli, K. FABIO VIBULENO e T. VIRGINIO TRICOSTO RUTILO

ANNO 478 - Consoli, L. EMILIO MEMERCO e C. SERVILIO STRUCTO AHALA

ANNO 477 - Consoli, C. ORAZIO PULVILLO e T. MENENIO LANATO. Inizia la guerra contro i Veienti. Veio contro Roma. Sconfitta amara dei romani. Quasi tutti i membri della grande famiglia romana dei Fabi sono uccisi nei pressi del fiume Cremera

ANNO 475 - Consoli, P. VALERIO PUBLICOLA e c. NAUTIO RUTILO. Battaglia, vittoria e fasti per il primo contro i Veienti e i Sabini

ANNO 474 - Consoli, L. FURIO MEDULLINO e A. MANLIO VULSONE. - A Cuma gli Etruschi sono costretti a lasciare la Campania dopo un attacco navale scatenato dai Greci cumani, che hanno chiesto l'appoggio a Gerone di Siracusa

ANNO 473 - Consoli, VOLPISCO GIULIO IULLO e L. EMILIO MAMERCO

ANNO 472 - Consoli P. FURIO MEDULLINO FUSO e L. PINARIO MAMERCINO RUFO.

* In Atene si rappresenta la prima e la più antica tragedia greca che si conosca. I Persiani, di Eschilo.

* Inizio del Classicismo. Età d'oro delle arti e delle lettere greche

ANNO 471 - Consoli T. QUINTIO CAPITOLINO BARBATO e AP. CLAUDIO CRASSINO.

* Incerta l'istituzione a questa data dei comizi centuriati, che un altra tradizione attribuisce a Servio Tullio

ANNO 470 - Consoli, T. EMILIO MAMERCO e L. VALERIO POTITO. - Roma divisa in 16 tribù rustiche e 4 urbane

ANNO 469 - Consoli, T. NUMICIO PRISCO e A. VERGINIO CELIOMONTANO.

* In Atene nasce SOCRATE

ANNO 468 - Consoli, Q. SERVILIO STRUCTO PRISCO e T. QUINTIO BARBATO che riceve Fasti per le vittorie su Volsci Anziati

ANNO 467 - Consoli, TI. EMILIO MAMERCO e Q. FABIO VIBULENO. - Anzio è trasformata in colonia romana

ANNO 466 - Consoli, Q. SERVILIO PRISCO e POSTUMIO ALBO REGILLESE.

* Atene: SOFOCLE raccoglie il suo primo successo

ANNO 465 - Consoli, T. QUINTIO CAPITOLINO BARBATO e Q. FABIO VIBULENO

ANNO 464 - Consoli, A. POSTUMIO ALBO REGILLESE e SP. MEDULLINO FUSO.

ANNO 463 - Consoli, P. SERVILIO PRISCO e L. EBUTIO HELVA

ANNO 462 - Consoli, L. LUCREZIO TRICIPITINO e T. VETURIO GEMINO CICURINO. - Per entrambi Fasti, trionfi e ovazioni per una spedizione sugli Equi e sui Volsci.

* In Grecia Pericle attua le riforme e lo Stato Democratico con le assemblee popolari

ANNO 461 - Consoli, P. VOLUMNIO AMINTINO GALLO e SER. SULPICIO CAMERINO CORNUTO. - Ad Atene ascesa di Pericle che introduce le riforme democratiche aprendo l'arcontato a quasi tutti i cittadini possidenti

ANNO 460 - Consoli, P. VALERIO PUBLICOLA e C. CLAUDIO INREGILLESE SABINO. - In Grecia nasce Ippocrate e Democrito. - In Persia termina la costruzione del palazzo di Persepoli.- In Grecia a Olimpia il Tempio di Zeus, sul frontone la Centauromachia. (*). A Selinunte in Sicilia i Templi F e E; in quest'ultimo nella metope la Hierogamia (nozze sacre di Zeus e Hera). - (*) Sul Partenone di Atene nel 438, con lo stesso tema dei miti attici

ANNO 459 - Consoli, Q. FABIO VIBULENO e L. CORNELIO MALUGINESE.- Fasti trionfali per vittorie su equi, volsci e anziati

ANNO 458 - Consoli, C. NAUTIO RUTILO e M. PAPRIRIO CARVENTANO. Ma é nominato dittatore L. QUINTIO CINCINNATO nominato dittatore per condurre la guerra contro gli Equi che avevano assediato l'esercito di MINUCIO. Sono sconfitti e i fasti registrano il suo trionfo. - CINCINNATO dopo la vittoria preferisce ritirarsi a vita privata

ANNO 457 - Consoli C. ORAZIO PULVILLO e Q. MINUCIO ESQUILINO. La plebe fa la richiesta di portare i suoi rappresentanti tribuni siano portati a dieci. (non conosciamo se prima erano solo due o erano già stati portati a cinque in precedenza)

ANNO 456 - Consoli, Sp. VERGINIO TRICOSTO CELIOMONTANO e M. VALERIO MASSIMO LECTUCA

ANNO 455 - Consoli T. ROMILIO ROCO VATICANO e C. VETURIO CICURINO.

* Costruzione a Siracusa dell Athenaion (il tempio dorico oggi trasformato in Cattedrale), e dei Templi di Agrigento di Hera e Concordia. A Pasteum, l'Heraion

ANNO 454 - Consoli, SP. TARPERO MONTANO CAPITOLINO e A. ATERNIO VARO FONTINALE

ANNO 453 - Consoli, SESTO QUINTILIO e P. CURIATO FISTO TRIGEMINO

ANNO 452 - Consoli, T. MENENIO LANATO e P. SESTIO CAPITONE VATICANO. - Ad Atene si promulga la legge sul diritto della cittadinanza, data solo a chi é figlio di entrambi genitori ateniesi. (Roma, osserva e ascolta!)

ANNO 451 - Consoli, APPIO CLAUDIO CRASSO e T. GENUCIO AUGURINO

ANNO 450 - Nomina dei decemviri, composto da 5 patrizi e da 5 plebei, con l'incarico di elaborare e compilare per iscrittoun CODICE giuridico detto poi delle DODICI TAVOLE in sostituzione del diritto consuetudinario. Grazie a questo primo codice si pose fine agli abusi che i patrizi commettevano ai danni della plebe, approfittando del fatto che la tradizione orale delle leggi ne permettevano una interpretazione a loro favore..- Secondo Livio i decemviri erano: APPIO CLAUDIO, T. GENUCIO, P. SESTIO. S. VETURIO, SP. POSTUMIO, T. ROMILIO, P. CURIATIO, P. SULPICIO, A. MANLIO, C. GIULIO

Si codificano il diritto privato, quello processuale e penale, e il diritto pubblico e quello sacrale. (Una stesura molto influenzata dal diritto greco: dalle leggi di Solone del 594 a.C. che intervenne per ristabilire l'ordine turbato da violenti conflitti sociali. Fu considerato il fondatore della democrazia greca, ma in realtà eliminò solo le aberrazioni del vecchio ordine, mantenendo inalterata la struttura basata sul censo e incanalando la pressione popolare con l'istituzione del consiglio dei 400. Di Solone ci sono pervenuti frammenti in versi di stile oratori, permeati di un profondo moralismo. Un rigorismo diretto solo a esaltare le virtù dei nobili. (Quello che stava accadendo a Roma in questo periodo). Tra l'altro nelle leggi c'è il divieto di contrarre matrimonio tra patrizi e plebei. Durerà poco: nel 445 con la Lex Canuleia il divieto sarà abrogato.

* Movimenti dagli Abruzzi e Molise di una popolazione che inizia ad occupare le pianure della Campania fino a Capua. Sono i SANNITI, che hanno l'intenzione di restare sul territorio anche a costo di scatenare una guerra

ANNO 449 - I decemviri dopo la promulgazione delle leggi restarono in carica, ma un fatto di sangue (il padre uccise una figlia piuttosto che vederla ridotta in un' ingiusta schiavitù) sollevò il popolo chiedendo il ritorno alle vecchie leggi. I decemviri fecero tutti una brutta fine: Appio Claudio si suicidò. Sp. Oppio venne catturato e giustiziato, e agli altri furono confiscati i beni e scelsero l'esilio volontario. E' il trionfo degli interessi di Stato su quelli di classe.

* Sono nominati consoli L. VALERIO PUBLICOLA e M. ORAZIO BARBATO, che pubblicano anche le leggi dette Valerie-Orazie: si sanciva il diritto di appello della plebe; com'era avvenuto in questo caso con i decemviri.

* I due consoli celebrano anche un trionfo; il primo dopo una campagna militare contro gli Equi; il secondo per aver portato a termine una campagna vittoriosa scontro con i Sabini.

* Ad Atene Fidia inizia la costruzione del Partenone; e Callicatre termina il Tempio di Athena Nike, sull'Acropoli

ANNO 448 - Consoli, LARS ERMINIO CORITENESANO e T. VIRGINIO TRICOSTO CELIOMONTANO. Si riapre la guerra contro gli Equi, Volsci e Sabini

ANNO 447 - Sono eletti Consoli, M. GEGANIO MACERINO e C. GIULIO IULLO

ANNO 446 - Elezione dei Consoli, AGRIPPA FURIO FUSO e T. QUINTIO CAPITOLINO BARBATO

ANNO 445 - Consoli, C. CURTIO FILONE e M. GENUCIO AUGURINO. Viene promulgata la legge Canuleia , che abroga il divieto di matrimonio tra patrizi e plebei, fino a quest'anno in vigore. (é durata solo cinque anni)

ANNO 444 - Istituzione dei tribuni militari con poteri consolari. D'ora in avanti in luogo di due sarnno eletti tre tribuni militari con potere consolare. - I primi tre sono A. SEPRONIO ATRATINO, T. CLELIO SICULO e L. ATILIO LUSCO. Ma qualcosa non va nell'elezione. Sono sostituiti da due consoli L. PAPIRIO MUGILLANO e L. SEMPRONIO ATRATINO

ANNO 443 - Istituzione della censura esercitata dai due consoli MUGILLANO e SEMPRONIO. I compiti sono quelli di classificare i cittadini secondo le origini e il censo; controllare la spesa pubblica; sorvegliare i costumi dei romani; e alcuni compiti di sorveglianza amministrativa di vario genere. Censura riservata all'inizio solo ai patrizi

ANNO 442 - Consoli, M. FABIO VIBULENO con EBUTIO ELVA CORNICEN. - Ardea ( fondata dai rutuli.) nuova colonia latina

ANNO 441 - Consoli, M. PAPIRIO CRASSO e C. FURIO PACILO FUSO

ANNO 440 - Consoli, MENENIO AGRIPPA LANATO e PROCULO GEGANIO MACERINO

ANNO 439 - Consoli QUINTIO CAPITOLINO BARBATO e MENENIO AGRIPPA LANATO

ANNO 438 - Nominati non più due consoli ma tre tribuni militari: EMILIO MAMERCINO, GIULIO IULLO, QUINTIO CINCINNATO.

* In Atene é inaugurato il Partenone

ANNO 437 - Consoli, M. GEGANIO MACERINO, L. SERGIO FIDENATE, con il suffectus M. VALERIO LACTUCA

ANNO 436 - Consoli, L. PAPINIO CRASSO e M. CORNELIO MALUGINESE

ANNO 435 - Consoli, C. GIULIO IULIO e L. VIRGINIO TRICOSTO. Nella censura C. FURIO PACILO e M. GEGANIO MACERINO. Ma entro l'anno viene nominato un dittatore, Q, SERVILIO PRISCO (o Fidenate)

ANNO 434 - Consoli: confusione nelle registrazioni. Compaiono C. GIULIO IULIO e L. VIRGINIO TRICOSTO già eletti l'anno precedente; poi contemporaneamente compaiono tre tribuni militari, M. MANLIO CAPITOLINO, Q, SULPICIO PRETESTATO e CORNELIO COSSO. Inoltre é registrato anche un dittatore MAMERCO EMILIO MAMERCINO

ANNO 433 - Consoli nessuno, ma tre tribuni militari con lo stesso potere: M. FABIO VIBULENO, M. FOSLIO FLACCINATORE e L. SERGIO FIDENATE

ANNO 432 - Ancora tre tribuni militari: L. PINARIO MAMERCINO, L. FURIO MEDULINO e POSTUMIO ALBO REGILLENSE

ANNO 431 - Consoli, T. QUINTIO PENO CINCINNATO e GIULIO MENTONE. Nomina anche di un dittatore, A. POSTUMIO TUBERTO, per comandare una campagna militare, vittoriosa, sul monte Algido sugli Equi e sui Volsci a Carsioli.

* In Grecia rotta la pace Atene con Sparta, inizia la guerra che sarà ricordata "del Peloponneso"

ANNO 430 - Consoli, L. PAIRIO CRASSO e L. GIULIO IULLO. Confusione nella lista sulla censura di L. PAPIRIO o L. Pinario

ANNO 429 - Consoli, HOSTO LUCREZIO TRICIPITINO e L. SERGIO FIDENATE

ANNO 428 - Consoli, T. QUINTIO PENO CINCINNATO e A. CORNELIO COSSO

ANNO 427 - Consoli, C. SERVILIO STRUCTO e L. PAPIRIO MUGILLANO. - Nasce in Grecia PLATONE (Altri il 428)

ANNO 426 - Elezione di quattro tribuni militari: CORNELIO COSSO, QUINTIO PENO CINCINNATO, C. FURIO PACILO FUSO e M. POSTUMIO ALBINO REGILLENSE. E compare anche la nomina di un dittatore, MAMERCO EMILIO MAMERCINO.

* Guerra ancora a Veio. Scontro personale tra il re di Veio Larte Tolumnio e il console CORNELIO COSSO, vincitore.

* Segue una punizione dei romani contro la ribelle Fidene (alleata di Veio) ed é incorporata nel territorio romano

ANNO 425 - Sono eletti quattro tribuni: A. SEMPRONIO ATRATINO, QUINTIO CINCINNATO, FURIO MEDULLINO, ORAZIO BARBATO

ANNO 424 - Ancora quattro tribuni militari: TI. CLAUDIO CRASSO, SP. NAUTIO RUTILO, L. SERGIO FIDENATE, GIULIO IULLO

ANNO 423 - Ritorno all'elezione di soli due consoli: C. SEMPRONIO ATRATINO e Q. FABIO VIBULENO

ANNO 422 - Elezione di tre tribuni militari: Q. ANTONIO MERENDA, L. MANLIO CAPITOLINO e L. PAPIRIO MUGILLANO

ANNO 421 - Elezione dei consoli: CN. FABIO VIBULENO e T. QUINTIO CAPITOLINO BARBATO.

* I plebei ottengono l'ammissione al collegio dei questori. (nel 409 addirittura la maggioranza)

ANNO 420 - Quattro militari: T. QUINTIO PENO CINCINNATO, L. FURIO MEDULLINO, M. MARIO VULSONE, A. SEMPRONIO ATRATINO.

* I Sanniti insistono sull'occupazione della Campania, spingendosi fino ad occupare la stessa Cuma.

ANNO 419 - Quattro militari: AGRIPPA MENENIO LANATO, P. LUCRETIO TRICIPITINO, SP. NAUTIO RUTILO, C. SERVILIO AXILLA

ANNO 418 - Tre consoli militari: M. PAPIRIO MUGILLANO, C. SERVILIO AXILLA e L. SERGIO FIDENATE. Figura anche un dittatore nel corso dell'anno, Q. SERVILIO PRISCO FIDENATE, e un censore L. PAPIRIO. - Spedizione punitiva contro Labicum per essersi alleata con gli Equi. Prisco la conquista e la città diviene colonia latina romana

ANNO 417 - Quattro militari: L. LUCRETIO TRICIPITINO, AGRIPPA MENENIO LANATO, SERVILIO AXILLA E VETURIO CRASSO CICURINO

ANNO 416 - Quattro militari: A. SEMPRONIO ATRATINO, Q. FABIO VIBULENO, M. PAPIRIO MUGILLANO, SP.NAUTIO RUTILO.

* In Sicilia Segesta e Lentini temendo Siracusa chiede aiuti agli ateniesi trovando disponibile Alcibiade

ANNO 415 - Quattro militari: Q. QUINTIO CINCINNATO, N. FABIO VIBULENO, P. CORNELIO COSSO, C. VALERIO POTITO VOLUSO

ANNO 414 - Quattro militari: L. VALERIO POTITO, Q. FABIO VIBULENO, P. POSTUMIO ALBINO REGILLENSE, CN. CORNELIO COSSO

ANNO 413 - Un ritorno all'elezione di due consoli: A. CORNELIO COSSO e L. FURIO MEDULLINO.

* L'intervento degli ateniesi in Sicilia si conclude con un disastro. Duecento navi e 40.000 uomini catturati. Nel frattempo a Siracusa sorge un leggendario Diocle con delle riforme democratiche che faranno scuola

ANNO 412 - Ancora due consoli alle elezioni: Q. FABIO AMBUSTO e C. FURIO PACILO.

* A Siracusa nelle attività legislative di Diocle compaiono le prime monete in argento (Decadrammi)

ANNO 411 - Elezione a Roma di due consoli: M. PAPIRIO MUGILLANO e SP. NAUTIO RUTILIO

ANNO 410 - Elezione a dei consoli C. VALERIO POTITO VOLUSO e M. EMILIO MAMERCINO

ANNO 409 - Elezione a Roma dei consoli CN. CORNELIO COSSO e L. FURIO MEDULLINO.

* I segestani delusi dai greci chiedono aiuto ai Cartaginesi, che sbarcano e distruggono Selinunte e Imera.

ANNO 408 - A Roma tre militari, C. GIULIO IULLO, C. SERVILIO AHALA, P. CORNELIO COSSO e il dittatore P. CORNELIO RUTILO COSSO

ANNO 407 - Quattro militari: N. FABIO AMBUSTO, C. SERVILIO AHALA, L. FURIO MEDULLINO, C. VALERIO POTITO VALUSO

ANNO 406 - Quattro militari: P. CORNELIO RUTILO COSSO, CN. CORNELIO COSSO, L. VALERIO POTITO E N. FABIO AMBUSTO.

* I romani decidono di iniziare una guerra a oltranza contro gli Etruschi fino al risolutivo totale annientamento. Tra le altre strategie di guerra sono intenzionati ad applicare su Veio l'assedio della città bloccando ogni via di comunicazione.

* I cartaginesi ormai in Sicilia, dopo Selinunte, procedono alla conquista di Agrigento, Gela e Camarina.

* A Siracusa con la minaccia cartaginese, é eletto Dionisio, che si trasforma in un tiranno (dell'aristocrazia però).

ANNO 405 - Singolare elezione: sono eletti sei tribuni militari con potere consolare: A. MANLIO VULSONE CAPITOLINO, L. FURIO MEDULLINO, M. EMILIO MAMERCINO, Q. QUINTIO CINCINNATO, T. QUINTIO CAPITOLINO BARBATO, C. GIULIO IULLO.

ANNO 404 - A Roma un'altra elezione di sei tribuni militari: CN. CORNELIO COSSO, K. FABIO AMBUSTO, SP. NAUTIO RUTILO, C. VALERIO POTITO VOLUSO, M. SERGIO FIDENATE, P. CORNELIO MALUGINENSE.

* In Grecia termina la guerra del Peloponneso con la resa di Atene agli spartani. Distruzione delle mura. Instaurazione dei 30 tiranni. Durissime le condizione imposte agli ateniesi.

ANNO 403 - Nuova elezione di sei militari, L VALERIO POTITO, M. MARIO FUSO, L. GIULIO IULLO, M. EMILIO MAMERCINO, AP. CLAUDIO CRASSO, M. QUINTILIO VARO e due censori: M. POSTUMIO ALBINO E M. FURIO CAMILLO.

ANNO 402 - Altra elezione di sei militari: M. SERGIO FIDENATE, A. MANLIO VULSONE, Q. SULPICIO CANERINO CORNUTO, L. VIRGINIO TRICOSTO ESQUILINO, Q. SERVILIO FIDENATE, C. SERVILIO AHALA. Ma si dimettono tutti prima della fine del mandato.

ANNO 401 a. C. - Rinnovo consolare con altri sei militari: K. FABIO AMBUSTO, M. FURIO CAMILLO, CN. CORNELIO COSSO, L. VALERIO POTITO, L. GIULIO IULLO, M. EMILIO MAMERCINO.

 

 

 

dal 400 al 300 a. C.

vedi anche i "RIASSUNTI DEI VARI PERIODI"

ANNO 400 - Elezione di sei tribuni militari con il solito potere consolare: L. TITINIO PANSA SACCO, P. MANLIO VULSONE, P. LICINIO CALVO ESQUILINO, P. MELIO CAPITOLINO, SP. FURIO MEDULLINO, L. PUBLILIO FILONE VOLSCO.

* Una migrazione di Galli insubri (celti), scendono nella transpadana, e al centro di questa fondano MILANO.

* A Siracusa nuove tecnologie per la guerra. Sono costruite le prime catapulte per lanciare i massi sui nemici.

ANNO 399 - A Roma niente consoli ma ancora sei tribuni militari: VALERIO PUBLILIO FILONE, M. VETURIO CRASSO CICURINO, C. DUILIO LONGO, M. PAMPONIO RUFO, L. ATTILIO PRISCO, CN. GENUCIO AUGURINO

ANNO 398 - Altri sei tribuni militari a Roma- Q. SULPICIO CAMERINO CORNUTO, Q. SERVILIO FIDENATE, M. VALERIO LACTUCINO MASSIMO, L. VALERIO POTITO, M. FURIO CAMILLO, L. FURIO MEDULLINO.

* A Siracusa, Dionisio il tiranno, riunisce tutti i greci in Sicilia per una guerra punica contro i Cartaginesi.

ANNO 397 - Elezione di sei tribuni militari: L. GIULIO IULLO, L. FURIO MEDULLINO, A. POSTUMIO ALBINO REGILLESE, P. CORNELIO MALUGINENSE, A. MANLIO VULSONE CAPITOLINO, L. SERGIO FIDENATE, poi destituiti per vizio di forma nell'elezione.

* In Sicilia, Dionisio é sconfitto dai Cartaginesi che occupano Messina e a sud un avamposto: Lilibeo(Marsala)

ANNO 396 - Nuovi tribuni militari a Roma: L. ATTILIO PRISCO, L. TITINIO PANSA SACCO, P.LICINIO CALVO, P. MELIO CAPITOLINO, Q. MANLIO VULSONE CAPITOLINO, CN. GENUCIO AUGURINO.

*Nel corso dell'anno é nominato dittatore FURIO CAMILLO per mettere fine alla guerra contro Veio, ormai assediata ininterrottamente da dieci anni. La città con l'ultima spallata è costretta a capitolare. E' la fine di Veio etrusca.

* Con la caduta di Veio, l'espansione romana verso nord sarebbe ora possibile se intorno a questo periodo non si verificassero movimenti migratori di due popoli, i Celti e i Sanniti.

* I Celti provenienti dall'Alto Reno e Alto Danubio in possesso di armi di ferro si assicuranoun certo predominio militare sotto la guida di una aristocrazia guerriera. Una grossa autorità all'interno la godono i sacerdoti (i Druidi) gli unici a celebrare i sacrifici e decidere in materia di diritto.

* Invasione di Celti Galli (Senoni) in Emilia, Toscana, Umbria, Lazio. Primi contatti tra Romani e Galli a Clusium (Chiusi).

ANNO 395 - Elezione di sei tribuni militari: M. VALERIO LACTUCINO MASSIMO, P. CORNELIO COSSO, P. CORNELIO SCIPIONE, K. FABIO AMBUSTO, L. FURIO MEDULINO, Q. SERVILIO FIDENATE.

ANNO 394 - Elezione di sei tribuni militari: P. CORNELIO, M. GURIO CAMILLO, L. FURIO MEDULLINO, C. EMILIO MAMERCINO, L. VALERIO PUBLICOLA, SP. POSTUMIO ALBINO REGILLESE, P. CORNELIO.

ANNO 393 - Elezione di due consoli: L. VALERIO POTITO e P. CORNELIO MALUGINENSE (ma compaiono nello stesso anno due altri consoli: L. LUCREZIO TRICIPITINO FLAVO e SER. SULPICIO CAMERINO). Poi nello stesso anno alla censura C. GIULIO IULLO e L. PAPIRIO CURSORE.

* La Lega Latina quest'anno con il permesso di Roma fonda una sua colonia a Circeti.

ANNO 392 - Nuova elezione di due consoli: L. VALERIO POTITO E M. MANLIO CAPITOLINO.

* Complicazioni in Sicilia. Dionisio stipula una pace con i Cartaginesi, ma nello stesso tempo fa guerra alla città di Reggio Calabria e con tutte quelle città di origine greca che sembra che con Reggio si stiano coalizzando contro Siracusa.

ANNO 391 - A Roma si ritorna all'elezione di sei tribuni militari: C. EMILIO MAMERCINO, L. LUCREZIO TRICIPITINO FLAVO, SER. SULPICIO CAMERINO, L. FURIO MEDULLINO, L. EMILIO MAMERCINO, AGRIPPA FURIO FUSO.

* Chiusi che si era alleata già da tempo con i romani, é assediata dai nuovi arrivati: dai Galli senoni guidati da Brenno che cingono d'assedio la città. Roma con il patto di reciproca alleanza é costretta ad intervenire con i suoi militari.

ANNO 390 - Elezione di sei tribuni militari: Q. FABIO AMBUSTO, K. FABIO AMBUSTO, N. FABIO AMBUSTO Q. SULPICIO LONGO, Q. SERVILIO FIDENATE, P. CORNELIO MALUGINENSE.

* A Chiusi l'intervento di Roma sui Galli non è stato gradito da BRENNO; i romani subiscono una disastrosa sconfitta dai galli che ora si preparano a scendere su Roma.

* Una spedizione dei Siracusani greci di DIONE, risalgono l'Adriatico e fondano sulla costa ANCONA.

ANNO 389 - A Roma elezione di sei tribuni militari: L. EMILIO MAMERCINO, L. VIRGINIO TRICOSTO, P. CORNELIO, L. VALERIO PUBLICOLA, L. POSTUMIO ALBINO REGILLENSE, A. MANLIO CAPITOLINO. (ma sembra che ne siano stati eletti otto, oppure sostituiti due visto che compaiono altri due nomi: L. PAPIRIO E M. FURIO).

ANNO 388 - Nessun console ma altri sei tribuni militari eletti con potere consolare: SER. SULPICIO RUFO, L. LUCREZIO TRICIPITINO FLAVO, T. QUINTIO CINCINNATO CAPITOLINO, Q. SERVILIO FIDENATE, L. GIULIO IULLO, L. AQUILIO CORVO.

* Platone fa la sua comparsa a Siracusa, ospite di Dione. La sua intenzione è di mettere in pratica su questo territorio il suo progetto di riforma etico-politico esposto nel famoso dialogo Repubblica. Ma la tirannia di Dionisio è più forte.

ANNO 387 - Elezione di altri sei tribuni con potere consolare: L. CORNELIO, L. PAPIRIO CURSORE, CN. SERGIO FIDENATE COSSONE, L. EMILIO MAMERCINO, L. VALERIO PUBLICOLA, LICINIO MENENIO LANATO.

ANNO 387- 18 LUGLIO - Dopo la vittoria a Chiusi i Galli di Brenno si sono organizzati per attaccare Roma; iniziano a cingerla con un accerchiamento. E' nominato in fretta dittatore M. FURIO CAMILLO, che mette insieme un esercito e affronta i Galli; ma lo scontro fa registrare una disastrosa sconfitta dei romani. La città é posta sotto assedio. Gli abitanti temendo il peggio si rifugiano sul Campidoglio ma sono poi costretti alla resa. Viene proposto un compromesso a BRENNO: pagare un riscatto per l'abbandono della città: Gli invasori accettano e si ritirano.

* Nel corso dell'assedio, nella città si é sviluppato un grande incendio incenerendo le case ancora in legno con tetti di paglia.

* PLATONE deluso abbandona la Sicilia, torna ad Atene e fonda la sua scuola filosofica e l'ACCADEMIA. Per la prima volta entra nelle scuole anche lo studio specifico della matematica, ritenuta indispensabile per l'educazione dei giovani. Il mondo nuovo, la vita sempre più moderna e tecnologica, richiede questa riforma urgente e necessaria alla scuola.

ANNO 386 - Elezioni di sei tribuni militari: P. VALERIO PUBLICOLA, SER. CORNELIO MALUGINENSE, Q. SERVILIO FIDENATE, M. FURIO CAMILLO, L. QUINTIO CINCINNATO, L. ORAZIO PULVILLO.

* In Sicilia DIONISIO di Siracusa con una spedizione navale si impadronisce di Reggio Calabria dopo mesi di lungo assedio.

ANNO 385 - Elezione di sei tribuni militari: CN. SERGIO FIDENATE, L. PAPIRIO CURSORE, A. MANLIO CAPITOLINO, P. CORNELIO, L. QUINTIO CAPITOLINO, T. QUINTIO CINCINNATO CAPITOLINO. - E' nominato anche un dittatore per la campagna militare contro i Volsci.

* Processo contro un ex tribuno, M. MANLIO CAPITOLINO per aver capeggiata una sommossa di plebei contro i poteri consolari con l'intenzione di farsi eleggere dal popolo unico governante della repubblica romana, o Re dittatore.

* Con il permesso di Roma la Lega Latina costituisce una colonia dentro il territorio dei Volsci: Satrico.

ANNO 384 - Elezione di sei tribuni militari con poteri consolari: T. QUINTIO CINCINNATO CAPITOLINO, SER. SULPICIO RUFO, SER. CORNELIO MALUGINENSE, P. VALERIO POTITO PUBLICOLA, M. FURIO CAMILLO, C. PAPIRIO CRASSO.

* Terminato il processo contro MANLIO CAPITOLINO, per cospirazione contro lo Stato é condannato al precipizio alla Rupe Tarpea del colle Capitolino.

ANNO 383 - Elezione di sei tribuni: M. TREBONIO, L. VALERIO PUBLICOLA, A. MANLIO CAPITOLINO, SER. SULPICIO RUFO, L. LUCREZIO TRICIPITINO FLAVO, L. EMILIO MAMERCINO.

* Altra colonia della Lega Latina a Sutri e a Nepi, sempre con il permesso dei romani.

ANNO 382 - Elezione di sei tribuni con potere consolare: SP. PAPIRIO, Q. SERVILIO FIDENATE, SER. CORNELIO MALUGINENSE, C. SULPICIO CAMERINO, L. PAPIRIO CRASSO, L. EMILIO MAMERCINO.

* La Lega Latino in accordo con Roma fonda una nuova colonia a Sezze.

ANNO 381 - Elezione di sei tribuni militari: M. FURIO CAMILLO (cui é dato anche poteri dittatoriali per continuare una guerra contro i Volsci), A. POSTUMIO ALBINO REGILLENSE, L. POSTUMIO ALBINO REGILLENSE, L. LUCREZIO TRICIPITINO FLAVO, L. FURIO MEDULLINO, M. FABIO AMBUSTO.

ANNO 380 - Preoccupazioni a Roma sia per le nuove scorrerie di Prenestini, ma soprattutto di Galli che stanno aggirandosi nei paraggi facendo scorrerie nelle città alleate con Roma e minacciando la stessa Roma. Sono eletti nove tribuni militari con potere consolare: L. PAPILIO MUGILLANO, L. VALERIO PUBLICOLA, P. VALERIO POTITO PUBLICOLA, SER. CORNELIO MALUGINENSE, LICINIO MENENIO LANATO, C. SULPICIO PETICO, L. EMILIO MAMERCINO, CN. SERGIO FIDENATE COSSONE, TI. PAPIRIO CRASSO. - Nominato pure un dittatore: T. QUINTIO CINCINNATO CAPITOLINO per l'emergenza Galli.

* L'arte di questo periodo è notevole sia in Grecia (Naucide scolpisce il Discobolo), che in Etruria. Di questo periodo le sculture delle tombe di Chianciano ( Coppia con defunto e genio alato), e a Chiusi, mater matuta con bambino.

ANNO 379 - A Roma elezione di otto tribuni militari: L. ANTISTIO, P. TREBONIO, C. SESTILIO, P. MANLIO CAPITOLINO, C. MANLIO, C. ERENUCIO, L. GIULIO IULLO, M. ALBINO, C. SESTILIO.

ANNO 378 - Elezione di sei tribuni militari: L. GEGANIO MACERINO, Q. SERVILIO FIDENATE, SP. FURIO, LICINIO MENENIO LANATO, P. CLELIO SICULO, M. ORAZIO. - Una censura di Q. CLELIO SICULO E SP. SERVILIO PRISCO.

* Con una spedizione, il tiranno di Siracusa DIONISIO, dopo un assedio, conquista la città "greca" di Crotone.

* Dopo l'invasione dei Galli e il timore che si ripresentano nuovamente a Roma, si accelerano i lavori e si porta a termine la costruzione delle mura SERVIANE, la cui costruzione con lo scopo di una efficace difesa, era iniziata fin dal 577.

ANNO 377 - Elezione di sei tribuni militari: SER. SULPICIO PRETESTATO, L. EMILIO MAMERCINO, P. VALERIO POTITO PUBLICOLA, C. VENTURO CRASSO CICURINO, L. QUINTIO CINCINNATO, C. QUINTIO CINCINNATO.

ANNO 376 - Elezione movimentata a Roma. Sei tribuni militari: SER. CORNELIO MALUGINENSE, SER. SULPICIO PRESTESTATO, LINIO MENENIO LANATO, L. PAPIRIO CRASSO. - Sono contestati dai tribuni della plebe, LICINIO STOLONE e SESTIO LATERANO.

* Inizio di continue e accese contestazioni per impedire il nepotismo e la immobilità politica di alcuni personaggi che ricompaiono spesso nelle cariche pubbliche e sono eletti nelle liste dei tribuni militari da anni, o con i figli e con i nipoti.

ANNO 375 - La contestazione accennata sopra dai tribuni plebei non permette un'elezione quest'anno né di consoli né di tribuni militari, né di magistrati.

ANNO 374 - Le polemiche e le contestazioni continuano; non sono eletti nè consoli ne tribuni militari. La contesa continua

ANNO 373 - Idem come sopra, nessuna Elezione.

ANNO 372 - Idem come sopra, nessuna Elezione.

ANNO 371 - Idem come sopra, nessuna Elezione.

* Intanto i Sanniti , si organizzano in una Lega e iniziano a muoversi in quattro direzioni: verso Corfinio, verso il Piceno, verso l'Apulia e verso le coste occidentali avvicinandosi a Capua, Cuma, Posidonia.

ANNO 370 - Dopo cinque anni di predominio dei tribuni della plebe che hanno, appena eletti sospeso i consoli o i tribuni militari, Roma torna ad eleggere sei tribuni militari: SER. CORNELIO MALUGINENSE, L. FURIO MEDULLINO, A. MANLIO CAPITOLINO, C. VALERIO POTITO, P. VALERIO POLITO PUBLICOLA, SER SULPICIO PRETESTATO. - I nomi sono sempre quelli !

* Imitando Roma, dopo le scorrerie dei Galli, Volterra inizia a costruire una cinta muraria incompleta da decenni.

ANNO 369 - Elezione di sei tribuni militari: M. FABIO AMBUSTO, C. VETURIO CRASSO CICURINO, Q. SERVILIO FIDENATE, Q. QUINTIO CINCINNATO, A. CORNELIO COSSO, M. CORNELIO MALUGINENSE.

ANNO 368 - Elezione di sei tribuni militari: L. VETURIO CICURINO, T. QUINTIO CINCINNATO CAPITOLINO, SER. CORNELIO MALUGINENSE, SER. SULPICIO PRETESTATO, SP. SERVILIO STRUTTO, L. PAPIRIO CRASSO. - Per l'emergenza Galli, é nominato dittatore ancora Furio Camillo, ma è contestato dalla plebe e sostituito con P. MANLIO CAPITOLINO.

* In Sicilia, Dionisio riprende le ostilità contro i cartaginesi.

ANNO 367 - Elezione ancora contrastate da polemiche dei plebei. Capi popolo da quasi dieci anni i due DINAMICI LICINIO STOLONE e SESTIO LATERANO. La contestazione termina con il varo delle leggi Licinie-Sestie. Ammissione dei plebei al consolato, cioè uno dei due consoli deve essere plebeo, e così in tutte le magistrature. riduzione dei debiti; Discusse pure alcune norme sull'agro pubblico: limitazione dell'occupazione privata a 500 iugeri (125 ettari).

* Si forma una casta di alti funzionari composta di patrizi e plebei. Per questi ultimi (i più abbienti) libertà d'accesso a tutte le cariche, compresa quella della dignità sacerdotale (Lex Ogulnia). Fine della lotta di classe nell'interesse dello Stato.

* Segue l'elezione di sei tribuni militari in luogo dei consoli: P. MANLIO CAPITOLINO, A. CORNELIO CRASSO, M. CORNELIO MALUGINENSE, M. GEGANIO MACERINO, L. VENTURIO CRASSO CICURINO, P. VALERIO POTITO PUBLICOLA.

* Eletto dittatore - l'anno precedente contestato - M. Furio Camillo, che deve affrontare un' incursione di Galli. Una menzione nella lista dei Fasti trionfali, significa che la sua spedizione ha avuto il pieno successo militare.

ANNO 366 - A Roma grande confusione per le elezioni. Si ritorna alla nomina dei consoli con L. Emilio Mamercino e L. Sestio Sestino Laterano. Mentre alla censuria troviamo un certo Postumio Albino Regillense e C. Sulpicio Petico che inizia una lunga carriera politica; lo ritroveremo fino al 351 sempre fra gli eletti, con vari incarichi e cinque consolati.

ANNO 365 - Elezione a Roma di due consoli: Q. SERVILIO AHALA e L. GENUCIO AVENTINESE.

ANNO 364 - Nuovi consoli quest'anno: C. LICINIO STOLONE e C. SULPICIO PETICO

363 - Elezione a consoli, L. EMILIO MAMERCINO e CN. GENUCIO AVENTINO. Nomina anche di un dittatore, L. MANLIO CAPITOLINO, che cade nel fango della corruzione per alcuni favori nei confronti di alcuni richiamati alla leva militare

ANNO 362 - Eletti consoli, L. GENUCIO AVENTINENSE e Q. SERVILIO AHALA. - Nel corso dell'anno muore Genucio e prende il suo posto AP. CLAUDIO MASSSIMO, che per la guerra contro gli Ernici, é nominato anche dittatore. E' il primo plebeo nella storia ad assumere il comando dell'esercito romano con pieni poteri

ANNO 361 - Due i consoli quest'anno: C. SULPICIO PETICO e C. LICINIO CALVO. Per un'altra spedizione contro i Galli, é nominato dittatore T. QUINTIO PENNO CAPITOLINO CRISPINO, ed é registrato nei Fasti, un suo trionfo contro i Galli

ANNO 360 - Consoli, C. PETELIO LIBONE BALDO e M. FABIO AMBUSTO con dittatore Q. SERVILIO AHALA. Registrato nei Fasti un trionfo a suo nome per una battaglia contro i galli, e nello stesso tempo un altro trionfo dello stesso console Petelio contro i tiburtini e per uno scontro anche lui con i Galli.

* In Grecia, Policleto costruisce il Teatro a Epidauro, mentre in piena attività Prassitele con Afrodite e l'Eros

ANNO 359 - Consoli a Roma: CN. MANLIO CAPITOLINO IMPERIOSO e M. POPILIO LENATE

ANNO 358 - Consoli, C. PLAUTIO PROCULO e C. FABIO AMBUSTO. DITTATORE C. SULPICIO PETICO che fa registrare nel corso dell'anno un trionfo in uno scontro con i Galli. - Un altro trionfo registrato porta il nome del console PROCULO per un insolito intervento su due alleati di Roma, gli Ernici e i Sabini. Questi, visti impegnati i romani contro i Galli, hanno approfittato per rompere l'alleanza. L'intervento li costringe - non sappiamo con quale mezzo - a rinnovare i patti stipulati con il Foedus Cassianum.

ANNO 357 - Consoli a Roma, CN. MANLIO CAPITOLINO con C. MARCIO RUTILO che registra un trionfo su i Privernati

ANNO 356 - Consoli, M. POPILIO LENATE e M. FABIO AMBUSTO. Dittatore ancora RUTILO con un trionfo sui Tusci.

* Nasce ALESSANDRO MAGNO, figlio di Filippo II di Macedonia e Olimpiade

ANNO 355 - In Roma sono eletti i due consoli, M. VALERIO PUBLICOLA e C. SULPICIO PETICO

ANNO 354 - Nominati consoli, T. QUINTIO PENNO CAPITOLINO, con M. FABIO AMBUSTO con un trionfo sui Tiburtini in rivolta.

* Preneste e Tivoli si ricongiungono con Roma. Trattato tra Romani e Sanniti per far fronte unico contro i Galli e anche per impedire le velleità di espansione dei popoli limitrofi

ANNO 353 - Consoli M. VALERIO PUBLICOLA e C. SULPICIO PETICO. Dittatore MANLIO IMPERIOSO con un trionfo contro i Ceriti.

* Roma stipula un trattato con Cerveteri; gli riconosce la cittadinanza ma senza diritto al suffragio né il diritto a decidere una guerra o fare una pace con altri paesi che sono nemici dei romani. Roma é in continua espansione; nelle relazioni anche con le altre comunità presenti nel suo territorio, stabilisce due tipi di relazioni: di dipendenza e di indipendenza. A suo inappellabile giudizio nel primo (che sono poi colonie) può benissimo rifiutare di dare il suffragio, e nelle seconde stipulare trattati ma solo se graditi ed equi (civitates peregrinae)

ANNO 352 - I nuovi consoli sono: C. MARCIO RUTILIO e P. VALERIO PUBLICOLA. - Con la minaccia di una guerra da parte degli etruschi é nominato dittatore C. GIULIO IULLO; per i preparativi dell'esercito e l'accelerazione dei lavori sulla cinta muraria

ANNO 351 - Consoli, T. QUINTIO PENNO CAPITOLINO CRISPINO e C. SULPICIO PETICO. Dittatore, M . FABIO AMBUSTO, che ha un incarico: quello di vigilare militarmente sull'andamento regolare dei comizi consolari

ANNO 350 - Consoli L. CORNELIO SCIPIONE e M. POPILIO LENATE. Quest'ultimo nella campagna militare contro i Galli é ferito, mentre il suo collega si ammala. E' nominato dittatore L. FURIO CAMILLO. Compito: ordine nello svolgimento di regolari comizi.

* Con l'etrusca Tarquinia (poi aderisce anche Faleri Veteres) Roma stipula un trattato di pace della durata di 40 anni.

* Perdita di terreni per gli etruschi anche nell'Italia Cisalpina; i piccoli insediamenti sono travolti dai Galli Celti, che in questo periodo si spingono in massa fino in Emilia. Una delle ultime tribù, i Boi, occupano Felsina, e fondano una nuova città che chiamano con il nome della loro tribù: Bononia (Od. BOLOGNA).

* Babilonia; un gruppo di Astronomi si trasformano con le conoscenze del cielo in Astrologhi; s'inventano lo ZODIACO

ANNO 349 - Consoli, AP. CLAUDIO CRASSO e L. FURIO CAMILLO. Dittatore per l'ordine pubblico nei comizi T. MANLIO IMPERIOSO

ANNO 348 - Consoli, M. POPILIO LENATE e M. VALERIO CORVO. - Roma con Cartagine stipula un nuovo trattato: chiusura del Mediterraneo occidentale al traffico romano-latino, ma libertà di commercio con la Sicilia e Cartagine. Roma inoltre garantisce da eventuali attacchi cartaginesi le città latine a Roma soggette.

* Muore in Atene PLATONE, dopo aver terminato Le leggi e Politico, gli ultimi dialoghi da affiancare a Repubblica

ANNO 347 - Consoli a Roma, T. MANLIO IMPERIOSO TORQUATO e C. PLAUTIO VENNONE

ANNO 346 - Eletti consoli, M. VALERIO CORVO e C. PETILIO LIBONE VISOLO. Il primo è registrato nei Fasti trionfali con una vittoria militare riportata sugli Anziati, Volsci e Satricani

ANNO 345 - Consoli, SER. SULPICIO CAMERINO RUFO e M. FABIO DORSUONE. Dittatore L. FURIO CAMILLO, registrato sui Fasti trionfali dell'anno per una spedizione vittoriosa contro i Latini e gli Aurunci. Con piena sottomissione di questi ultimi a Roma

ANNO 344 - Consoli a Roma, T. MANLIO IMPERIOSO TORQUATO e C. MARCIO RUTILIO. Nuovo dittatore, P. VALERIO PUBLICOLA

* Rivoluzione in Sicilia. Siracusa aiutata dai Corinzi (di Timoleonte), costringono alla fuga in Grecia il tiranno Dionisio

ANNO 343 - Dopo l'elezione a consoli di A. CORNELIO COSSO ARVINA e M. VALERIO CORVO, quest'ultimo é subito impegnato in una guerra, a seguito di una decisione del senato molto sofferta: iniziare la GUERRA SANNITICA, nonostante un trattato di pace e di alleanza contro i Galli stipulato con i sanniti nel 354 - Ma a Capua c'è stata una rivolta razziale degli abitanti per le continue migrazioni di Sanniti nella loro città; hanno chiesto aiuto ai romani offrendo in caso di vittoria la propria città. A condurre la prima spedizione é il console Valerio Corvo, che ottiene a Cuma, a Monte Gaura una vittoria sui Sanniti.

* I fasti registrano questa vittoria con un trionfo a Corvo indicandola coma la PRIMA GUERRA SANNITICA

ANNO 342 - Consoli a Roma, C. MARCIO RUTILO e Q. SERVILIO AHALA. E' rinnovata la dittatura a VALERIO CORVO, che questa volta deve accorrere a Capua non per i Sanniti che ha sbaragliato, ma contro i sui soldati che si sono improvvisamente ammutinati.

* Grecia:- ARISTOTELE si reca a Pella chiamato da Filippo di Macedonia, come precettore di ALESSANDRO.

ANNO 341 - Consoli a ROMA L. EMILIO MAMERCINO e C. PLAUTIO VENNONE. - Placata la rivolta dei soldati romani di Capua, poi riuniti per una nuova battaglia, é colta un'altra vittoria contro i Sanniti, a Suessula. Capua resta però presidiata dai romani.

* In Sicilia il corinzio Timoleonte sbarazzatosi di Dionisio, rivolge l'attenzione contro i Cartaginesi di Amilcare.

* Nasce a Samo EPICURO, il filosofo della serenità interiore; fondatore della sua famosa scuola ionica ad Atene

ANNO 340 - Consolato di T. MANLIO IMPERIOSO e P. DECIO MURE.- Rivolta dei Latini. Rimasti arroccati nei loro villaggi (rimasti tali) e vedendo spartire l'agro romano, di cui pur non avendolo mai occupato ne vantano il possesso, si ribellano a una nuova spartizione che i romani stanno completando. Avanzano parità di diritti e dichiarano tutti uniti guerra a Roma. La prima battaglia detta del Vesuvio è vinta dai romani anche se Decio Mure resta ucciso combattendo anche lui in prima linea . Il dittatore nominato, L. Papirio Crasso, porta a termine questa prima fase della guerra che ha visto schierati oltre i latini, i campani e i sidicini.

* In Etruria, di questo periodo é la Tomba degli scudi a Tarquinia, il sarcofago delle Amazzoni, e a Vulci i famosi sarcofaghi con coppie di sposi scolpite sui coperchi

ANNO 339 - Consolato di Q. PUBLILIO FILONE e TI. EMILIO MAMERCINO. Nominato dittatore per continuare la guerra contro i Latini é lo stesso Filone, che coglie una vittoria e il successivo trionfo nei Fasti , nella battaglia di Trifano.

* Leggi di Publilio FILONE sull'effettivo valore che hanno i plebisciti nella vita politica di un paese.

* In Grecia, Filippo II organizza il nuovo rivoluzionario esercito (la falange) e introduce il servizio militare obbligatorio

ANNO 338 - Consolato di C. MENIO e L. FURIO CAMILLO. Quest'ultimo registra sui Fasti un trionfo sui Tiburtini. - Segue dopo le vicende dei latini ribelli, in parte domati, la riorganizzazione del territorio. Come prima iniziativa: estinzione della vecchia lega latina e quindi inglobamento dei territori a Roma, lasciando agli abitanti solo il diritto di risiedervi ma esclusi dalla cittadinanza romana e senza diritti al suffragio ( Fondi, Cuma, Formia, Capua). Mentre é concessa la cittadinanza romana a Lanuvio, Tuscolo, Nomento, Aricia. Mentre Anzio, è trasformata in una colonia romana. - Ma già nascono forti contrasti con i confinanti dei Latini ribelli e con i Campani.

ANNO 337 - Consolato di P. ELIO PETO e C. SULPICIO LONGO. Dittatore, C. CLAUDIO CRASSO, poi subito rimosso. Si registra (ma è dubbia) per la prima volta una carica di Pretore a un plebeo.

- A

ANNO 336 - Consolato di K. DUILLIO e L. PAAPIRIO CRASSO; poi nel corso dell'anno (forse una sostituzione) CESONE VALERIO.

* In Grecia muore assassinato Filippo II di Macedonia. Suo successore il figlio ALESSANDRO MAGNO; dai greci é subito eletto comandante per una grande spedizione contro la Persia di Dario III.

ANNO 335 - Consolato di M. VALERIO CORVO e M. ATTILIO REGOLO CALENO. Nomina a dittatore, M. VALERIO MAMERCINO

ANNO 334 - Consolato di T. VETURIO CALVINO e SP. POSTUMIO ALBINO(O CAUDINO). Cales diventa una colonia romana.

ANNO 333 - E' sospeso l'elezione dei consoli. Nominato solo un dittatore (anno dittatoriale) P. CORNELIO RUFINO.

ANNO 332 - Rirona il consolato con A. CORNELIO COSSO ARVINA e CN. DOMIZIO CALVINO. Dittatore M. PAIRIO CRASSO.

* ALESSANDRO Magno conquista l'Egitto, fonda Alessandria, insegue poi Dario III fino a Ninive, lo sbaraglia ad Arbela; conquista Babilonia e Persepoli, e prosegue la grande spedizione in Asia.

ANNO 331 - Consolato di M. CLAUDIO MARCELLO e C. VALERIO POTITO (o Flacco). Dittatore, CN. QUINTI CAPITOLINO. Quest'ultimo deve intervenire in una insolita questione. Molto diffusa tra le matrone la confezione di veleni, dopo un famoso processo, é promulgatai una legge che vieta il confezionamento di prodotti venefici.

ANNO 330 - Sono eletti al consolato L. PLAUTIO VENNONE (O VENNOCE) e L. PAPIRIO CRASSO.

* ARISTOTELE scrive Fisica.

ANNO 329 - Consoli, G. PLAUTO DECIANO E L. EMILIO MAMERCINO. Entrambi un trionfo per una vittoria sui Privernati.

* E' annessa a Roma come colonia romana la città di Anxur (Terracina) vantando pieni diritti.

ANNO 328 - Sono Consoli P. PLAUTIO DECIANO II e (incerto) P. CORNELIO SCAPULA

- Deduzione della colonia di Ostia. - Deduzione della colonia latina di Fregellae, rafforzata nel 313

ANNO 327 - Viene nominato dittatore M. CLAUDIO MARCELLO per assicurare l'ordine pubblico in occasione dei comizi elettorali, in assenza dei Consoli che quest'anno sono L. CORNELIO LENTULO e Q. PUBLILIO FILONE II.

E' anche l'anno in cui Alessandro Magno si spinge ad Oriente fino al fiume Indo. Il prossimo anno affida il ritorno di alcuni reparti via mare a Nearco

ANNO 326 - Sono Consoli C. PETELIO LIBONE VISOLO III e (incerto) L. PAPIRIO CURSORE

* Inizia la SECONDA GUERRA SANNITICA (326-304). - PUBLILIO FILONE celebra a Roma i fasti per per le vittorie sui Sanniti e sui Paleopolitani (che dovrebbero essere secondo alcuni gli abitanti di Napoli) - Napoli si arrende ai romani.

- Patto di amicizia tra Roma e Napoli

ANNO 326 - La legge Poetelia-Papiria abolisce la schiavitù per debiti (nexum)

ANNO 325 - Sono Consoli L. FURIO CAMILLO II e D. GIUNIO BRUTO SCEVA.

ANNO 324 - Anno senza Consoli. Viene sospesa la nomina, e si elegge un dittatore L. PAPIRIO CURSORE che nel corso dell'anno celebra un trionfo per una guerra sui Sanniti

ANNO 323 - A Babilonia muore Alessandro Magno. A Roma sono COnsoli C. SULPICIO LONGO II e Q. AULIO CERRETANO (secondo altri EMILIO).

ANNO 322 - Nella guerra sferrata dai romani, i Sanniti fanno richieste di pace, ma i romani impongono condizioni che fanno fallire i vari tentativi. - L. FULVIO CURVO celebra i fasti sui Sanniti, mentre MASSIMO RULLIANO sugli Apuli.

ANNO 321 - I Romani vengono clamorosamente sconfitti dai sanniti nella battaglia di Caudio, PONZO TELESINO il sannita vincente, i prigionieri e i consoli romani, li sottopone all'ignominia del giogo (Forche Caudine"). Sono Consoli T.VETURIO CALVINI II e ALBINO II (il cui cognome per alcuni è CAUDINO).

ANNO 320 - Nel corso dell'anno vengono nominati tre dittatori (MENIO, CORNELIO, MANLIO) per la guerra ai Sanniti, ma anche per far svolgere senza incidenti i comizi a Roma.

ANNO 319 - Procedendo nella guerra sannitica, i Romani assediano Lucera. Papirio Cursore torna a Roma a prendersi i fasti trionfali, poi con PAPIRIO MUGILLANO sono entrambi indicati come Consoli.

ANNO 318 - Quest'anno sono registrati consoli M. FOLIO FLACCINATORE e L. PLAUTIO VENNONE.

ANNO 317 - Consoli, C. GIUNIO BABULCO BRUTO e Q. EMILIO BARBULA.

ANNO 316 - Nominato dittatore EMILIO MAMERCINO PRIVERNATE per la guerra sannitica in corso. Ha luogo l'assedio re la battaglia di SATICULA (l'attuale A. Agata de' Goti)

ANNO 315 - Dittatore è nominato Q. FABIO MASSIMO RULLIANO, che subisce una sconfitta dai Sanniti nella battaglia di Lautule, presso Terracina. - Consoli PAPIRIO CURSORE è PUBLILIO FILONE IV.

ANNO 314 - Viene riscattata con una vittoria la sconfitta di Terracina con il Console C. SULPICIO LONGO, che celebra poi i fasti trionfali. Viene nel corso dell'anno nominato dittatore C. MENIO per condurre un'inchiesta su una congiura antiromana di Capua. Conquista definitiva di Lucera da parte dei Romani.

ANNO 313 - Deduzione di Luceria (Lucera) - Colonie latine istituite a Seussa e Saticula nella zona posta a ridosso tra Capua e il territorio dei Sanniti

ANNO 312-308 - Appio Claudio Cieco, famoso oratore, linguista e studioso di diritto, ricopre la censura. - Costruzione del tratto della via Appia da Roma a Formia, poi estesa fino a Capua. - Viene istituita nella valle del Liri la colonia latina di Iteramma

ANNO 311 - Alleanza tra Etruschi e Sanniti

ANNO 310 - Q.F. Rulliano batte gli Etruschi al lago Vadimone- Viene poi concluso un trattato di tregua per 40 anni

ANNO 309 -

ANNO 308 -

ANNO 307 - Consolato di A.C.Cieco

ANNO 306 - Viene rinnovato con un terzo trattato la pace con Cartagine.

ANNO 306-304 - Roma conquista Boviano, capitale dei Pentri, e cattura il capo dei sanniti: Stazio Gellio

ANNO 305 -

304 - Trattato di pace tra i Sanniti e i Romani. Sopravvive la Lega Sannitica. La Campania passa sotto il controllo romano. - L'edile Gneo Flavio raccoglie le norme processuali in un testo (Ius Flavianum)

ANNO 303-302 ca. - Trattato tra Roma e Taranto

ANNO 302 - Deduzione delle colonie latine di Sora, Fucente e Carseoli, nel territorio degli Equi.

ANNO 301 - La legge Ogulnia: ammette i plebei nei collegi sacerdotali dei pontefici e degli auguri.

 

 

dal 300 al 201 a. C.

vedi anche i "RIASSUNTI DEI VARI PERIODI"

< < < QUI - LA LISTA DEI CONSOLI DAL 300 a.C. FINO AL 68 d.C. (IN LINGUA ORIGINALE)

ANNO 300 -La legge Ogulnia: ammette i plebei nei collegi sacerdotali dei pontefici e degli auguri.

ANNO 299 - Accordo tra i Romani e i Lucani in funzione antisannitica

ANNO 298 - Deduzione della colonia latina di Narnia (Narni) in Umbria298 -

ANNO 298-290 - TERZA GUERRA SANNITICA (o Guerra Italica). Questa volta contro una coalizione tra Sanniti, Sabini Etruschi, Umbri e Galli, tutti uniti contro Roma.

ANNO 298 -. Consolato di L.C. Scipione Barbato

ANNO 297 - Sono consoli Fabio Masimo e e Decio Mure.

ANNO 296 - Sono consoli Claudio Cieco e Volumnio Flamma Violente II. - A.C. Cieco batte i Sanniti, i Sabini e gli Etruschi

ANNO 295 - Sono consoli Fabio Massimo Rulliano e Decio Mure.- Vittoria dei Romani a Sentino (Umbria). Muore in battaglia il console D. Mure. - Fondazione delle colonie latine di Minturno e Sineussa

ANNO 294 - Sono consoli Postumio Megello II e Attilio Regolo. Caduta di Roselle. - Trattati di pace tra Roma e alcune città etrusche (Volsini, Perugia ed Arezzo)

ANNO 293 - Sono consoli Papirio Cursore e Carvilio Massimo. Poi con la vittoria ad Aquilonia fasti trionfali per entrambi

ANNO 292 - Sono consoli Fabio Massimo Gurgite e Giunio Bruto Sceva.

ANNO 291 - Consoli Postunio Megello II e Giunio Bubulco Bruto. Deduzione della colonia di Venusia (Venosa).

ANNO 290 - Consoli Curio Dentato e Cornelio Rufino. - M.C. Dentato sconfigge i Sanniti e i Sabini. Pace con i Sanniti e crescita territoriale di Roma. Si completa l'accerchiamento della regione sannitica.

ANNO 289 - Sono consoli Valerio Massimo Corvino e Cedicio Noctua. - Fondazione nel Piceno di Sena Gallica (odierna Senigallia) sul Mar Adriatico.

ANNO 288 -Consoli Marcio Tremulo II e Cornelio Arvina II.

ANNO 287 - Consoli Claudio Marcello e Nautio Rutilo. Viene varata dal dittatore Ortensio e da lui prende il nome la Legge Ortensia che dà valore di legge ai plebisciti approvati dai concilia plebis

- Nasce a Siracusa Archimede, figlio di un astronomo che appena in età lo manda a studiare ad Alesandria d'Egitto. Qui tre anni prima, nel 297 è stato fondato il Museo (tempio dedicato alle Muse, nel quale si collocheranno oggetti e cimeli di particolare importanza, e contemporaneamente viene costituita una grande biblioteca. Primo bibliotecario Zenodoto. In breve e per tutto il periodo chiamato Età Alessandrina, le due istituzioni trasformano Alessandria nel più importante centro culturale e spirituale del mondo antico, fino alla conquista romana del 47 A.C., quando verrà incendiata e distrutta.

ANNO 285 - Consoli Claudio Canina e Emilio Lepido.

ANNO 284 - Consoli Servilio Tucca e Cecilio Metello Denter. - Coalizione antiromana stipulata tra Etruschi e i Galli Senoni. Sono sconfitti dai romani presso Arezzo. Definitivo annientamento dei Senoni. Nel territorio dei Senoni sconfitti oltre Senigallia, i romani fondano una colonia di diritto latino ad Adria nel Piceno. - Nuova coalizione di Etruschi e Boi contro i romani.

ANNO 283 - Consoli Cornelio Dolabella e Domizio Calvino Massimo. Il primo nella battaglia del lago di Vadimone sconfigge la coalizione di Etruschi e Galli Boi.

ANNO 282 - Consoli Fabrizio Luschino e Emilio Papo. - La città italiota di Turi, assalita dai Sanniti, Lucani e Bruzi, chiedono aiuto ai Romani. Il console Fabrizio libera la città, sconfigge i nemici, celebra a Roma i fasti trionfali.

Irritati dalla politica espansionistica dei romani, dopo l'ingerenza su Turi, i Tarantini si preoccupano pur essendoci un trattato stipulato nel 303 che impedisce alle navi romane di valicare le acque di Capo Licinio (odierno Capo Colonne). I romani cercano un pretesto e lo trovano quando alcune navi tarantine sconfinano oltre il limite territoriale.

Roma alleatasi con Turi invia una sua flotta a Taranto. Scoppia il conflitto tra Romani e Tarantini.

ANNO 281 - Consoli Emilio Barbula e Marcia Filippo. A quest'ultimo sono dedicati fasti per un trionfo sugli Etruschi.

-GUERRA CONTRO PIRRO. L'uomo dell'Epiro viene chiamato da Taranto per farsi aiutare contro i romani.

ANNO 280 - Consoli Valerio Levino e Coruncanio. - Quest'ultimo celebra i trionfi per le vittorie su Volsiniesi e Vulcenti. e assoggetta definitivamente a Roma l'Etruria - Altri fasti per il trionfo di Emilio Barbula sui Tarantini, Sanniti e Salentini.

- Pirro re dell'Epiro, chiamato dai Tarantini sbarca in Italia vincendo i Romani nella battaglia di Eraclea, andando allo scontro con una novità in campo militare: la falange macedone. Ma vince anche per il fattore sorpresa, usando animali dai romani mai visti: gli elefanti.

- Nel peloponneso nasce la Lega Achea, fra breve sarà in centro di resistenza anti-macedone e anti-spartana.

- Novità anche nei porti. L'architetto Sostrato costruisce la prima lanterna per la segnalazione ai naviganti, sull'isolotto di Faro, dinanzi al porto di Alessandria, alto 85 metri, con alla sommità una serie di specchi che con la luce di un braciere è visibile a 50 chilometri (diventerà una delle sette meraviglie del mondo).

ANNO 279 - Consoli Sulpicio Saverrione e Decio Mure. - Nuovo scontro di Pirro che sconfigge i Romani ad Ausculum (Puglia). Pirro tenta di fare delle trattative di pace inviando dei doni a Roma, che però sono respinti dal preconsole Fabrizio Luscino a nome del Senato, dopo un famoso intervento (un classico) di arte oratoria di Claudio Cieco.

ANNO 278 - Consoli Fabrizio Luscino e Emilio Papo. - Il reduce del rifiuto a Pirro, oltre che la nomina a console, celebra anche dei fasti trionfali per le vittorie su Lucani, Bruzi, Tarantini e Sanniti.

- Pirro fallito in tentativo di pace lascia la penisola e si dirige in Sicilia in aiuto di Siracusa che stanno lottando contro i cartaginesi. - Pronti i Romani a rinnovare il trattato di pace con Cartagine.

ANNO 277 - Consoli Cornelio Rufino II e Giunio Bubulco Bruto che celebra trionfi su Lucani e Bruzi.

- Pirro che inizialmente aveva ottenuto alcuni successi, viene sconfitto dai Cartaginesi, abbandona l'isola e sbarca nuovamente nelle Puglie per affrontare i romani.

ANNO 276 - COnsoli Fabio Massimo Gurgite II e Genucio Clepsina. Il primo celebra fasti per le vittorie su Bruzi e Sanniti.

ANNO 275 - Consoli Curio Dentato e Cornelio Lentulo Caudino. - Entrambi partono decisi per affrontare in campo aperto Pirro. Il secondo ottiene una prima vittoria , ma è il primo a sconfiggere il re dell'Epiro nella battaglia a Malevento, nome che viene poi mutato dai romani in Bene-Vento. Pirro lascia l'Italia e rientra in Epiro. Mentre i due consoli rientrano a Roma a celebrare i fasti trionfali durante i quali fanno sfilare nei fori imperiali davanti agli sbigottiti romani gli elefanti catturati a Pirro; e molti prigionieri tra i quali Livio Andronico, famoso per aver tradotto l'Odissea oltre ad aver scritto commedie e tragedie e molte traducendole dal greco. - E' considerato tradizionalmente l'iniziatore della letteratura latina.

- Nasce la LETTERATURA LATINA. Intensa l'attività dei nuovi scrittori non dediti solo alla storia. Vedi letteratura antica

ANNO 274 - Consoli Curio Dentato e Cornelio Merenda. - Ribellione di Cere contro Roma - Nasce Nevio a Capua. -

 

ANNO 273 - Consoli Fabio Licino e Claudio Canina che celebra fasti trionfali su Lucani, Sanniti e Bruzi. - I Romani costituiscono delle colonie di diritto latino (deduzione) a Paestum in Campania e a Cosa in Etruria. - Ribellione di Cere contro Roma.

ANNO 272 - Consoli Papirio Cursore e Carvilio Massimo. - Il primo con la definitiva presa di Taranto pone fine all'indipendenza delle colonie in Italia da quasi cinque secoli occupate dai greci.

ANNO 271 - Consoli Quintio Claudo e Genucio Clepsina.

ANNO 270 - Consoli Genucio Clepsina e Crnelio Blasone. - Caduta di Reggio Calabria. - Roma completa la SOTTOMISSIONE DELL'ITALIA MERIDIONALE. Roma domina su tutta la ex Magna Grecia, diventando una grande potenza mediterranea: una egemonia contesa dai Cartaginesi che proprio per questo iniziano nonostante i trattati un periodo di attriti con i romani. - I romani prolungano la via Appia da Benevento a Brindisi collegando velocemente Roma con l'importante porto, strategico per una futura penetrazione in Grecia.

ANNO 269 - Consoli Ogulnio Gallo e Fabio Pittore - Roma conia le prime monete d'Argento (le didramme) ad imitazione delle città della Magna Grecia dove ora domina. - Defezione contro Roma degli alleati Picenti. Adirati per l'occupazione di Ascoli danno vita a ribellioni contro gli invasori.

268 - Consoli Sempronio Sofo e Claudio Caudece. Entrambi celebrano i fasti trionfali dopo aver domato le rivolte dei Piceni, e dopo aver consolidata l'occupazione di Ascoli. -

- Fondazione di RIMINI (Mar Adriatico) ma in effetti è la solita costituzione di una colonia di diritto latino (deduzione). Stessa decisione per la città di Benevento.

ANNO 267 - Consoli Attilio Regolo e Giulio Libone. - Fasti di entrambi per le vittorie sui Salentini.

- Fermenti in Grecia. Ateniesi e Spartani, appoggiati anche da Tolomeo re d'Egitto, iniziano delle ostilità, per il momento con delle ribellioni, contro l'espansionismo e l'egemonia macedone a nord della Grecia.

ANNO 266 - Consoli Giunio Pera e Fabio Pittore. Entrambi celebrano quattro trionfi, in Umbria settentrionale (sui Sarsinati), e due sui Salentini. - Inizia la penetrazione dei Romani sull'intera Umbria, affacciandosi così a est con Rimini già colonia romana, ma anche a nord, iniziando a penetrare nella Pianura Padana.

ANNO 265 - Consoli Fabio Massimo Gurgite, Decio Mure e Mamilio Vitulo. - I mercenari campani "Mamertini", assoldati dai messinesi, sono costretti nella battaglia sul fiume Longano guidata da Gerone di Siracusa a rifugiarsi a Messina. Alcuni messinesi, chiedono aiuto a Cartagine, altri lo chiedono a Roma. I Cartaginesi inviano in Sicilia un presidio. Mentre Roma, inizialmente incerta, decide poi di intervenire a sostegno dei Mamertini.

- La Lega Achea in Grecia iniziate le ostilità con i Macedoni, questi prima di unirsi militarmente, anticipano l'attacco, penetrano fino a Corinto e uccidono re Areo. Spezzano così in due l'alleanza dei Greci con gli Egiziani di Tolomeo

ANNO 264 - Consoli Claudio Caudece e Fulvio Flacco. - Il secondo guida la guerra di Roma contro Volsinii. Sono sconfitti; segue la presa della città Volsini Veteres e la deportazione degli abitanti a Novi Volsinia (odierna Bolsena).

- Altra deduzione romana a Castrum Novum ( Civitavecchia), e nel Piceno a Fermo.

- Si svolge a Roma Al Foro Boario il primo combattimento di GLADIATORI. Per la morte di Giunio Bruto Pera si scontrano fino all'ultimo sangue tre coppie di gladiatori. E ai romani questa "cosa" piacque subito molto.

ANNO 263 - Consoli Valerio Masimo Messalla e Oatcilio Crasso. Entrambi celebrano i fasti sui fatti di Messina.

A Messina, una delle due fazioni messinesi ha deciso di consegnare la città ai Romani, cacciando loro stessi i presidi cartaginesi (punici). I Romani prendono possesso della città, i Cartaginesi si ritirano a Siracusa.

I Cartaginesi alleatisi con Gerone di Siracusa, si organizzano per sferrare una consistente offensiva su Messina per contrastare una possibile egemonia romana in Sicilia.

- INIZIA LA PRIMA GUERRA PUNICA. I Romani concentrano le loro forze su Messina, La prima battaglia si svolge presso Imera, con i Romani che sconfiggono i due alleati. Poi occupano Catania, Enna e Centuripe e costringono Gerone II di Siracusa alla resa, che si convince della forza dei romani, si allea con Roma e si allontana dai Cartaginesi. I Cartaginesi invece proseguono e concentrano le loro forze ad Agrigento.

Gerone II, re dei Siculi, nonostante abbia cambiato alleato è costretto a stipulare un patto con i romani, che gli limitano la sovranità nella Sicilia sudorientale.

- I Romani occupando poi la Sicilia, la trasformano in Prima Provincia di Roma, assieme alla Sardegna e la Corsica pur non avendola ancora occupata. -

- Deduzione romana in Campania, a Isernia nel Sannio.

ANNO 262 - Consoli Postumio Megello e Mamilio Vitulo. Sono loro due con quattro legioni a sferrare l'offensiva, a cacciare i Cartaginesi e infine a occupare Agrigento dopo sette mesi di assedio.

ANNO 261 - Consoli Valerio Flacco e Otacilio Crasso. - Roma dopo l'esperienza in Sicilia, sapendo che deve ora combattere con i Cartaginesi, dotati di efficienti flotte navali, costruisce 100 quinqueremi per contrastare con più efficacia i Cartaginesi anche sul mare, oltre che sull'isola. Il console Duilio il prossimo anno, con la nuova flotta armata, sconfigge i Cartaginesi a Milazzo. Cartagine nella fallimentare battaglia navale perde 1/3 delle sue navi.

ANNO 260 - Consoli Cornelio Scipione e C. Duilio. Dopo la battaglia di Milazzo, Duilio il vincitore, celebra i fasti trionfali, che sono più superbi di tutti quelli precedenti. Per la prima volta nella loro storia i romani celebrano un trionfo navale.

Ora possono fare un pensiero anche sulla Corsica, sulla Sardegna, ma anche da Brindisi puntare sulla Grecia.

A Duilio, l'artefice della vittoria, viene dedicata per i posteri, una colonna rostrata celebrativa, ed è anche questa per la prima volta, fatta su una colonna, una rievocazione diversa dal solito arco di trionfo.

ANNO 259 - Consoli Cornelio Scipione e Aquilio Floro. Sono entrambi protagonisti di due battaglie navali, dopo avere il primo condotto una offensiva ai cartaginesi in Sardegna, mentre il secondo sulla Corsica espugnando la città portuale cartaginese Aleria. - Le navi iniziano - da Milazzo in poi, ad essere la forza in più per i romani. Infatti la flotta è stata subito dopo più che raddoppiata, portando le quinqueremi a 230 unità. E ora l'idea è quella di remare verso Cartagine, andare con determinazione in casa del nemico. All'improvviso tutti i condottieri romani diventano marinai improvvisati senza molta esperienza.

ANNO 258 - Consoli Attilio Caiatino e Sulpicio Patercolo. - Entrambi celebrano vittorie su Punici e Sardi. Si prepara intanto una grande flotta per assalire a breve termine Cartagine.

ANNO 257 - I SEGUENTI ANNI SONO ANCORA IN COSTRUZIONE

255 - Attilio Regolo marcia su Cartagine, ma viene catturato e poi ucciso. La grande flotta allo sbando totale.

255. La flotta romana (con.li Scauro e Giunio) accorre per salvare i superstiti ma viene distrutta da una tempesta a Camarina.

254 - Il cartaginese Cartalone riprende coraggio dopo il doppio disatro dei romani. Ritorna su Agrigento, l'assedia, la città poi cede, ed messa a fuoco. - Ricostruzione della flotta romana: si arriva ad oltre 220 navi. Presa di Palermo

254-251 ca. - Nasce Plauto a Sarsina (Umbria), uno dei maggiori commediografi romani

251 - Consolato di L.Cecilio Metello e C. Furio

249 - Il console Claudio Pulcro perde molte navi al largo di Trapani nel tentativo di inseguire delle navi cartaginesi

247 - L.C. Metello nuovamente console. Nasce Annibale, figlio di Amilcare Barca

246-244 ca - Fondazione della colonia latina di Brindisi

243 - L.C.Metello Pontefice Massimo 241 - G.L.Catulo distrugge la flotta cartaginese alle isole Egadi. Pace con Cartagine: i Punici rinunciano alla Sicilia che diventa la prima provincia romana. Sedizione di Faleri contro Roma. Fondazione di Spoleto(Umbria)

239 - Nasce a Rudiae il poeta Ennio, autore di un poema epico (Annales), di tragedie, commedie e operette filosofiche.

238-237 - I Romani dopo essere sbarcati in Corsica nel 259, conquistano anche la Sardegna237 - I cartaginesi iniziano l'occupazione della Spagna

237 - Deduzione di Vibo Valentia, riconolizzata nel 192

234 - Nasce a Tusculum M.P.Catone, autore di scritti enciclopedici, sull'agricoltura e di un'opera in prosa(Origines).

232 - Creazione della Via Flaminia232 - Il tribuno della plebe GAIO FLAMINIO distribuisce ai cittadini romani l'AGRO PICENO

230 - Ambasciatori romani si recano dalla regina dell'Illiria(Teuta) per chiedere la sospensione delle attività piratesche nell'Adriatico. Uccisione degli ambasciatori

230-229 -GUERRA ROMANO ILLIRICA

229 - Muore Amilcare

La flotta romana distrugge la marineria illirica. Occupazione di Durazzo e Apollonia

Creazione di un principato romano nella zona posta a sud del regno di Teuta

228 - Roma ammessa ai giochi istmici di Corinto

227 - Creazione delle prime due province romane: Sicilia e Sardegna-Corsica

226 - Trattato dell'Ebro fra Roma e Cartagine per la delimitazione del controllo in Spagna dei cartaginesi

225 - Vittorie romane a Talamone e Casteggio. Inizio della sottomissione della gallia Cisalpina.

223 - G.Flaminio batte i Galli nei pressi del fiume Oglio.

222 -. M.C.Marcello batte i Galli nei pressi di Casteggio(Clastidium) e conquista Milano (Mediolanum)

221 - Muore L. Cecilio Metello

Muore Asdrubale, vi succede Annibale

220 -Nasce a Brindisi M.Pacuvio. Fu autore di tragedie, pittore e musicista220 - Seconda guerra illirica

219 - Annibale espugna Sagunto che si era alleata con Roma

218 - Istituzione delle colonie latine di Piacenza e Cremona. -218 - Ambasciatori romani si recano a Cartagine dando l'ultimatum. - Annibale passa le Alpi

218 - Viene redatta la Legge Claudia che limita il commercio per i senatori.

218-201 - SECONDA GUERRA PUNICA

- Annibale condottiero cartaginese attaccò la città di Sagunto in Spagna, alleata di Roma. Annibale attraversò i Pirenei e le Alpi, sconfisse i Romani al Ticino, alla Trebbia e al Trasimeno, aiutato dai Galli. - Roma elesse un dittatore, Fabio Massimo detto il Temporeggiatore perchè non risolse la grave crisi. Dopo di lui, i Romani guidati da Paolo Emilio e Varrone furono sconfitti a Canne (216 a.C.).

217 - Annibale passa l'Appennino e batte l'esercito romano di G.Flaminio al lago Trasimeno.

- I Romani eleggono come dittatore Q.F.Massimo, denominato il "temporeggiatore"(Cunctator) per la sua condotta di guerra cauta e prudente

216 - I Consoli L.E. Paolo e M.T. Varrone vengono sconfitti, da Annibale, a Canne.

- Q.C. Metello pontefice massimo con Q. F. Massimo. Defezione di Capua, ma anche dei Sanniti, Apuli e Bruzi

216 - Ventidue coppie di gladiatori si affrontano in occasione dei funerali di Marco Antonio Lepido

215 - Annibale stipula un alleanza con Filippo V di Macedonia. - Defezione di Siracusa. Ribellioni in Sardegna

215-205 -PRIMA GUERRA MACEDONICA. I Romani bloccano l'offensiva del re macedone in Illiria

212 - I Romani riprendono Siracusa. Morte di Archimede. Comincia l'assedio di Capua. Metaponto, Eraclea eTuri si staccano da Roma e passano con i Cartaginesi. I Romani occupano Sagunto. Alleanza romana con gli Etoli

211 - Resa di Capua. Annibale alle porte di Roma

210-206 - P.C. Scipione (futuro Africano) combatte i Cartaginesi in Spagna

209 - Scipione occupa Cartagena. Q.C.Metello tribuno della plebe

208 - M.C.Marcello prende Siracusa, ma successivamente viene ucciso.- Q.C.Metello edile curule. Battaglia di Baecula.

207 - Consoli M.Livio e Claudio Nerone. In Spagna Scipione si fa sfuggire Asdrubale. Vittoria romana al Metauro su Asdrubale. I Romani battono i Cartaginesi a Silpia

206 - Consoli Q.C. Metello e L.V.Filone. Scipione ritorna dalla Spagna

205 - Consolato di Scipione e Crasso. Scipione ottiene la Sicilia, Crasso il Bruzio. Nevio incarcerato.- Pace di Fenice.

204 - Consoli M.C.Cetego e P.S Tuditano (scipioniani).Tribuni della plebe M.C.Marcello, figlio del "Grande Marcello" conquistatore di Siracusa, e M.C.Alimento. P.C.Scipione si batte contro i Cartaginesi ai Campi Magni, presso Utica. - Annibale torna in Africa. - Il poeta Ennio, militare in Sardegna, viene portato a Roma da Catone

202 - Battaglia di ZAMA - Annibale viene battuto da Scipione l'Africano a Zama(Libia).- Scipione L'Africano diventa il mecenate di Ennio

201 - Inizio dell'espansione in SPAGNA - Pace con Cartagine. - Inizia l'annalistica romana con Q.F.Pittore

200 -197 - Seconda guerra in MACEDONIA 204 ca. M.C.Marcello libera Nevio. Muore Nevio

 

 

 

dal 200 al 100 a. C.

vedi inoltre i "RIASSUNTI DEI VARI PERIODI"

ANNO 200-101 ca. Aumenta il latifondo(coltivato da schiavi), diminuisce la piccola proprietà, aumenta la plebe affamata, cresce l'inurbamento e il numero degli schiavi. Proposte di Assegnazioni terre(Gracchi) osteggiate dagli aristocratici. Si sviluppa il ceto medio(equestre) dedito al commercio e agli appalti.

ANNO 200-190. Sottomissione della Gallia Cisalpina.

ANNO 200-197. SECONDA GUERRA MACEDONICA.

ANNO 199. Censura di Scipione l'Africano.

ANNO 198. La lega achea passa con i Romani.

ANNO 197. T.Q.Flaminino batte Filippo V, re di Macedonia, a Cinocefale. Vengono costiuite le province della Spagna citerior e ulterior

ANNO 196. In occasione dei giochi istmici a Corinto Flaminino proclama la libertà delle città greche.

ANNO 195-194 ca. Nasce a Cartagine P.Terenzio Afro. Fu uno dei maggiori commediografi latini.

ANNO 195. Annibale ripara in Oriente.

ANNO 193. Seleuco IV si associa al trono del padre Antioco III.

ANNO 192-188. Guerra tra Roma e Antioco III.

ANNO 191. Consolato di Scipione Nasica.

ANNO 190-189. Scipione l'Asiatico dirige la guerra D'Asia come legato di suo fratello (Scipione Nasica).

ANNO 190. L'esercito degli Scipioni entra in Asia. Occupazione di Efeso.

ANNO 189. I Romani condotti da LC.Scipione l'Asiatico e da Scipione l'Africano battono Antioco III a Magnesia.

ANNO 188. Consolato di C.L. Salinatore.

ANNO Pace di Apamea tra i Romani e Antioco III.

ANNO 187-185. Agitazioni di schiavi in Italia meridionale.

ANNO 186. Decreto del Senato contro i baccanali.

ANNO 185-180. ca. Una legge agraria fissa a 500 iugeri la quantità massima di terre pubbliche che un privato poteva possedere.

ANNO 184. Censura di Catone. Catone pone sotto accusa Scipione l'africano.

Muore T.M.Plauto

ANNO 183. Suicidio di Annibale.

Muore Scipione l'Africano.

Deduzione delle colonie di di Modena, Parma e Aquileia.

ANNO 181. Fondazione della colonia di Aquileia .

Legge Bebia contro la propaganda elettorale non autorizzata.

ANNO 180. Fondazione della colonia di Lucca.

Legge Villia per regolare gli interventi temporali tra le magistrature. Nasce G.Lucilio, scittore satirico, a Suessa Aurunca.

ANNO 177. Consolato di T.S.Gracco, padre di Tiberio e Gaio.

Costruzione della Via Cassia.

ANNO 173 ca. Vengono espulsi da Roma i filosofi epicurei Filisco e Alcio.

ANNO 171-168. TERZA GUERRA MACEDONICA. Pèrseo, figlio di Filippo V, tenta di ripristinare l'egemonia macedone in Grecia.

ANNO 170. Nasce Accio. Nato, forse a Pesaro, fu uno scrittore di versi, tragedie e opere didascaliche.

ANNO 169-168. Muore Ennio.

ANNO 168. L.E.Paolo batte i Macedoni a Pidna.

Polibio arriva a Roma insieme a molti altri ostaggi Achei, accusati di parteggiare con i Macedoni.

ANNO 159 ca. Muore Terenzio, durante un viaggio verso la Grecia.

ANNO 155. Una ambasceria di tre fillosofi greci (Diogene, Critolao e Carneade) arriva a Roma.

Catone sostiene che le loro dottrine filosofiche corrompono i giovani romani. Il Senato delibera il loro ritorno in Grecia.

ANNO 151. Consolato di A.P.Albino.

ANNO 149-146. TERZA GUERRA PUNICA.

ANNO 148. La Macedonia diventa provincia romana.

ANNO 147-139. Rivolta di Viriato in Spagna.

ANNO 146. P.C.Scipione l'Emiliano, figlio adottivo di Scipione l'Africano, distrugge Cartagine.

Organizzazione della provincia d'Africa (Tunisia e Libia occidentale).

Scipione l'Emiliano mecenate di Terenzio. Distruzione di Corinto.

ANNO 146. Nasce la provincia di Acaia. Sacco di Corinto.

ANNO 135-132 ca. Rivolta degli schiavi in Sicilia.

ANNO 133. P.M.Scevola console. Scipione l'Emiliano Numazia e Roma si assicura la pace in Spagna. Roma eredita il regno di Pergamo.

ANNO 133. Tribunato di T.Gracco.

ANNO 133. Legge agraria proposta da Gracco: propone un limite massimo, aumentabile in caso di figli, di terreno pubblico che può possedere un privato; distribuzione di appezzamenti di terreno a proletari delle terre in eccedenza a cui i privati non hanno diritto. In compenso delle espropriazioni i privati diventano proprietari del terreno. La legge agraria non trova attuazione per difficoltà di applicazione e per l'opposizione senatoria.

ANNO 133. Roma eredita il regno di Pergamo.

Uccisione di T.Gracco.

ANNO 129. Muore Scipione l'Emiliano.

ANNO 126. Nasce la provincia di Asia.

ANNO 125. Il console F.Flacco presenta un progetto di legge, che però non viene approvato, per concedere la cittadinanza agli Italici.

Rivolta di Fregelle e sua successiva distruzione.

ANNO 123-122. Tribunato di Gaio Gracco.

ANNO 123. Legge frumentaria: Distribuzione, per i proletari, di grano a basso costo.

Legge giudiziaria sui tribunali.

Proposte sulla fondazione di nuove colonie.

ANNO 122. Le Nuove proposte di legge promosse da G.Gracco non ottengono consensi.

ANNO 122. G.Fannio console. Scrisse anche Annali.

ANNO 121. Il Senato condanna G.Gracco come nemico pubblico. Gaio si rifugia sull'Aventino. Posto sotto assedio si fa uccidere da uno schiavo. Morte di G.Gracco.

Viene creata la provincia della Gallia Transalpina

ANNO 121-111. Leggi emanate dal Senato che sminuiscono il valore della riforma gracchiana.

ANNO 120. P.M.Scevola pubblica gli Annali massimi.

ANNO 116. Nasce, a Rieti, M.T.Varrone.

ANNO 116. Giugurta fa uccidere il fratello Iempsale.

ANNO 115. M.E.Scauro console.

ANNO 114. Deduzione della colonia di Norbona(Gallia meridionale).

ANNO 113. I Cimbri Sconfiggono il console P. Carbone a Noreia.

ANNO 112. Dopo aver preso Cirta, Giugurta fa uccidere tutti gli italici presenti nella città.

ANNO 111-105. GUERRA GIUGURTINA.

ANNO 111. Sconfitta romana a Suthul.

ANNO 107. Primo consolato di Mario.

ANNO 106. Il console S.Cepione reprime la rivolta di Tolosa e viene battuto dai germani ad Orange.

ANNO 106. Nasce, presso Arpino, M.T.Cicerone.

ANNO 105. Consolato di R.Rufo. I Cimbri sconfiggono i Romani ad Arausio. Riforma mariana dell'esercito: abolizione dei velites(fanteria leggera), dei triarii(fanteria pesante armata di picche) e della cavalleria. Creazione di una legione standard armata di gladium e pilum.

ANNO 104-100. G.Mario console.

ANNO 104-100 ca. Nuova rivolta degli schiavi in Sicilia

ANNO 102. Mario batte i Teutoni ad Aquae Sestiae.

ANNO 101 Mario rientra in Italia e sconfigge i Cimbri ai Campi Raudi.

ANNO 101. Consolato di Mario e Q.L Catulo.

 

 

 

 

 

 

 

dal 100 all' 1 a. C.

vedi inoltre i "RIASSUNTI DEI VARI PERIODI"

ANNO 100 a. C. - Mario fatto console per la sesta volta. - Nasce CESARE.

ANNO 95. Consolato di L.C.Crasso e M.Scevola.

Approvazione di una legge per limitare l'ingresso arbitrario degli italici nella cittadinanza romana.

ANNO 98-96 ca. Nasce, forse a Pompei, il poeta epicureo T.L.Caro.

ANNO 91. Il tribuno della plebe M.L.Druso, propone una riforma del senato, una riforma agraria e la concessione della cittadinanza agli italici. Uccisione del tribuno.

ANNO 90-88. Rivolta degli Italici (Guerra sociale). Formano una confederazione indipendente con capitale Corfino(Italica).

ANNO 90-89. La legge Giuliae Plauzia-Papira concedono la cittadinanza agli Italici rimasti fedeli a Roma e a quelli che si sono arresi.

ANNO 88. Consolato di Silla. Assedio di Nola. Silla sconfigge gli ultimi italici ribelli.

ANNO 88-85. PRIMA GUERRA MITRIDATICA.

ANNO 88. Mitridate VI re del Ponto, stanco delle interferenze di Nicomede attacca la Bitinia, territorio posto sotto l'influenza romana. Successivamente fa massacrare 80.000 commercianti italici che si trovavano in Asia ed esorta i Greci a sollevarsi contro Roma.

La notizia arriva a Roma, mentre il console Silla stava ancora assediando Nola, città in mano agli italici. Il Senato assegna a Silla il compito di condurre la guerra d'Asia.

ANNO 88-84. Guerra civile fra Mario e Silla. Scoppia perché il tribuno della plebe S.Rufo promuove un'alleanza tra cavalieri e popolari al fine di togliere a Silla il comando della guerra mitridatica e assegnarlo a Mario.

ANNO 88. Silla marcia su Roma. Mario, insieme ad altri popolari, fugge da Roma si rifugia in Africa. Silla avvia alcune riforma costituzionali che verranno riprese nell'anno 81.

ANNO 87-84 ca. Nasce a Verona Catullo. Fu il più grande poeta elegiaco romano.

ANNO 87. Silla si reca in Grecia contro Mitridate.

Mario ritorna a Roma e si impadronisce della città ed avvia delle proscrizioni.

ANNO 86. Consolato di Mario e Cinna.

Morte di Mario(gennaio). Governo di Cinna.

Silla batte le truppe del Ponto a Cheronea e poi a Arcomeno.

ANNO 86. Nasce ad Amiternum lo storico G.Sallustio Crispo.

ANNO 85. Cinna ottiene il rinnovo del consolato per gli anni 85-84 senza convocare i comizi.

ANNO 84. Pace di Dardano tra i Romani e Mitridate. Il mancato rispetto delle condizioni del trattato scatena la II guerra mitridatica.

ANNO 83-81. SECONDA GUERRA MITRIDATICA. Fu condotta dal propretore L.L.Murena

ANNO 83. Uccisione di Cinna in una sommossa militare ad Ancona, dove stava per imbarcarsi per una spedizione contro Silla in Asia.

Silla sbarca a Brindisi e si dirige verso Roma, dopo aver sconfitto Flavio Fimbria in Asia Minore.

ANNO 83-82. Scoppia la guerra civile in Italia, tra Silla e i popolari che gli sono contrari. Silla sbaraglia gli oppositori nella battaglia di Porta Collina. Con le forse di Pompeo si inpafronisce dell'Italia meridionale. Proscrizioni silliane per eliminare gli avversari, reprimendo gli avversari del partito democratico e gli italici ribelli.

ANNO 82-80. Dittatura di Silla: restaurazione dell'autorità del Senato. Viene creato dittatore con potere costituente, a tempo indeterminato. Impone riforme annullando alcune conquiste democratiche della fazione a lui contraria. Aumenta i poteri del Senato, limita quello della plebe, e rallenta la cittadinanza agli italici. Silla scrisse anche una autobiografia.

ANNO 81 - Silla riprende le riforme costituzionali. Fasti trionfali per Silla.

ANNO 80 - Rivolta in Spagna domata da Sertorio. Si conclude la guerra mitridatica. Vittorie in Africa di Pompeo contro Domizio Enobardo che resta ucciso. Al ritorno a Pompeo gli viene attribuito il cognome di Magno da Silla, che però acconsente di malavoglia nel celebrare il suo trionfo. Il giovane Cicerone pronuncia una coraggiosa difesa di Roscio Amerino accusato da alcuni seguaci di Silla.

ANNO 79 - Silla, malato, abbandona la carica di dittatore e si ritira a vita privata nella sua villa di Cuma.

ANNO 78 - Morte di Silla. Sono consoli Emilio Lepido e Lutazio Catulo. Lepido tenta di annullare alcune riforme di Silla ma è contrastato da Catulo. - Catulo inaugura il Tabulario (l'edificio per gli archivi) sulle pendici del Campidoglio.

ANNO 77 - Sono consoli Giunio Bruto e Emilio Lepido. Quest'ultimo viene allontanato da Roma con la nomina di governatore della Provincia Gallica. Portatosi in Etruria, Lepido raccoglie un esercito ribellandosi al senato invocando la restaurazione della costituzione democratica. Lo affrontano Catulo e Pompeo sconfiggendolo. Emilio Lepido fugge in Sardegna dove muore. La rivolta viene così soffocata.

ANNO 77. Cesare esordisce nella vita politica con un'orazione contro il sillano C.C.Dolabella.

ANNO 76. Sono consoli Ottavio e Scribonio Curione. Cicerone questore in Sicilia. Sertorio (ribellandosi a Roma) dalla Spagna fa proposte a Mitridate VI per un'alleanza antiromana.

ANNO 75 - Sono consoli Ottavio e Aurelio Cotta. - A Creta i pirati sconfiggono la flotta romana guidata da M. Antonio.

ANNO 74-63 - TERZA GUERRA MITRIDATICA. - Sono consoli a Roma Licinio Lucullo e Aurelio Cotta. - Viene costituita la provincia romana della Cirenaica. Anche la Bitinia diventa provincia romana dopo la morte di re Nicomedi IV. Ma il re del Ponto la invade sconfiggendo il preconsole Aurelio Cotta in Calcedonia. Stringe d'assedio Cizico, ma è costretto a ritirarsi in Bitinia con l'arrivo di Licinio Lucullo.

ANNO 73 - Sono consoli Terenzio Varrone Lucullo e Cassio Longino. Macro eletto tribuno della plebe. Scrisse anche una Storia di Roma. Cesare diventa pontefice.

ANNO 73 - Inizio rivolta di gladiatori a Capua. Poi capeggiata da Spartaco la rivolta si trasforma nella terza guerra servile. I ribelli nella battaglia del Vesuvio sconfiggono Valerio Glabro.

ANNO 72 - Spartaco con i ribelli tenta di allargare la sua rivolta verso settentrione, ma sono ricacciati nel sud nonostante una vittoria contro Cassio Longino. Tentano un imbarco da Brindisi per scendere in Sicilia ma falliscono l'attacco. - In Spagna Sertorio viene ucciso dal suo luogotenente Perperna. A sua volta affrontato da Pompeo Magno che lo sconfigge. Tutta la penisola iberica ritorna sotto il dominio romano. - In Asia Minore nella guerra mitridatica, Licinio Lucullo riconquista la Bitinia e penetra nel regno del Ponto sconfiggendo Mitridate VI.

ANNO 71 - COnsoli Cornelio Publio Sura Lentulo e Aufidio Oreste. - M. Licinio Crasso sconfigge l'esercito di Spartaco nella battaglia del Sele. Mentre i prigionieri fatti da Pompeo Magno rientrato dalla Spagna, sono crocifissi lungo la via Appia. - Sul Ponto Mitridate VI è costretto da Licinio Lucullo ad arretrare, abbandonare il regno, rifugiarsi presso Tigrane II in Armenia.

ANNO 70 - Pompeo Magno e Licinio Crasso pur non avendo i requisiti richiesti, impongono la loro elezione a console dopo aver accampato i loro due eserciti alle porte di Roma. Saliti al potere mettono fine al governo conservatore sillano, restaurano gli ordinamenti democratici, ridanno i poteri ai tribuni della plebe, aboliscono le leggi di Silla contro la classe dei cavalieri. - Processo contro Verre, accusato di disonestà nel governo della Sicilia. L'imputato verrà condannato all'esilio, dopo le accuse di Cicerone nelle famose Orazioni dette "verrine". (famosa testimonianza letteraria dell'indirizzo retorico ciceroniano). - Ad Andes, presso Mantova, nasce P. Virgilio Marone.

ANNO 69 - Sono consoli Ortensio Ortalo e Cecilio Metello. - In Armenia Licinio Lucullo sconfigge anche re Tigrane II, che aveva dato rifugio a Mitridate VI. Lucullo occupa l'Armenia e occupa e saccheggia la capitale Tigranocerta. -

ANNO 68 - Preso dall'entusiamo Licinio Lucullo dopo la vittoriosa offensiva, discende la Mesopotamia occupando Nisibi, sconfigge presso il fiume Arsania l'esercito nemico. Vorrebbe poi continuare la guerra per fare altre conquiste in Oriente, ma viene fermato da un ammutinamento dei soldati che non vogliono proseguire, e da un veto che viene da Roma che gli impone di abbandonare la "sua" campagna che non è quella progettata dal governo romano. A seguito di questo ritiro, l'anno dopo Tigrane II rioccupa l'Armenia e invade la Cappadocia, mentre anche Mitridate VI riprende possesso del POnto . - Sono consoli Cecilio Metello e Marcio Re. - Metello è poi protagonista della sconfitta dei pirati a Creta. -Cesare è nominato questore in Spagna.

ANNO 67 - Consoli Calpurnio Pisone e Acilio Glabrione. Con la "Legge Gabinia", violentemente discussa in senato, si affidano poteri illimitati (vera e propria dittatura sui mari) a Pompeo Magno per le operazioni disinfestazione dei pirati.

Pompeo parte per l'impresa e sbaraglia nel golfo di Adalia i pirati Iberi e Albani.

ANNO 66 - Sono consoli Emilio Lepido e Volcacio Tullo, dopo i brogli elettorali a favore di Cornelo Silla e Autronio.

Con la Orazione di Cicerone (de imperio Pompei - Pro lege Manilia) viene esautorato Licinio Lucullo nelle operazioni in Asia contro Mitridate VI. Il comando viene affidato a Pompeo Magno con poteri quasi illimitati. - Pompeo sceso sul Ponto si accorda con il re dei Parti Fraate a non soccorrere Mitridate. Sconfitto più volte quest'ultimo, cacciato dal Ponto, Pompeo si accorda anche con Tigrane II lasciandolo sul trono, ma come re vassallo di Roma. -

- Introduzione del culto di Mithra a Roma: esempio rilevante di diffusione dei culti orientali. - Terminano a Roma le decorazioni parietali nella famosa villa dei Misteri (iniziazione ai misteri bacchici) - Di questa data la costruzione a Roma della tomba di Cecilia Metella, lungo la via Appia. - A Pompei inizia la costruzione dell'Odeon e l'Anfiteatro per lo spettacolo dei gladiatori. - Nasce a Venosa Q. Orazio Flacco.

ANNO 64 Consoli Giulio Cesare e Marcio Figulo - Cicerone pretore. - Pompeo Mano dopo le sue vittorie proclama il POnto e la Bitinia province romane. Proseguendo la sua campagna su Antiochia, deposto re Antioco XIII, anche la Siria diventa provincia romana.

ANNO 63 - Consoli Tullio Cicerone e Antonio Ibrida. - Il patrizio Sergio Catilina si presenta alle elezioni consolari proponendo audaci riforme. Fra queste ridistribuzione della ricchezza, cancellazione dei debiti, nuovo sistema giudiziario. Fallita la nomina, Catilina in segreto prepara all'esterno, in Etruria e nel Piceno, movimenti insurrezionali.

Cicerone scoperta la congiura, pronuncia contro Catilina la famosa orazione (Catilinaria) una requisitoria che manderà a morte alcuni congiurati. Catilina fuggito alla cattura, in Etruria si mette a capo dei rivoltosi. - Affrontato il prossimo anno dal legato consolare Petreio, nella battaglia di Pistoia, Catilina cade sconfitto.

- Nasce Ottavio, pronipote di Cesare.

ANNO 62 - Consoli Giunio Silano e Licinio Murena - Si svolge la battaglia di Pistoia con la sconfitta di Catilina. - Cecilio Metello dopo le sue vittorie a Creta ritorna a Roma a godersi i fasti tributati in suo onore. - Rientro a Roma anche di Pompeo Magno, e grandi fasti trionfali per aver legato a Roma le province della Bitinia e del Ponto, della Cilicia e della Siria.

- Pompeo Magno era penetrato anche in Giudea in una contesa locale fra il re Ircano e il sommo sacerdote. Dichiarato re il primo (non come vassallo ma etnarca di Roma), Pompeo pretese poi di entrare anche nel tempio dei Santi dei Santi a Gerusalemme.

- Sempre in Siria, Pompeo si era intromesso anche nel territorio dei Nabatei governati da re Arata III. Che è costretto a sottomettersi e a versare un tributo a Roma per rimanere re nel "suo" territorio.

ANNO 61 - Consoli Pupio Pisone Frugi Calpurniano e Valerio Messalla Nigro. - Dopo i grandi fasti trionfali riservati a Pompeo Magno, durati vari giorni, il Senato rifiuta di fare le distribuzioni di terre conquistate in Asia a beneficio dei veterani di Pompeo, e questi entra in contrasto con i senatori avvicinandosi a Giulio Cesare; che sta iniziando la sua ascesa politica quest'anno quando come propetore riceve l'incarico di partire per la Spagna come protettore e di compiere una spedizione contro i Lusitani.

ANNO 60 - Consoli Cecilio Metello e Afranio. Pompeo Magno, Crasso e Giulio Cesare fanno un accordo segreto costituendo il primo triunvirato.

ANNO 59 - Consoli Giulio Cesare e Calpurnio Bibulo. - Giulio Cesare è stato appoggiato da Pompeo Magno nella elezione a console, e come gratitudine Giulio Cesare appoggia Pompeo Magno le richieste inerenti le ricompense ai suoi veterani e ratifica gli atti compiuti in Asia. A sua volta Pompeo lo sostiene presso il governo quando Giulio Cesare chiede il comando della Gallia Cisalpina e del Narbonese. Il Triunvirato inizia a funzionare! - Nasce a Padova lo storico Tito Livio.

ANNO 58 - Consoli Calpurnio Pisone e Gabinio. - Dopo aver appoggiato le richieste di Pompeo, Giulio Cesare favorisce anche l'ascesa a tribuno di Clodio Pulcro. Che chiede subito l'esilio di Tullio Cicerone, accusandolo di aver mandato a morte cittadini romani senza regolare processo, senza prove, ma solo con le chiacchiere. Oltre che suo avversario politico, avversato pure da Giulio Cesare, Cicerone viene esiliato a Tessalonica. (verrà poi richiamato a Roma l'anno seguente e reintegrato nei suo diritti - Pronuncerà le due orazioni pro domo sua e de haruspicum responso - Importanti entrambi, come storia e studio sulle religioni e i riti pagani in usanza a Roma)

Mentre per Porcio Catone con l'intento di indebolire l'aristocrazia senatoria: lo si allontana inviandolo a sottomettere l'isola di Cipro.

- Giulio Cesare portandosi in Gallia inizia la sua campagna inserendosi nelle varie contese delle tribù celtiche. Il primo scontro con gli Elvezi che insediati sul lago di Ginevra, Costanza, nel Giura, dalle Alpi erano penetrati in Gallia; Cesare li ricaccia indietro. Poi affronta i Germani guidati da re Ariovisto, che si erano stanziati nell'Alsazia, ed avevano superato il Reno invadendo il sud. Cesare li sconfigge nella battaglia di Vesontio (Besancon) ricacciandoli indietro. - Giulio Cesare inizia a riportare le sue gesta scrivendo i Commentari del Bellum Gallicum.

ANNO 57 - Consoli Cornelio Lentulo e Cecilio Metello Nepote.

- Nella campagna in Gallia, Giulio Cesare affronta popolazioni gallo-germaniche stanziate sul Reno, la Mosa, l'Atlantico e la Schelda. Sulle rive della Sambre, sconfigge presso la odierna Reims, quella popolazione che prenderà poi il nome di Belgi, che per difendersi dall'invasione si erano alleati con i Nervi.

ANNO 56 - Consoli Cornelio Lentulo e Marcio Filippo -

- Il triunvirato si riunisce a Lucca per riconfermare la loro alleanza (decisa per un quinquennio), ma anche per spartirsi il governo delle province dell'impero: la Gallia a Cesare, la Spagna e l'Africa a Pompeo, la Siria a Crasso.

- Ritornato alla sua campagna, Giulio Cesare sottomette gli Armonici nella odierna Bretagna, e gli Aquitani in Aquitania.

ANNO 55 - Consoli Pompeo Magno e Licinio Crasso- - Vengono ratificate le decisioni prese a Lucca dal triumvirato, le cosiddette Leggi Trebonia, e Pompeia-Licinia.

- Giulio Cesare prosegue in Gallia e va oltre i suoi progetti di consolidamento. Nel territorio germanico, fa costruire un ponte sul Reno (quasi alla confluenza della Mosella - vicino alla odierna Koblenza) batte gli Usìpeti e i Tèncteri e si dirige oltre il Reno. Poi con una flotta attraversando la Manica fa la sua prima spedizione in Britannia. - Ha pyre il tempo di aggiornare i Commentari del Bellum Gallicum e di scrivere il trattato De analogia, dedicato a Cicerone

- Cicerone gli contrappone con il suo stile (retorica) il De Oratore e il De Republica.

ANNO 54 - Consoli Domizio Enobardo e Caludio Pulcro -

- Cesare compie la sua seconda spedizione in Britannia riportando alcuni successi addentrandosi nell'isola, minacciando un capo sotto la cui guida si erano unificate le tribù britanniche, Cassivellauno, poi vedendo a patti con lui.

- Problemi per Cassio in Oriente, nel regno dei Parti, su questioni interne tra i fratelli di Mitridate.

- Muore a Sirmione Valerio Catullo, autore di 116 carmi, e irriverente cantore di trasgressioni sessuali.

ANNO 53. Cesare batte gli Svevi e gli Eburoni e si reca in Italia.

Morte di Crasso a Carre nella battaglia contro i Parti.

ANNO 52. Pompeo console senza collega.

Lotta tra Clodio e Milone.

Cesare batte Vercingetorige ad Alesia.

Cicerone inizia a scrivere il De legibus.

ANNO 50. Tutta la Gallia diventa possedimento romano, ma solo sotto Augusto verrà organizzata in provincia.

ANNO 50. Cesare scrive i Commentarii de bello gallico. Nasce, forse a Gabi, Tibullo.

ANNO 49-46. Guerra civile tra Cesare e Pompeo Nasce S.A.Properzio

ANNO 49. Cesare passa il Rubicone con le sue legioni galliche ed arriva a Roma. Pompeo, i consoli e i senatori fuggono a Brindisi. Cesare passa in Spagna e Pompeo si reca in Oriente. Cesare arrivato a Brindisi si imbarca per l'Epiro.

ANNO 48. Cesare batte Pompeo a Farsalo (Tessaglia).

Pompeo si ritira in Egitto dove viene fatto uccidere da Tolomeo XIV. Cesare si reca in Egitto, apprende della morte di Pompeo ed incontra Cleopatra.

ANNO 48-47. Guerra Alessandrina. Cesare batte gli Egiziani e insedia Cleopatra sul trono d'Egitto.

ANNO 47. Cesare batte Farnace a Zela(Ponto). Incendio della Biblioteca di Alessandria.

ANNO 47-46. Campagna d'Africa contro i pompeiani.

Cesare scrive i Commentari del bellum Civile.

ANNO 46. Vittoria di Cesare a Tapso e suicidio di Catone ad Utica.

Trionfo a Roma e dittatura decennale conferita a Cesare.

ANNO 46-45. Campagna di Spagna contro i pompeiani.

Cicerone scrive tre orazioni dette "Cesariane" e l'Elogio di Catone.

ANNO 45. Vittoria di Cesare a Munda(Spagna) sui figli di Pompeo. Cesare ottiene la dittatura a vita ed altre cariche. Avvia delle riforme costituzionali, del calendario, economiche e promuove le opere pubbliche e le attività culturali.

ANNO 45. Cesare scrive il poemetto Iter.

ANNO 45-44. Cicerone scrive delle opere filosofiche tra cui: la Consolatio, L'Hortensius, gli Academicorum libri, De finibus bonorun et malorum, le Tuscolanae disputationes, De natura deorum, De divinatione, De amicitia, De officiis

ANNO 44. Cesare adotta Ottavio.

Uccisione di Cesare (Idi di Marzo). LA CONGIURA A CESARE

Ottavio assume il nome di G.G.C. Ottaviano.

Cicerone scrive le Filippiche.

ANNO 43. Guerra di Modena. Sconfitta di Antonio e morte dei consoli Irzio e Pansa. Ottaviano diventa console, per la prima volta, all'età di vent'anni. Si forma il II triunvirato tra Antonio, Ottaviano e Lepido, sulla base della lex Titia. TRIUMVIRAT0 -FILIPPI

Proscrizioni di Antonio: uccisione di Cicerone.

ANNO 42. Antonio batte Bruto e Cassio nella battaglia di Filippi. Antonio ottiene le province orientali.

Nasce Tiberio a Roma. 42-38 ca. Virgilio scrive le Bucoliche.

ANNO 41-40. Trattato di Brindisi. Ottaviano si riavvicina ad Antonio. Matrimonio tra Antonio e Ottavia, sorella di Ottaviano.

ANNO 41-40. Guerra di Perugia.

ANNO 40- 8 ca. Periodo di attività del circolo di Mecenate e di Messalla

ANNO 40. Accordo fra Ottaviano e Antonio a Brindisi. Spartizione dell'impero.

ANNO 38. Ottaviano sposa Livia Drusilla.

ANNO 38-36. Guerra contro Sesto Pompeo

ANNO 37. Accordo di Taranto. Il triunvirato viene rinnovato.

ANNO 37-35. Spedizione fallimentare di Antonio contro i Parti.

ANNO 36 Agrippa Batte Sesto Pompeo a Nauloco.

Antonio sposa Cleopatra. 41 ANTONIO E CLEOPATRA

ANNO 36-35 ca. Muore a Roma Sallustio.

ANNO 36-34. Spedizione di Ottaviano in Illiria e Dalmazia.

ANNO 35. Uccisione di Sesto Pompeo.

ANNO 33. Secondo consolato di Ottaviano.

ANNO 32. Antonio divorzia da Ottavia.

ANNO 31. Ottaviano ricopre il terzo consolato. 31-30 BATTAGLIA DI AZIO

ANNO 31 ca. Vitruvio scrive il De Architectura.

ANNO 30. Quarto consolato di Ottaviano.Presa di Alessandria e suicidio di Antonio e Cleopatra.

L'Egitto diventa provincia romana.

ANNO 29 ca. Virgilio scrive le Georgiche.

ANNO 29 a.C. 14 d.C. RIASSUNTO DELL' IMPERO DI AUGUSTO

ANNO 29. Ottaviano ricopre il quinto consolato.Chiusura del tempio di Giano. Con la legge Saenia viene aumentato il numero dei patrizi.

ANNO 28-19. Virgilio scrive l'Eneide.

ANNO 28. Ottaviano viene nominato "princeps senatus" e ricopre il sesto consolato. Prima epurazione del senato.

ANNO 27. Ad Ottaviano viene conferito il titolo di "Augusto" e il potere proconsolare per dieci anni. Nuovo ordinamento, dato da Augusto, alle province.

ANNO 27-25 ca. T.Livio inizia a scrivere la sua Storia di Roma. 27. Fondazione di Torino (Taurinorum)

ANNO 26-24. Augusto ricopre l'ottavo, nono e decimo consolato.

ANNO 26. Tribunato di Tiberio

ANNO 26-24. Augusto in Spagna.

ANNO 25. Il regno di Galazia, già cliente di Roma, annesso e trasformato in provincia.

La Spagna divisa in tre province(Taragonese, Lusitania, Betica).

Chiusura del tempio di Giano. Inizia la Pax Augusta. Fondazione di Augusata Praetoria.

ANNO 23. Augusto rinuncia all'undicesimo consolato, ma gli viene conferito il potere proconsolare su tutte le province e la facoltà del veto tribunizio ("tribunicia potestas" a vita).

Tiberio questore.

ANNO 23-14. Ovidio compone gli Amores e le Heroides

ANNO 22 ca. Muore Marcello nipote di Augusto.

ANNO 21. Agrippa sposa Giulia, figlia di Augusto

ANNO 20 ca. Muore Diodoro Siculo.

ANNO 20. Fraate IV,re dei Parti, restituisce a Tiberio le insegne prese a Crasso nella battaglia di Carrhae.

Ad Augusto è conferita la facoltà legislativa.

Nasce Caio Cesare, figlio di Agrippa e Giulia.

ANNO 19. Augusto ottiene "l'imperium consulare"

ANNO 19. Di ritorno dalla Grecia, muore a Brindisi Virgilio.

ANNO 19. ca. Muore Tibullo.

ANNO 17. Vengono celebrati i Ludi secolari.

Nasce Lucio, figlio di Agrippa e Giulia.

Augusto adotta i nipoti ,Gaio e Lucio Cesari, come futuri successori.

ANNO 16-13. Augusto in Gallia.

ANNO 16-15. Il Norico e la Rezia diventano provincie romane.

ANNO 15 ca. Muore Properzio.

ANNO 14-9. Campagna di occupazione della Pannonia(odierna Ungheria): condotta da Agrippa fino al 12 e poi da Tiberio(12-9).

ANNO 13 ca. Augusto riordina la Gallia in tre province: Lugdunensis, Belgica e Aquitania.

ANNO 12. Augusto diventa Pontefice Massimo. Muore Lepido.

Muore Agrippa. Giulia, vedova di Agrippa e figlia di Augusto, sposa Tiberio.

ANNO 12-9. Campagne di Druso nel settore germanico.

ANNO 9. Morte di Druso per una caduta da cavallo.

ANNO 9-6. Tiberio, reduce dal settore pannonico, conduce le campagna germanica.

ANNO 8. Istituzione della prefettura dell'annona. Seconda epurazione del senato. Morte di Orazio e Mecenate.

ANNO 6. Tiberio riceve, per cinque anni, " la "tribunicia potestas". Tiberio si ritira a Rodi.

ANNO 5. Augusto ricopre il dodicesimo consolato.

ANNO 2. Augusto ottiene il titolo di "pater patriae" e ricopre il tredicesimo consolato.

ANNO 1 a.C.- 1 d.C. Ovidio compone l'Ars Amatoria

 

 

 

dall'1 a.C. al 100 d. C.

vedi anche i "RIASSUNTI DEI VARI PERIODI"

PRIMO SECOLO D.C (1-100)

Periodo tardo augusteo (1-14 d.C.)

-- Appartengono al I° Secolo storici come Cordo (Annali guerra tra Cesare e Pompeo), Seneca il Vecchio(Storia delle guerre civili), C.Rufo(Scrisse una Storia sulla guerra civile del 68-69), Patercolo(Storia Romana), V.Massimo (Fatti e detti memorabili), S.Italico (Punica), M.Massimo(Continua le vite dei Cesari di Svetonio), F.Giuseppe (Guerra giudaica, Antichità giudaiche) Appiano (Storie etnografiche) E.Aristide (Encomio di Roma) 2. Muore Lucio, figlio adottivo di Augusto.

ANNO 1 ANNO CONVENZIONALE DELLA NASCITA DI GESU' CRISTO

ANNO 3. Ovidio inizia la composizione delle Metamorfosi.

LA LETTERATURA AUGUSTEA

ANNO 4.d.C. Muore Caio Cesare, figlio adottivo di Augusto. Adozione di Tiberio come successore.

ANNO 4-6 d.C. Spedizione di Tiberio in Germania.

ANNO 5. d.C. Legge Cornelia e Valeria, sull'elezione dei consoli e pretori.

ANNO 6. La Giudea diventa provincia romana.

Viene costituito l'erario militare.

ANNO 6-9. Rivolta in Pannonia e Dalmazia.

ANNO 8. Per ordine di Augusto Ovidio viene relegato a Tomi.

ANNO 9.d.C. Viene domata, dopo tre anni, la rivolta in Illiria.

Arminio massacra le 3 legioni di Q.Varo in Germania (Selva di Teotoburgo)

ANNO 10 ca. La Pannonia e la Dalmazia diventano province romane.

ANNO 14. Augusto scrive l'Index rerum gestarum. L'opera giunse ai posteri in base ad un'iscrizione ritrovata ad Ancara.

Terza epurazione del senato e terzo censimento.Morte di Augusto.

ANNO 14-37. TIBERIO 15-37 PERIODO DI TIBERIO - RIASSUNTO

ANNO 14-16. Campagna di Germanico nella Germania.

ANNO 14-17 ca . Germanico scrive il poemetto astrologico "Aratea"

ANNO 15. I Cherusci vengono battuti nella piana d'Idistaviso.

Trionfo di Germanico a Roma per le campagne condotte sul Reno. Nasce la nuova provincia della Mesia inglobando la provincia di Macedonia ed Acaia. V.Patercolo, lo storico, nominato pretore da Tiberio. Nasce Agrippina, la futura madre di Nerone.

ANNO 15 ca. Nasce Fedro.

ANNO 17. Germanico si reca in Oriente.

Vengono istituite le province della Germania inferiore e superiore, la Cappadocia e la Commagene . Muoiono T. Livio e Ovidio.

ANNO 18 ca. Nasce Columella.

ANNO 19. Germanico muore in Egitto.

ANNO 20 ca. Nasce Petronio

ANNO 20-39. Valerio Massimo attivo in questi anni

ANNO 23. Muore Druso, figlio di Tiberio, fatto avvelenare da Seiano.

ANNO 23 ca. Nasce Plinio il Vecchio. Continuò l'opera di Basso.

ANNO 25. In questo periodo i Romani possiedono 25 legioni, esclusi gli auxilia. Suicidio di C. Cordo, scrittore di Annales

ANNO 26. Tiberio si ritira a Capri. A Roma rimane il prefetto del pretorio Seiano.

ANNO 26-27 ca. Livio inizia a scirvere la storia di Roma "Ab urbe condida"

ANNO 28. Ribellione dei Frisoni.

ANNO 30. Consolato di M.Vinicio. A questo console sono dedicate le Historiae di V. Patercolo, dove si esalta la figura dell'imperatore Tiberio. Velleio muore dopo il 30 d.C. 30-40 ca. Fedro scive le Favole.

ANNO 31. Caduta di Seiano.

ANNO 34. Nasce Persio Flacco autore di Satire.

ANNO 35 ca. Nasce M.F. Quintiliano.

ANNO 37. Morte di Tiberio a Miseno.

ANNO 36-41. CALIGOLA.36-41 PERIODO DI CALIGOLA - RIASSUNTO

ANNO 37-41 ca. Muore Seneca il Vecchio

ANNO 39. Viene repressa duramente una congiura contro l'imperatore.

Nasce L.A. Lucano. Scrisse il poema epico-storico la Pharsalia.

ANNO 40. Mancata spedizione in Britannia.

ANNO 40 ca.. Nasce Marziale, autore di Epigrammi.

ANNO 40 ca. Nasce Plutarco, l'autore delle Vite parallele.

ANNO 40-50 ca. Nasce Stazio. Scrisse la Tebaide e l'Achilleide.

ANNO 41. Nuova congiura contro Caligola: questa volta l'imperatore viene ucciso.

ANNO 41-54. CLAUDIO - 41-54 IL PERIODO DI CLAUDIO - RIASSUNTO

-- Discorso di Claudio sulla concessione della cittadinanza e delle magistrature ai Galli. 41. Claudio acclamato imperatore dai pretoriani.

I Giudei vengono cacciati da Roma.

L.A. Seneca relegato in Corsica da Claudio

ANNO 42. Iniziano i lavori di costruzione del porto di Ostia al fine di rendere più rapido il rifornimento per la capitale ed economizzare nelle spese per il trasporto

ANNO 43. Viene conquistata la Britannia.

ANNO 43. ca. La Britannia e la Lycia-Pamphilia diventano provincie romane.

ANNO 45. Pomponio Mela attivo in quest'anno

ANNO 46. La Tracia provincia romana.

ANNO 47. Campagna di Corbulone contro Cauci e Frisoni.

ANNO 48. Claudio fa uccidere la moglie Messalina per la sua condotta immorale.

ANNO 49. Claudio sposa la nipote Agrippina e ne adotta il figlio Nerone.

Espulsione degli Ebrei da Roma.

Agrippina fa tornare L.A.Seneca a Roma.

ANNO 50 ca. Muore A.Basso, storico autore di una "Storia contemporanea" e della "Guerra germanica". Muore Fedro.

ANNO 50-60 ca. Nasce ad Aquinbo il poeta satirico Giovenale.

ANNO 54. Morte di Claudio, forse avvelenato da Agrippina, all'età di 64 anni.

ANNO 54-68. NERONE - 54-68 IL PERIODO DI NERONE - RIASSUNTO

ANNO 54-58. In questo periodo Nerone subisce l'influenza di A.Burrro e di Seneca. 55-64. Campagne di Domizio Corbulone in Armenia.

V55. Gn. Domizio Corbulone viene inviato in Armenia, con tre legioni (II Galliaca, VI Ferrata e IV Scytica), per contrastare i Parti in Armenia.

Uccisione di Britannico, figlio di Claudio.

ANNO 56 ca. Nasce Tacito.

ANNO 58. Nerone inizia a governare autonomamente.

Nerone propone di abolire le imposte indirette. Opposizione senatoria alla proposta. Corbulone occupa le città di Tigranocerta e Artaxata.

ANNO 59-60.Viene ristabilito lo status ante quo in Armenia e viene posto sul trono un principe fidato. (Tigrane V) 59. Uccisione di Agrippa.

ANNO 60 ca. Nasce Giovenale.

ANNO 61-68. Periodo in cui Galba ricopre la carica di governatore della Spagna tarragonese.

ANNO 61. Nasce Plinio i l Giovane, l'autore del Panegirico a Traiano.

ANNO 62. Uccisione di Burro e di Ottavia, moglie di Nerone. Muore Persio Flacco

ANNO 64. Incendio di Roma. Nerone accusa i cristiani del fatto. Ricostruzione della città. Viene ridotto il peso del denario

ANNO 64. Il Ponto, governato da Polemone II, annesso all'impero

ANNO 65. Congiura promossa da C.Pisone. Morte di Seneca, Petronio e Lucano.

ANNO 65 ca. Muore Columella.

ANNO 66. Finisce la guerra contro i Parti: Tiridate, viene a Roma e fu di nuovo incoronato re dell'Armenia.

Nerone si reca in Grecia.

Scoppia una Ribellione, di modesta entità, nella Giudea. C.Gallo, governatore della Siria, marcia sulla Giudea per domare la rivolta, ma viene gravemente sconfitto

ANNO 67. Muore Domizio Corbulone

ANNO 68. Consolato di Silio Italico, il quale fu anche autore dei "Punica": una storia della seconda guerra punica.

ANNO 68. Le legioni in Gallia acclamano imperatori G.Vindice, mentre quelle di Spagna acclamano S.Galba. V.Rufo batte Vindice. Il Senato si avvicina a Galba. Quest'ultimo, eletto imperatore, governa per un breve periodo. Galba attua una riforma dell'esercito: declassa i soldati della flotta(classiarii), i quali in precedenza erano stati equiparati, da Nerone, ai legionari.

ANNO 68-69 PERIODO GALBA-VITELLIO -RIASSUNTO

ANNO 69. GUERRA CIVILE TRA OTONE E VITELLIO: Otone fa assassinare Galba ed avanza i propri diritti al trono facendosi appoggiare dalle legioni orientali e dell'Africa, ma anche Vitellio appoggiato dalle legioni occidentali propone la sua candidatura. Scoppia la guerra civile. A Bedriatico, nei pressi di Cremona, le legioni di Vitellio ottengono la vittoria. Suicidio di Otone. Vittoria momentanea perché gli eserciti d'oriente acclamano Vespasiano per contrastare Vitellio. I legati di Vesapsiano battono l'esercito di Vitellio nei pressi di Cremona.Uccisione di Vitellio.

ANNO 69-79. VESPASIANO

ANNO 69. Incursione dei Roxolani, popolazione sarmata, oltre il Danubio. Intercettati in Mesia dai romani, vengono sterminati mentre stavano ritirandosi.

ANNO 69-70.Rivolta di G.Civile (Comandante ausiliari e leader barbarico) in Germania inferiore:due legioni massacrate dagli ausigliari Batavi guidati da Civile (L,62). La rivolta viene domata.

In questo periodo i Romani hanno 29 legioni.

ANNO 69 ca. Nasce Svetonio

ANNO 69-96 PERIODO DINASTIA FLAVI -RIASSUNTO

ANNO 70. Vespasiano entra a Roma.

Riforma tributaria di Vespasiano: introduzione di vecchie nuove tasse e ampliamento del peso dei tributi vigenti.

-- Lex de imperio Vespasiani

Gerusalemme presa e distrutta da Tito.

S.G. Frontino pretore. Scrisse gli Strategemata e il De aquis.

Nasce Svetonio, l'autore delle Vite dei Cesari.

ANNO 71. Vespasiano associa all'impero il figlio Tito.

ANNO 72. Prima cacciata di filosofie e astrologhi da Roma.

ANNO 74. Secondo allontanamento di filosofi e astrologhi dalla capitale.

ANNO 78. Agricola, suocero di Tacito, inizia la campagna in Britannia.

ANNO 79-81. TITO.

ANNO 79. La città di Pompei, importante cento vinicolo, viene distrutta a seguito dell'eruzione del Vesuvio. Morte di Plinio il Vecchio.

ANNO 80. Marziale celebra l'inaugurazione del Colosseo con un libro in versi.

ANNO 80. Scoppia un incendio a Roma.

ANNO 81-96.DOMIZIANO

-- Editto di Domiziano che proibisce la piantagione di nuovi vigneti in Italia ed ordinava di dimezzare il numero delle piantagioni viticole nelle province .

ANNO 83-85.Campagna contro i Germani: portò alla creazione di una linea di frontiera sul crinale dei Monti del Taunus. Fu questo il risultato della campagna di Domizano contro i Catti, ridicolizzata invece da Tacito .La frontiera semplificava la difesa dalla Germania Superiore .

ANNO 84. Agricola richiamato a Roma.

ANNO 85-101. Marziale scrive gli epigrammi.

ANNO 85.-86. PRIMA CAMPAGNA CONTRO I DACI

ANNO 85. I Daci di Decebalo attaccano la Mesia. I Romani li respingono oltre il Danubio, ma durante l'inseguimento subiscono una grave disfatta.

ANNO 88. Tacito, lo storico, ricopre la pretura.

ANNO 88. SECONDA CAMPAGNA CONTRO I DACI.

ANNO 88. La sconfitta viene riscattata con una controffensiva che culmina nella vittoria di Tapae (L,134 ) 88. Rivolta di A.Saturnino in Germania.

ANNO 92. Campagna contro i Sarmati.

ANNO 94 ca. Espulsione dei filosofi da Roma.

ANNO 96. Domiziano assassinato a seguito di una congiura.

ANNO 96 ca. Muore Quintiliano.Educò i figli del cugino di Domiziano.

Muore Stazio.

ANNO 96-98. NERVA.

ANNO 97. V.Rufo collega di Nerva nel consolato ordinario.

Tacito, lo storico, ricopre la carica di console suffeto.

ANNO 97 ca. Tacito scrive l'Agricola.

ANNO 98 ca. Tacito scrive la Germania.

ANNO 98-117. TRAIANO.

ANNO 100. Consolato di S.G.Frontino e Plinio il Giovane. Quest'ultimo scrisse il Panegirico a Traiano, definito come "l'Ottimo principe".

Per volontà di Traiano viene fondata Timgad.

 

 

 

dal 101 d.C. in poi

vedi anche i "RIASSUNTI DEI VARI PERIODI"

ANNO 101-102. PRIMA GUERRA DACICA: vittoriosa spedizione di Traiano contro Daci (odierna Romania)

ANNO 101. Nasce Frontone

ANNO 104. Muore Marziale

ANNO 105. L'Arabia diventa provincia romana.

ANNO 105-106. SECONDA GUERRA DACICA: Disobbedienza di Decebalo. Seconda spedizione di Traiano contro i Daci.

ANNO 106. Annessione dell'Arabia Nabatea.

ANNO 107. La Dacia diventa provincia romana.

ANNO 110-115 ca. Tacito scrive le Storie e gli Annali.

ANNO 111. Plinio il giovane governatore della Bitinia.

ANNO 112. Tacito, lo storico, ricopre la carica di Proconsole d'Asia.

ANNO 112. Muore Plinio il Giovane.

ANNO 112-113 ca. Muore Tacito

ANNO 114-117 ca.Guerra di Traiano contro i Parti.

ANNO 113. Traiano si reca ad Antiochia.

ANNO 114-115 ca. L'Armenia, la Mesopotamia e l'Assiria vengono conquistate e diventano province romane. L'impero romano ha raggiunto la sua massima espansione territoriale.

ANNO 114 ca. Muore Plinio il Giovane.

ANNO 115 ca. Nasce Pausania.

ANNO 115-116 ca. Presa di Ctesifonte.

ANNO 117. Traiano muore in Cilicia. Perdita dell'Armenia, Mesopotamia e Assiria.

ANNO 117 ca. Nasce Elio Aristide.

ANNO 117-138. ADRIANO.

- Istituisce i quattro giudici consolari itineranti per l'amministrazione della giustizia in Italia

- Floro, attivo sotto Adriano

ANNO 117. Abbandona le conquiste di Traiano: dei territori conquistati in oriente rimangono solo l'Armenia e l'Osroene

ANNO 121-122 ca. Muore Svetonio. 124-26.La Dacia divisa in tre province

ANNO 127 ca. Muore Giovenale.

ANNO 129. Nasce Galeno.

ANNO 130 ca. Nasce Aulo Gellio

ANNO 138-161. ANTONINO PIO

-- Sopprime i quattro giudici consolari

ANNO 143. Consolato di Frontone

ANNO 150 ca. Nasce Dione Cassio in Bitinia. Scrisse una Storia romana.

ANNO 160 ca. Nasce Tertulliano.

ANNO 161-169. LUCIO VERO.

ANNO 161-180. MARCO AURELIO. Scrisse le meditazioni "A se stesso".

ANNO 161-167 Guerra contro i Parti condotta da L. Vero con tre legioni (I Minervia, V Macedonica e II Audiutrix), più varie vexillationes.

ANNO 165. Viene ricostituita la provincia della Mesopotamia.

Creazione di due nuove legioni: la II e III Italicae

ANNO 165-166 ca. Muore Appiano.

ANNO 166. Muore Frontone.

ANNO 166. L'esercito di L. Vero aveva ripetuto l'impresa di Traiano: aveva sconfitto i Parti e presso Ctesifonte e invaso i relativi territori, ma a tutto ciò non aveva fatto seguito la creazione di una nuova linea di frontiera

Scoppia un epidemia di peste in Italia.

ANNO 166. Quadi, Marcomanni e Iazigi attraversano il Danubio, sconfiggono le truppe di frontiera e penetrano profondamente nell'impero

ANNO 167. Quadi e Marcomanni arrivano ad Aquileia.

ANNO 169. Muore L. Vero.

ANNO 170 ca. Muore Frontone.

ANNO 172. I Marcomanni vengono cacciati dal territorio imperiale e dovettero accettare un trattato di pace

ANNO 174-75. Vengono domati i Quadi e Sarmati

ANNO 177. Quadi e Marcomanni riprendono le ostilità, che si conclusero con la grande vittoria dei Romani sul Danubio nel 179

Supplizio di cristiani durante i giochi di Lione.

ANNO 180. Morte di Marco Aurelio presso Vindobona (Vienna).

ANNO 180 ca. Muore Aulo Gellio.

ANNO 180-181 ca. Muore Pausania.

ANNO 180-192. COMMODO.

-- Cerca di mantenere inalterato il contenuto d'argento del denarius. Attraverso un calmiere tenta di tenere bassi i prezzi

ANNO 182-185. In questo periodo le sorti del governo vengono rette dal prefetto del pretorio T.Perenne.

ANNO 185. Uccisione di Perenne.

ANNO 187. Muore Elio Aristide.

ANNO 189. In quest'anno Commodo nominò 25 consoli.

ANNO 191. Commodo assume il titolo di Ercole romano e ribattezzò la città di Roma con il nome di "Colonia commodiana".

ANNO 192. Commodo viene assassinato in una congiura nella quale faceva parte anche sua moglie Marcia.

ANNO 193. Periodo dei cinque imperatori: Ucciso Commodo viene acclamato imperatore E.Pertinace. Dopo aver governato per tre mesi viene ucciso dai pretoriani che riconoscono come imperatore D.Giuliano, ma in altre province vengono acclamati altri tre imperatori: S.Severo (Pannonia), P.Nigro (oriente) e C.Albino in occidente.

ANNO 193-211. SETTIMIO SEVERO.

ANNO 193. S. Severo giunge a Roma.. Attua una riforma delle coorti pretoriane ed una politica di epurazioni nei confronti dell'assemblea senatoria

ANNO 194-195. S.Severo occupa Antiochia e Bisanzio e stronca le pretese di Nigro. 196. Caracalla, figlio di S.Severo, viene nominato cesare.

ANNO 197. L'esercito di Albino viene sconfitto a Lione.

ANNO 197-198. Campagna contro i Parti.

ANNO 198. Con la presa di Ctesifonte, viene risolta la questione partica.

Caracalla nominato Augusto.

ANNO 199 ca. Muore Galeno.

- Mario Massimo, Erodiano e Minucio Felice attivi agli inizi del III. secolo

ANNO 200 ca. Nasce Cipriano.

TERZO SECOLO D.C.

ANNO 211. Morte di S. Severo in Britannia(York).

ANNO 211-217. CARACALLA.

ANNO 212. CONSTITUTIO ANTONINIANA(Editto di Caracalla) = Viene estesa la cittadinanza romana alla quasi totalità degli abitanti dell' Impero: esclusi i dediticii. Vi erano anche ragioni fiscali per farlo.

ANNO 214. A Filippopoli si inagurano le gare in onore di Caracalla, di passaggio in Tracia.

-- Svalutazione ulteriore del denario d'argento con la creazione di una nuova moneta: l'antoniano.

-- Fallimentare spedizione contro i Parti.

ANNO 217. Uccisione di Caracalla a seguito di una congiura promossa dal prefetto del pretorio Macrino.

ANNO 217-218. MACRINO.

ANNO 218-222. ELIOGABALO.

-- Cerca di imporre a Roma il culto siriaco del dio Baal.

ANNO 222-235. SEVERO ALESSANDRO.

ANNO 222. Uccisione di Callisto.

ANNO 223. Uccisione di Ulpiano.

ANNO 224-226 ca. Lo stato della Partia(Arsacidi) viene rovescito dai Persiani(Sassanidi)

ANNO 230. I Persiani di Ardashir attaccano il territorio imperiale della Mesopotamia

ANNO 230 ca. Muore Cassio Dione.

ANNO 231-233 ca. Campagna contro Alamanni, Germani e Persiani. In Oriente viene ristabilito lo status quo ante 235. Uccisione di Severo Alessandro.

ANNO 235-238. MASSIMINO

Massimino era un Trace,un gigante alto due metri stolido e forte, che nella confusa situazione di crisi della Roma del III secolo d.C. riesce ad impadronirsi del potere. I suoi costumi rozzi e violenti lo porta a misurarsi con i più forti gladiatori per strappare l' applauso

-- Batte i Germani.

-- Massimino si sposta in Pannonia per contrastare i Sarmati e i Daci.

ANNO 238. Rivolta in Africa, che porterà alla nomina di Gordiano III.

Massimino viene ucciso ad Aquileia.

ANNO 238-244. GORDIANO III.

ANNO 240 ca. Muore Tertulliano e nasce Lattanzio

ANNO 241. Gordiano III si sposa con la figlia di un cavaliere.

I Persiani invadono la Mesopotamia settentrionale, arrivando fino ad Antiochia.

ANNO 242-243 ca. Gordinao conduce una controffensiva contro i Persiani di Sapore I, ma non tutti i territori furono riconquistati

ANNO 244. Uccisione di Gordiano nei pressi di Dura.

ANNO 244-249. FILIPPO L'ARABO.

-- Tiene buoni rapporti con i Cristiani

ANNO 244 ca. Pace con Sapore I: Roma perde Edessa e lo stato cliente dell'Osroene

ANNO 248. Celebrazione del millenario di Roma.

-- Vittoriosa campagna sul Danubio contro i barbari.

-- A seguito di nuove invasioni nei Balcani viene mandato ad arginarle il prefetto Decio.

Vittorie di Decio.

ANNO 249. Battaglia di Verona.

ANNO 249-251. DECIO.

-- Persecuzioni contro i Cristiani

-- Editto di Decio: imponeva ai suddivi di tutte le fedi religiose di sacrificare all'imperatore.

ANNO 250-251 ca. Campagna di Decio contro i Goti che avevano invaso la penisola balcanica.

ANNO 251. Morte in battaglia di Decio ad Abritto.

ANNO 251-253. TREBONIO GALLO.

ANNO 252 ca. Trebonio Gallo associa un figlio di Decio all'impero.

Una figlia di Decio sposa Volusiano(figlio di Trebonio Gallo) Emiliano, governatore della Mesia, batte i Goti e viene proclamato imperatore dai soldati.

ANNO 252-253. L'invasione gotica tocca l'Asia Minore, giungendo fino ad Efeso.

ANNO 253. I tre imperatori(?) si incontrano a Terni. I soldati acclamano Valeriano.

Uccisione di Emiliano, Treboniano e Volusiano.

ANNO 253-260. VALERIANO.

ANNO 253 ca. Valeriano associa Gallieno, suo figlio, all'impero.

ANNO 257-258. Persecuzioni contro i cristiani attuate da Valeriano.

ANNO 258. Muore Cipriano

ANNO 259 ca. Spedizione di Valeriano contro i Persiani.

ANNO 260. Valeriano viene catturato dai Persiani.

ANNO 260 ca. Nasce Eusebio.

ANNO 260-268. GALLIENO.

-- Riforme istituzionali attuate da Gallieneo.

ANNO 262. Gallieno sconfigge gli Alamanni a Milano.

ANNO 267 ca. I Goti vengono sconfitto in Tracia.

ANNO 268. Uccisione di Gallieno in una congiura.

ANNO 268-270. CLAUDIO II.

ANNO 268-270 . Claudio II combatte i Goti e gli Alamanni.

ANNO 270. Claudio II muore di peste sul Danubio

ANNO 270-275. AURELIANO.

- Aumenta la pressione fiscale, viene coniato il nuovo antoniniano

ANNO 271. Aureliano sconfigge i Marcomanni, gli Alemanni e Jutingi.

Si reca in Oriente, conquista la città di Palmira e batte l'esercito persiano

ANNO 274. Aureliano batte Tetrico.

ANNO 275. Aureliano viene ucciso a Bisanzio.

ANNO 275-276. CLAUDIO TACITO.

ANNO 276. Uccisione di Claudio Tacito in Asia Minore, mentre stava combattendo contro i Goti. ANNO 276-282. AURELIO PROBO.

ANNO 278.Vengono sconfitti i Goti in Asia Minore.

ANNO 282. Vengono battuti i Germani in Gallia.

ANNO 282. Preparazione della campagna contro i persiani.Uccisione di Probo.

ANNO 282-283. CARO.

ANNO 283. Vittorie sui Persiani e uccisione di Caro a Ctesifonte. Uccisione di Numeriano, figlio

di Caro, in Asia Minore.

ANNO 284. L'esercito acclama Diocleziano come imperatore.

ANNO 285. Diocleziano si scontra con Carino, figlio superstite di Caro. Uccisione di Carino.

ANNO 285-305. DIOCLEZIANO.

ANNO 286. Diocleziano associa Massimiano all'impero.

Carausio, prefetto della flotta, si ribella e chiede di essere nominato imperatore.

ANNO 293. Attuazione della tetrarchia. I due Augusti associano due cesari all'impero: Galerio in oriente con Diocleziano e Costanzo Cloro in occidente con Massimiano. Sotto la tetrarchia vengono attuate numerose riforme nel campo amministrativo, territoriale, fiscale e dell'esercito.

ANNO 295. Diocleziano insieme a Costantino si reca in Palestina e combatte sul Danubio contro i Sarmati.

ANNO 296. Costanzo Cloro placa le rivolte di Carausio e di Alletto.

ANNO 296-297. ribellione in Egitto.

ANNO 297. I persiani, di Narsete, puntano verso Antiochia. Diocleziano e Galerio battono i Persiani.

Editto contro i manichei

ANNO 298. Pace di Nisibi tra Romani e Persiani: fu molto vantaggiosa per i Romani in quanto i confini nel settore orientale furono ampliati e resi meglio difendibili

QUARTO SECOLO D.C. (301-400)

ANNO 301. Editto di Diocleziano che fissa il limite massimo dei prezzi.

ANNO 303-304. Editti contro i cristiani.

ANNO 305. Abdicazione di Massimiano e Diocleziano. Galerio e Costanzo Cloro diventano i nuovi Augusti e nominano come Cesari Massimino Daia e Severo

ANNO 306. L'inaspettata morte di Costanzo a York, determina l'ascesa di suo figlio, Costantino, all'impero.

ANNO 306-313. Periodo di lotte dinastiche.

ANNO 306-337. COSTANTINO

-- Abbandono della moneta d'argento ed uso del solido d'oro.

ANNO 308. Suicidio di Massimiano.

ANNO 311. Editto di tolleranza, di Galerio, verso i Cristiani. Morte di Galerio.

ANNO 312. Massenzio sconfitto al Ponte Milvio. Licinio batte Massimino Daia in oriente.

ANNO 313. Editto di Milano(o di tolleranza) promulgato da Costantino e Licinio, con il quale i Cristiani ottengono la libertà di professare il loro culto e vengono protetti e risarciti di tutti i danni subiti sotto Diocleziano. Benefici concessi alle gerarchie ecclesiastiche.

ANNO 314. Il Concilio di Arles sancisce che il servizio militare non è incompatibile con chi professa la fede cristiana. La guerra se è a fin di bene è santa. Ovviamente della stessa idea sono gli sconfitti prima di perderla.

ANNO 314 ca. Nasce Libanio.

ANNO 320. Muore Lattanzio.

ANNO 324. Costantino batte Licinio è diventa unico imperatore.

ANNO 325. Primo concilio ecumenico di Nicea, che condannò la dottrina di Ario. 326. Costantino ordina l'uccisione di sua moglie e del figlio Crisipo.

ANNO 330. Costantino fonda Costantinopoli.

ANNO 337. Morte di Costantino.

ANNO 337-361. COSTANZO II.

ANNO 340 Muore Eusebio.

ANNO 350. Costanzo II compie delle persecuzioni contro i Cristiani. Uccisione di Costante in una congiura.

Gallo viene nominato cesare in oriente. 353. Uccisione di Magnenzio.

ANNO 353-354 ca. Nasce Paolino di Nola.

ANNO 354. Nasce S, Agostino.

ANNO 355. Giuliano nominato cesare in Gallia.

ANNO 357. Giuliano batte gli Alamanni nella battaglia di Strasburgo.

ANNO 358. Giuliano concede ai Franchi di stabilizzarsi in Tassandria in cambio del servizio militare

ANNO 360 ca. Nasce Sulpicio Severo

ANNO 361-363. GIULIANO L'APOSTATA.

ANNO 362. Giuliano l'Apostata con un editto decreta la chiusura delle scuole rette da retori, grammatici e filosofi cristiani.

ANNO 363. Giuliano muore a seguito di una ferita ricevuta durante la campagna contro i Persiani.

ANNO 363-364. GIOVIANO

ANNO 363. Pace stipulata con i Persiani.

ANNO 364. Morte di Gioviano in Galazia.

ANNO 364-375 VALENTINIANO I.

ANNO 364-378. VALENTE, fratello di Valentiniano, Augusto in oriente.

ANNO 367-383. GRAZIANO

ANNO 367. Valentiniano associa Graziano, suo figlio, all'impero.

ANNO 375. Morte di Valentiniano.

ANNO 375-392. VALENTINIANO II

ANNO 372 ca. Spostamenti di popolazioni di fronte alla pressione mongola. I Visigoti chiedono di entrare in territorio romano.

ANNO 378. Rivolta dei Visigoti. Valente viene battuto dai Goti ad Adrianopoli e muore in battaglia.

ANNO 379-396. TEODOSIO I

ANNO 380. Editto di Teodosio: il Cristianesimo diventa la religione ufficiale dello Stato.

ANNO 382. Teodosio convoca a Costantinopoli il secondo concilio ecumenico. L'imperatore Graziano toglie dalla curia l'Ara della Vittoria, che era stata collocata in quel luogo da Augusto.

ANNO 382 ca. Pace di Teodosio con i Goti: gli permette di stabilirsi in Mesia. In questo territorio si forma il primo stato romano-barbarico.

ANNO 383-388. Rivolta di Massimo in Gallia.

ANNO 383. Graziano viene ucciso a Lione.

ANNO 388. Teodosio batte Massimo ad Aquileia.

ANNO 390. Strage di Tessalonica ordinata da Teodosio e successiva pubblica penitenza dello stesso imperatore.

- Eutropio e l'anonimo della Storia Augusta, attivo alla fine del IV secolo.

ANNO 391. Il Cristianesimo diventa religione di Stato. Editto di Teodosio con il quale si proibiscono i riti e i sacrifici pagani e ne vengono distrutti alcuni templi

ANNO 392. Editto di Costantinopoli. Uccisione di Valentiniano II.

ANNO 393. Muore Libanio.

ANNO 394. Teodosio sconfigge l'usurpatore Eugenio al Frigido

ANNO 394-395. Teodosio unico sovrano.

ANNO 395. Morte di Teodosio a Milano. Divisione dell'impero tra Arcadio e Onorio. Alarico, capo dei goti, invade l'Illirico.

ANNO 395-408. Arcadio imperatore d'oriente.

ANNO 395-423. Onorio imperatore d'occidente.

ANNO 395 ca. Muore Ammiano Marcellino.

ANNO 397. Il senato dichiara Gildone come nemico pubblico.

QUINTO SECOLO D.C (401-500)

- Orosio, attivo agli inizi del V secolo.

ANNO 402. Stilicone sconfigge Alarico a Pollenzo e a Verona.

ANNO 405. Radagaiso con un esercito promiscuo di barbari, scende in Italia. Stilicone lo sconfigge sotto le mura di Firenze.

ANNO 408. Uccisione di Stilicone.

ANNO 410. Alarico, capo dei Visigoti, occupa Roma e poi si reca nel Sud Italia. Morte di Alarico nei pressi di Cosenza.

ANNO 410 ca.I Visigoti nominano come successore Ataulfo, fratello di Alarico

ANNO 414. Rutilio Namaziono ricopre la carica di prefetto dell'Urbe

ANNO 420 ca. Muore Sulpicio Severo.

ANNO 430. Muore Agostino.

ANNO 431. Muore Paolino di Nola.

ANNO 440-461. Pontificato di Leone I.

ANNO 450-451. Marciano imperatore in Oriente. 451. Concilio di Calcedonia: condanna del monofisismo.

Ezio sconfigge Attila ai Campi Raudi.

ANNO 452. Attila entra in Italia.

ANNO 452-453. Gli Unni saccheggiano Aquileia, arrivano a Milano e si spingono fino a Verona.

ANNO 453. Muore Attila.

ANNO 454. Uccisione di Ezio.

ANNO 455. Uccisione di Valentiniano III 455. I Vandali, provenienti dall'Africa, compiono il sacco di Roma.

ANNO 457-461. Maggioriano imperatore d'Occidente.

ANNO 457-474. Leone I imperatore d'Oriente.

ANNO 461-465. Libio Severo imperatore d'Occidente,

ANNO 467-472 ANTEMIO

ANNO 467. Leone I designa Antemio come imperatore d'Occidente ed organizza una spedizione contro i Vandali.

ANNO 468. Fallimento della spedizione contro i Vandali.

ANNO 472. Uccisione di Antemio.

ANNO 473. Leone I designa Giulio Nepote come imperatore d'Occidente.

ANNO 476. Odoacre depone Romolo Augusto.

Fine dell'impero romano d'Occidente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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